attualità, cultura

"Ai beni culturali occorrono specialisti più che manager", di Vittorio Emiliani

Caro Giuliano Amato, la tua affermazione, contenuta nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera del 24 febbraio, “I nostri beni culturali hanno un bisogno spaventoso di manager” ha lasciato me e non pochi altri increduli. Possibile che un intellettuale raffinato come te, politico di lungo corso, a capo o membro di governi (che peraltro ai beni culturali hanno purtroppo guardato, soprattutto sul piano dei finanziamenti e degli incentivi, come all’ultima ruota del carro), non capisca che i beni culturali e paesaggistici hanno un bisogno «spaventoso» (e urgente, l’età media dei funzionari è sui 55 anni) di nuovi tecnici qualificati, storici dell’arte, archeologi, architetti, archivisti, bibliotecari? E che semmai è il turismo mosso dalla cultura ad avere un bisogno «spaventoso» di manager? La nostra promozione turistica è tragicamente frammentata e inadeguata, i nostri aeroporti fanno spesso pena, le nostre ferrovie, a parte l’Alta Velocità Milano-Roma-Napoli, fanno viaggiare malissimo, nel Sud ma pure in Umbria o nelle Marche interne, italiani e stranieri, strade e autostrade sono invase da Tir, camion, autobotti, la nostra rete alberghiera quota tariffe spesso elevate rispetto ai servizi che dà, la ristorazione di base è scaduta, per non parlare dell’involgarimento catastrofico di bancarelle e negozi per souvenir.

Il turismo, non te lo devo spiegare io, è una attività economica «indotta» della bellezza, in senso generale, di un Paese e se quella bellezza data dai paesaggi, agrari e naturali, marini e montani, dai centri storici, dalle abbazie e dalle pievi, dalla rete dei siti archeologici, delle chiese e dei musei, se tutto questo strepitoso patrimonio deperisce per mancanza di fondi (più che dimezzati nell’ultimo decennio!) e di cure, o viene intaccato dall’abusivismo, dalla speculazione edilizia, dagli inquinamenti, che cosa «vende» poi il turismo? Il Pantheon «assediato» dai camion dei rifornimenti alimentari, dai gladiatori e dai bancarellari? Nelle graduatorie di agenzie come «Future Brand» siamo ancora primi o secondi per le città d’arte, ma al 15°, 25° posto e peggio per natura e spiagge.

E poi, per favore, non diciamo più che questo è «il nostro petrolio»: è uno slogan sbagliato e frusto (Pedini-De Michelis, anni 80). Vuol dire che i beni culturali devono «rendere»? Che i musei devo- no dare profitti ed essere gestiti da manager? Oltre tutto, i veri musei, in tante città, sono le chiese… All’estero sorridono di queste ubbie: il museo che più si è attrezzato di servizi turistici di ogni tipo per attrarre visitatori (e infatti ne ha circa nove milioni, con seri problemi, anche di sicurezza) il Louvre, riceve ogni anno dal- lo Stato poderose sovvenzioni per coprire una metà almeno dei costi, ma comunque è stato creato e gestito da storici dell’arte come Michel Laclotte e Pierre Rosemberg ed ora Catherine Loisel (agli archeologi Amato nega la possibilità, chissà perché, di essere «buoni manager» e agli storici dell’arte? Chissà).

Si riportino i finanziamenti alle Soprintendenze a livelli decenti, si eliminino o si riducano bardature rivelatesi negative come le Direzioni generali regionali, si potenzino i quadri tecnici di settore, a cominciare dai poveri architetti che devono fronteggiare centinaia di migliaia di pratiche edilizie e urbanistiche che, presidente Renzi, non possono venire troppo «semplificate» in un Paese decisamente complesso e fragile, di speculatori rapaci, come il nostro. Altrimenti, addio Belpaese, con tanti saluti ai famosi «manager» e al non meno famoso «petrolio».

L’Unità 04.03.14