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“Matteo contro tutti”, di Elisabetta Gualmini

L’intervista di ieri di Renzi sulla Stampa contiene cinque proposizioni che fanno capire molto bene qual è la postura del nuovo leader Pd nei confronti del governo e immaginare quali saranno le sue prossime mosse. Primo. Io non sono come Letta e Alfano. Renzi, senza giri di parole, marca la completa discontinuità della sua storia rispetto a quella del premier e del vicepremier. E questo nessuno lo può mettere in dubbio. Sono due mondi e due visioni della politica sideralmente opposte che hanno ben poco in comune. Non basta l’età a tenerle agganciate. Letta e Alfano sono arrivati a ricoprire vari incarichi politici, e certamente il più elevato della loro carriera, quello attuale, per nomina dall’alto, da parte di politici parecchio più anziani di loro. Renzi ci è arrivato con voti conquistati dal basso, ponendosi in aperto contrasto con chi ha mandato avanti i primi due. Renzi può far pesare voti, non generiche dichiarazioni di stima, già presi o attesi, che i coinquilini di Palazzo Chigi non hanno.

Secondo. Il governo va facendo marchette. In effetti i giri di valzer sull’Imu e la carrettata di nomine di neo-prefetti sono opera sua (del governo).

Le mille mance della legge di stabilità sono passate con la sua approvazione, benevola o succube nei confronti dei battaglioni parlamentari senza guida che lo sostengono.

Terzo. Non negozio con Letta sui sottosegretari. Il sindaco-segretario ci dice chiaro e tondo che non gli interessa il rimpasto, una pratica consolidatissima della prima repubblica, dopo aver accettato la quale, crollerebbe tutto il castello della sua diversità. Un altro modo per dire: le piccole intese non sono cosa mia e non mi faccio includere in giochi di palazzo destinati a durare poco. Un Renzi che fa il verso a Grillo, rigettando scambi e accordicchi con chi ha una visione diversa dalla sua.

Quarto. Datemi una legge elettorale maggioritaria. Oggi, in effetti, una priorità assoluta: per la democrazia italiana e per il Renzi medesimo. Senza una legge elettorale che consente a chi vince di governare, continueremo a tenerci, nella migliore delle ipotesi, governi di decantazione, incaponiti nel voler durare, mentre il Paese si arrabatta declinando. Senza una legge maggioritaria i partiti non avrebbero più bisogno di un leader che faccia loro vincere le elezioni. La forza di Renzi, il suo approccio alla leadership e il suo primo messaggio, perderebbero peso. Per questo dice chiaramente (e giustamente) che ne parlerà con chiunque, a cominciare da Berlusconi, forse l’unico interessato a questo accordo, a dimostrazione che è ancora quello che prende i voti nel centrodestra.

Quinto. A chi scalpita per andare alle elezioni, Renzi dice: «State calmi, ragazzi».

Per interpretare le prime quattro affermazioni non servono supposizioni e dietrologie. Sono una la conseguenza dell’altra. Semmai ci si potrebbe chiedere: perché dire le prime tre con così poca grazia nei confronti di Letta e Alfano, così a brutto muso? Ma solo se non si fosse ancora capito il carattere del ragazzo («the boy», si diceva di Tony Blair), il suo parlar chiaro e la sua dichiarata ambizione. Uno che ha capito che nella melassa melliflua della politica italiana, che ha disgustato anche il più paziente dei cittadini, è meglio colpire piuttosto che tentennare, sparare e incalzare piuttosto che rassicurare.

L’unica cosa su cui si possono nutrire dubbi è se sia realmente disposto, dopo aver ottenuto la legge elettorale, semmai gli riuscisse, ad aspettare ancora un anno e mezzo. Dovendo nel frattempo affrontare il test insidiosissimo delle Europee, con il Pd compresso tra l’esplosione dei sentimenti euroscettici, mobilitati da Berlusconi, Salvini, Vendola, Grillo, e una miriade di partitini suoi alleati nelle ristrette intese.

Finora Renzi è parso credibile nel dire che sosterrà il governo Letta fino al 2015, affinché e purché si facciano le riforme (legge elettorale e abolizione del Senato). D’altro canto non è facile far correre la bicicletta delle intese di taglia mini come una Ferrari, infiocchettando una scelta epocale dietro l’altra dopo 20 anni di inerzia totale. E’ una sfida che rasenta l’impossibile. Il primo test è a gennaio. Se Alfano si metterà di traverso, per prendere tempo e sostenere una legge non abbastanza maggioritaria, sarà già molto chiaro che la road map delle riforme è arrivata al capolinea.

La Stampa 30.12.13