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Il paese degli irriducibili “Costruiamo blindati perché siamo in guerra”, di Piero Colaprico

Custodivano il “tanko” utilizzato per l’assalto a San Marco del 1997, avevano attrezzato un vecchio escavatore con un cannoncino, meditavano di acquistare armi e propugnavano una secessione armata del Veneto. In 24 sono finiti agli arresti in Lombardia e Veneto a conclusione di un’indagine del Ros. Tra loro, ex esponenti del movimento “Serenissimi” e l’ex parlamentare leghista Franco Rocchetta. Contro il blitz insorge la Lega. Sorridono, i paesani, e tentano di minimizzare, anzi raccontano di quanto Flavio Contin sia un brav’uomo. Uno che in questa cittadina diventata depressa, canta nel «Coro Tre Cime», e ama scherzare «su tutto, ma non sulla politica, perché lui è uno che ci crede, che ha fede ». Fede nella secessione e nei compagni di lotta. Soprattutto in due. Uno è Luigi Faccia, che sta ad Agna, s’è confusamente mangiato tutto «per la causa», la ditta e la villa, e proprio l’altra sera è andato a ritirare dal tornitore la canna del cannoncino. Quando i carabinieri del Ros hanno bussato alla sua porta, ha alzato la testa, teatralmente: «Mi dichiaro prigioniero di guerra ».
Quella canna andava montata sul carrarmato che stava qui, a
Casale di Scodosia, in un capannone grigio, rettangolare, con «un fossato», che è in realtà un rigagnolo. Si trova in fondo alla zona industriale, grandissima e pianeggiante, capannoni uno in fila all’altro, ma vuoti, spenti, polverosi: «Questo, quindici anni fa, era il quarto paese per prodotto interno lordo del padovano. Adesso siamo a livelli da terzo mondo», raccontano al bar «Al Duca», che è gestito dai cinesi, e sul piazzale pedalano ragazze d’origine africana.
Gli investigatori, piuttosto preoccupati dai discorsi intercettati, dal continuo pensare ad azioni violente, non hanno mai mollato questo paesino di 5mila abitanti. Anzi, dettaglio curioso, avevano già consegnato le carte per i giudici quando, un sabato pomeriggio, hanno visto il gruppo di Flavio Contin, l’hanno seguito sino al capannone, dove i secessionisti hanno provato a sparare. «Per ora» a salve, si dicevano. Due bossoli, due esplosioni. Il secondo colpo è stato così forte da far tremare il tetto e gli stessi attempati
ma efficienti «artificieri » si sono un po’ spaventati. Nessuno ha sentito niente?
Guardare dentro Casale di Scodosia è come usare una lente d’ingrandimento sul secessionismo alla veneta. Innanzitutto, qui Flavio Contin, 72 anni, è un «personaggio positivo», inutile girare intorno alla questione: «Flavio è un ragazzo che non denega l’assalto del ‘97, portato a termine con Faccia, con il nipote e con gli altri. Anzi si era ricomprato il tanko, quello comparso sui telegiornali di tutto il mondo quando è arrivato in piazza San Marco. Lo teneva nel cortile di casa, lo mostrava a tutti, fiero». Fiero di che cosa, esattamente? «L’ha fatto con le sue mani, e quando uno fa una cosa con le sue mani, ci tiene… ».
Qualche «pacca» in galera l’ha presa, così ha raccontato, ma il capo della banda del tanko «è rimasto incrollabile e nelle settimane scorse ha raccolto anche le firme per il referendum “Veneto Libero”. E se voi pensate che Matteo Renzi governa l’Italia intera con i tre milioni di voti delle primarie del suo partito, e qui abbiamo preso due milioni in una regione soltanto…». Sono queste le parole degli amici del bar, a Casale di Scodosia, e sanno tutti che Contin è a casa sua. Vista l’età non l’hanno trascinato in cella, come gli altri: «Non posso parlare », sussurra al citofono, protetto da un veneziano Leone alato.
Poco dopo esce il fratello gemello, tuta e auto furgonata. «Sapeva che erano controllati, non puoi fare nemmeno un fischio, ormai », dice. Veramente, si parla di un carro blindato alto quattro metri, pesante tonnellate, pronto a una nuova azione clamorosa: «Scusate, ma vado. Oggi — si lamenta il gemello del secessionista — non riesco a rendere bene sul lavoro».
Lavoro come religione, questa è anche la bassa padovana, dove i fallimenti personali s’incastonano nella crisi del sistema: moltissime insegne abbandonate annunciano infatti «mobili d’antiquariato », realizzati da contemporanei. E chi li compra, oggi? Ma come cambiare produzione? A queste domande non s’è trovata risposta industriale e commerciale, non da parte della maggioranza. Lo scontento dilaga, i soldi spariscono. Sul retro di alcuni camion si legge: «La Madonnina, vanto di Milano. Il Colosseo, vanto di Roma. Tangenziale di Mestre, vergogna veneta».
Questa «vergogna» era uno dei tasti più battuti dal secondo amico fidato di Contin, il terzo pezzo grosso del secessionismo finito ieri nei guai. È un ex parlamentare della Liga, sottosegretario agli esteri del primo governo Berlusconi, Franco Rocchetta. Anni e anni fa, aveva cacciato Faccia, adesso era erano tornati «in buona», s’erano impegnati appassionatamente sul doppio livello:
quello pubblico sul referendum, quello sotterraneo, con il carrarmato casalingo. Rocchetta era andato a scovare l’ex ambasciatore della Georgia in Italia, Beglar Davit Tavartkiladze, lo usava come «osservatore» sul voto del referendum veneto. Eppure, quando sono entrati in una casa che definire disordinata è poco (la Scientifica ha realizzato qualche filmato), al momento del sequestro del computer, Rocchetta è scattato, ma non per la politica: «Attenzione, troverete del materiale porno».
Questo è il trio che rappresenta «l’anima» del complotto secessionista. Quel loro voler cannoneggiare la statua di Garibaldi, non è più un segreto. E nemmeno un sogno politico. Sembra ormai l’ultima inevitabile sconfitta della banda del tanko, gente di periferia nella periferia, troppo esperta in dialetti morenti, ignara persino delle microspie dell’antiterrorismo, eppure maniacalmente sempre pronta alla guerra.

La Repubblica 03.04.14