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“Ma che c’entra il disagio con la violenza?”, di Maurizio De Giovanni

Quindi, se non altro, gli italiani si ritrovano in piazza. Dovrebbe essere per certi aspetti, se ci pensate, confortante: non facciamo altro che dirci che non esistono più passioni comuni, sentimenti, istanze sociali e ideologie; che rimpiangiamo il fermento degli anni settanta, i cori, le mozioni collettive e la voglia di cambiare il mondo e un sistema insoddisfacente; che la nostra società è ormai composta da egoismi e limitate visioni, in cui ognuno pensa a se stesso e poco più.

Scuotiamo il capo di fronte a certe utilitaristiche occupazioni studentesche, a base di criolina o altre sostanze chimiche, che non esprimono un vero disagio ma più semplicemente la volontà di saltare qualche noioso compito in classe; e allarghiamo sconsolati le braccia quando vediamo che le tenute antisommossa sono indossate dalla polizia ormai solo per fronteggiare gli ultras ottusi e ignoranti di qualche squadra di calcio, gente che mette in campo soltanto la bestiale ignoranza e nessun valore.
I Forconi, invece, sembrano essere altro. Roma, Milano, Genova paralizzate da un movimento di violenza montante, che sembra avere davvero poco di spontaneo e molto di organizzato, come certe azioni di guerriglia messe in atto dai black blok con la scusa del cantiere dell’alta velocità o del G8. L’ultima è interessante e per molti versi racconta della situazione più di mille parole: l’assalto alla libreria savonese, un’irruzione violenta in un luogo deputato semplicemente all’acquisto di strumenti di cultura, al grido antico ma non per questo meno agghiacciante di “bruciamo i libri!”.
Siamo fortemente convinti che prima di cercare di leggere il fenomeno dei Forconi, che affonda certamente le radici nel gravissimo disagio sociale che il nostro Paese sta vivendo, sia necessario conoscere l’identità fisica (e anche ideologica) di quelli che ne stanno animando le iniziative. Questo perché a oggi non si riesce a riconoscere la connotazione politica di un movimento che ha nelle proprie manifestazioni le tinte della più pura e distruttiva violenza di massa. Leggiamo di ideologi della destra neofascista direttamente implicati nella stesura delle idee di fondo che muovono i Forconi; leggiamo di assalti alle Camere del Lavoro in alcune città pugliesi, in cui l’attività sindacale è stata impedita con minacce, lancio di oggetti e tentativi di irruzione; leggiamo di pupazzi impiccati con cartelli appuntati in petto, e altri bruciati in prossimità di palazzi governativi. Questi episodi, coordinati alla suddetta irruzione nella libreria di Savona, lasciano più certezze che perplessità in ordine al cui prodest della protesta, e al significato che a essa può dare il cittadino che sceglie di pensare con la propria testa e di non farsi utilizzare, insieme alle proprie disagiate condizioni, a fini puramente strumentali. Purtroppo la terribile situazione economica italiana, con milioni di persone costantemente in bilico sulla soglia della povertà, coi disoccupati in espansione continua e gli studenti che vedono come un miraggio il posto di lavoro, è terreno fertile per il populismo rabbioso e pressapochista; basta poco ad accendere gli animi e a far credere che i responsabili del contesto siano asserragliati per difendere il proprio fraudolento benessere in palazzi di cui è noto indirizzo e numero civico, e che basti mettere a ferro e fuoco questi luoghi per riguadagnare la dignitosa sopravvivenza. Non è così, purtroppo. Il fenomeno della crisi è ben più complesso e articolato, e non esiste nulla che possa essere risolto con la violenza. Certe forze politiche presenti in Parlamento dovrebbero porsi il problema di cosa arrivi all’uomo della strada di certi atteggiamenti folcloristici a clamorosi, di certe proteste a base di abbandoni dell’aula e di gesti volgari proposti tramite le televisioni; l’interpretazione di queste posizioni, da parte di chi è disperato, può avere risvolti disperati: e può diventare manna per chi ha interesse a indirizzare le masse verso azioni che diventerebbero ben presto incontrollabili, restando peraltro assolutamente improduttive.

Chi scrive ha avuto la fortuna di essere stato più volte ospitato presso la libreria savonese assalita l’altro ieri, e può garantire con certezza che si tratta del luogo meno sedizioso e violento che esista al mondo. Il fatto che sia stata attaccata, e che si parli di bruciare i libri, definisce quello che sta accadendo più di milioni di parole. Dette e scritte.

L’Unità 13.12.13