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"L’ultima arma di Mosca: tagliamo il gas all’Ucraina", di Bernardo Valli

È IL dialogo dei sordi. Barack Obama ha chiesto a Vladimir Putin di autorizzare contatti diretti tra il governo russo e quello di Kiev, di consentire agli osservatori internazionali di lavorare in Crimea, e, sempre in Crimea, di far rientrare le truppe russe nelle loro basi. Questo dice il resoconto della Casa Bianca dopo il lungo colloquio telefonico dei due
presidenti. MA POCHE ore dopo il Cremlino dà la sua versione, che non è la stessa. Vladimir Putin ha denunciato, parlando con Barack Obama, un colpo anticostituzionale a Kiev e ha sottolineato che la Russia non può ignorare, nel rispetto delle leggi internazionali, gli appelli provenienti dalle province sud-orientali dell’Ucraina sottoposte a “decisioni illegittime”. Le relazioni russo-americane, ha proseguito Putin, sono tuttavia troppo importanti per la sicurezza globale e non possono quindi essere sacrificate per rincorrere problemi internazionali particolari, anche se di rilievo. Dalle note dissonanti, diffuse dalla Casa Bianca e dal Cremlino, appare evidente che Obama e Putin hanno ribadito per più di un’ora le loro posizioni senza portare elementi distensivi alla crisi. La quale è adesso più profonda. E in apparenza inestricabile.
Putin va dritto per la sua strada. Ma ricorda a Obama che dai rapporti tra Russia e Stati Uniti dipende la situazione mondiale e che quindi non li si deve compromettere per una questione non essenziale. E qui il russo punta alto. Parla come quando due superpotenze si spartivano il mondo, e imponevano la loro volontà nelle rispettive aree. Riallacciandosi a un passato concluso con l’implosione dell’Unione sovietica, dà l’impressione di volerne ristabilire le regole. Mi ricorda “la sovranità limitata” di Leonid Breznev, adesso applicata all’Ucraina. Putin ricolloca soprattutto Mosca a fianco di Washington. La considera allo stesso livello, mentre gli appelli dell’Europa, ha detto ieri il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, «fanno sorridere». Putin si sente tanto forte da rivendicare (o da millantare) la potenza perduta. A consentirgli l’illusione è il comportamento dei suoi antagonisti. Lui pensa al passato, mentre America ed Europa, su piani e con toni diversi, sono in un presente non ben definito. Il calendario non è lo stesso per gli uni e per gli altri. La tesi di Putin, basata sulla supposta parità Mosca-Washington, dà alla crisi ucraina una dimensione classica ma obsoleta.
L’imminente, probabile, annessione della Crimea accende intanto il patriottismo russo. La manifestazione di ieri davanti al Cremlino (sessantamila e più persone) ne è la prova. Putin usa a fini interni il recupero della storica provincia sul Mar Nero, assegnata dall’incauto Nikita Krusciov nel 1954 alla Repubblica ucraina, allora inclusa nell’Unione sovietica, e poi rimastavi nel 1991 quando l’Ucraina diventò indipendente. Oggi l’avvenimento accende gli animi russi. È quel che vuole Putin. Ma nel futuro potrebbe sollecitare le aspirazioni all’indipendenza del Daghestan e della Cecenia; o spingere all’insubordinazione l’Uzbekistan, il Kazakhstan, e altre componenti essenziali dell’Unione euroasiatica, il grande disegno di Putin. Il rischio che si riveli col tempo un boomerang, come affacciano gli esperti, non impedisce a Mosca di celebrare in anticipo il ritorno della Crimea tra le braccia della madre Russia.
Valentina Matviyenko, presidente del Senato, e Sergei Naryskin, presidente della Camera dei deputati, hanno espresso il loro appoggio al voto della Crimea in favore della secessione. In anticipo sul referendum del 16 marzo i due rami del Parlamento russo abbracciano i figli prodighi della lontana provincia, come se il loro arrivo fosse scontato. I votanti potrebbero esprimersi in teoria anche per una maggiore autonomia, e quindi respingere la secessione, ma l’ipotesi non è presa in considerazione. La Crimea è già di fatto in mano russa. Gli osservatori dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, trentasette militari di diciotto nazioni, fino a ieri pomeriggio non erano neppure stati autorizzati ad entrare nella provincia.
Una delegazione dei deputati che senza aspettare il referendum hanno già votato l’annessione ha invece potuto lasciare la Crimea e raggiungere Mosca. A riceverla con tutti gli onori sono stati i presidenti dei due rami del Parlamento. Trascurando l’essenziale, e cioè che Londra autorizza l’iniziativa mentre Kiev la considera fuori legge, Valentina Matviyenko ha paragonato la Crimea alla Scozia che attraverso un referendum vorrebbe staccarsi dalla Gran Bretagna. Sergei Naryshkin ha detto che la Camera bassa, di cui è il presidente, rispetterà «la scelta storica della Crimea». Infatti ha votato una legge in favore dell’annessione di territori sotto diversa sovranità che ne esprimano la volontà attraverso una consultazione popolare. Naryshkin, uomo di fiducia di Putin, ha elogiato il coraggio dei deputati filo russi nel fronteggiare le minacce e gli attacchi non solo alle loro persone, ma anche alla Flotta russa del Mar Nero basata a Sebastopoli. Queste manifestazioni patriottiche lasciano pochi dubbi sull’imminente stacco della penisola meridionale dalla nazione Ucraina. Restano invece dei dubbi sulle conseguenze.
Il governo di Kiev condanna il referendum sia perché non ritiene legittimo il potere locale che l’ha indetto, sia perché pensa che si tratterà di una consultazione con un risultato truccato o imposto. «Si svolgerà sulla punta dei fucili russi». Ero in Parlamento mentre arrivavano le notizie sul deludente dialogo tra Obama e Putin, e sulle manifestazioni di Mosca in favore dell’annessione della Crimea. L’atmosfera era più perplessa che tesa. I responsabili politici ucraini cercano di mantenersi su una linea moderata. Il primo ministro, Arsenij Yatsenjuk, ha chiesto finora invano una seconda conversazione con Dmitri Medvedev, il primo ministro russo. Domenica hanno avuto un primo contatto, il solo finora ad alto livello, ignorato fino a ieri. Gli scambi tra gli addetti all’economia non hanno avuto esiti positivi, poiché Gazprom, fornitore di gran parte dell’energia indispensabile al paese, ha avvertito che se l’Ucraina non salderà il debito di due miliardi di euro interromperà il flusso di gas.
Nell’attesa del referendum, e della conseguente (probabile) secessione la possibilità di un vero dialogo sembra scarsa. Lo stesso Vladimir Putin, ricevendo
Sigmar Gabriel, vice cancelliere tedesco e ministro dell’economia, ha detto che il promesso gruppo di contatto resta in sospeso. Nei prossimi giorni, in attesa del 16 marzo, la diplomazia internazionale cercherà di attenuare l’intransigenza russa. E’ difficile per Putin rinunciare alla Crimea, ma la penisola può diventare una carta di scambio. Non annessa ma più autonoma se il compromesso è compensato da una politica di Kiev più accettabile da Mosca. Neppure il governo ucraino è tuttavia libero di manovrare in piena libertà. Un suo membro, sottosegretario alla difesa, Dmitrj Yarosh, candidato alla presidenza della repubblica, è un super naziona-lista, capo del “settore di destra” sulla Majdan. Yarosh si dichiara pronto a promuovere una resistenza armata nel caso di un cedimento ai russi.

La Repubblica 08.03.14