attualità, politica italiana

"Il male del Veneto", di Ilvo Diamanti

L’inchiesta dei magistrati di Brescia contro gli indipendentisti veneti può avere effetti pericolosi. Almeno quanto le iniziative e i comportamenti perseguiti. Perché, al di là del merito delle indagini, rischia di ridurre a caricatura un fenomeno complesso e fondato, che supera i confini della regione. È il “male del Veneto”. Una questione che va presa sul serio. Perché il Veneto ha costituito, negli ultimi trent’anni, il sismografo dei cambiamenti e delle crisi, in Italia. A partire dai primi anni Ottanta, quando, appunto, emerse la Liga. «Madre di tutte le leghe», la definì il fondatore, Franco Rocchetta. Uno dei cospiratori, secondo i magistrati. Ora costretto agli arresti domiciliari. (Anche se non mi riesce di immaginarlo nei panni del para-terrorista.) L’insorgenza della Liga, anticipò la diffusione e l’affermazione della Lega in tutto il Nord. Ma annunciò anche la crisi della Prima Repubblica. Perché erose e, in seguito, sgretolò le fondamenta del partito che aveva governato, da sempre. La Democrazia Cristiata
na. La geografia della Liga ricalca, infatti, quella della DC. E segna, dunque, il passaggio di questa società dal governo all’opposizione. Anzi: all’antagonismo. Contro Roma e contro lo Stato Centrale. Sinonimi, nel linguaggio veneto e, in seguito, nordista e padano. Al tempo stesso, il Veneto interpreta, in modo aperto, l’affermarsi dei nuovi ceti medi “privati”. I piccoli imprenditori e i lavoratori autonomi. La Lega, prima e più ancora di Berlusconi, dà loro voce. Ne amplifica il risentimento e la protesta. Come hanno mostrato, efficacemente, Giorgio Lago e Francesco Jori, descrivendo e, in parte, amplificando la “voglia di indipendenza” espressa da quest’area. Riassunta nella formula geopolitica del Nordest. Ma in realtà sempre, saldamente impianta-
sul Veneto centrale. Sul triangolo Vicenza-Padova-Treviso. Indipendenza, non secessione. Una rivendicazione che, qui, non ha mai attecchito. Neppure negli anni Novanta, quando la Lega Nord di Bossi ne aveva fatto una bandiera. Anche perché Il Nord e ancor più la Padania sono contesti poco o nulla condivisi, in Veneto. Territori immaginari: la Padania. O, comunque, relativi e “dipendenti”: il Nord. Il cui significato “dipende”, appunto, geograficamente e geo-politicamente, da Roma. Per questo è rischioso, oltre che superficiale, svalutare le tensioni indipendentiste espresse dal Veneto. Perché vengono da lontano e hanno ragioni condivise. Che, negli ultimi anni, sono esplose. Basti vedere quel che è avvenuto alle ultime elezioni, nel febbraio 2013, quando il M5S ha ottenuto, proprio in Veneto, un grande risultato. Soprattutto nelle aree dove era più forte la Lega e, prima, la Liga. Il M5S: ha sfondato soprattutto le basi sociali di quest’area e dei suoi rappresentanti politici — vecchi e nuovi. Ha, cioè, conquistato il voto dei lavoratori autonomi e dei piccoli imprenditori. Primo partito fra gli artigiani veneti con, circa, il 30% (sondaggio di Demetra per Confartigianato Imprese Veneto). Per questo, l’immagine pubblica proiettata dalle inchieste giudiziarie, oltre che dal profilo approssimativo e improbabile dei presunti cospiratori, banalizza le tensioni e le rivendicazioni che covano nella società veneta. Le riduce all’alternativa, errata e pericolosa, fra la criminalizzazione e il ridicolo. In entrambi i casi, riassume il “male del Veneto” in un vizio folcloristico e “periferico”. Come il Veneto, in fondo, appare a molti italiani (ma anche a molti veneti, soprattutto alla Sinistra, che, non per caso, qui è sempre stata minoritaria).
Meglio non illudersi. Anzitutto perché, come ha mostrato il sondaggio di Demos condotto su un campione rappresentativo, oltre la metà degli elettori veneti (55%) si dicono d’accordo con l’obiettivo (sollevato dal referendum) dell’indipendenza veneta. Anche se è concepita, soprattutto, come maggiore “autonomia”, maggiore capacità rivendicativa nei confronti di Roma. In parte, nella maggiore qualità dei parlamentari e della classe politica. Tuttavia, le ragioni dell’indipendenza vanno oltre. Basta scorrere i dati dei sondaggi dell’Osservatorio sul Nordest, condotti da Demos e pubblicati ogni settimana sul Gazzettino, da quasi vent’anni, per cogliere la misura della frattura con le istituzioni. Visto che il 71% dei veneti è convinto che «i cittadini di questa regione lavorano e danno molto più di quel che lo Stato restituisce loro» (Demos, aprile 2013). Mentre il 75% dei veneti intervistati (Demos, Novembre 2013) si dice d’accordo con l’idea, sicuramente inquietante, che oggi sia «necessario proclamare uno sciopero fiscale perché le tasse sono insopportabili».
È, dunque, meglio non liquidare l’indipendenza veneta con qualche battuta. Lasciando che la giustizia faccia il suo corso e risolva il problema. Il “male del Veneto” ha radici profonde e diffuse, nella società e nel territorio. Ma non va neppure confinato, come una questione locale. Sollevata dai “soliti” veneti. Abituati a lamentarsi. Il “male del Veneto”, come è avvenuto altre volte in passato, è il sintomo di un male più ampio. Riflette il disorientamento geopolitico europeo, sottolineato dalle crescenti tensioni autonomiste — in Spagna, Belgio, Gran Bretagna… Ma denuncia, soprattutto, il “male nazionale”. La frattura tra gli italiani, la politica e lo Stato, rivelata, in modo esplicito, da un sondaggio recente, condotto in ambito nazionale (Demos, gennaio 2013). Il quale mostra come oltre metà degli italiani (52%, per la precisione) si dica d’accordo con la protesta dei Forconi. Un orientamento che appare particolarmente condiviso — non a caso — nel Nordest (61%). D’altronde, tra gli arrestati c’è un leader dei Forconi. Ma il sostegno alle ragioni dei Forconi risulta elevato anche nel Mezzogiorno. Dove, peraltro, è nato il movimento (in Sicilia, per la precisione).
L’indipendenza del Veneto, dunque, ha ragioni di lunga durata. Che non possono essere spiegate, in modo consolatorio, come un “vizio locale”. Perché evocano una “questione nazionale” dai contorni netti. L’indipendenza dei cittadini rispetto allo Stato e alle istituzioni.

La Repubblica 04.04.14