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Renzi: «Violenta lotta alla burocrazia», di Vladimiro Fruletti

«L’Italia c’è già, basta liberarla da tutto ciò che c’è in più». È il modello Michelangelo quello che il premier, di fronte agli imprenditore del mobile alla Fiera di Milano, rilancia. Quel Michelangelo che a chi gli chiedeva come fosse riuscito a far venire fuori il David da un blocco di marmo delle Apuane spiegava che era stato abbastanza semplice: «è bastato togliere tutto il marmo che c’era in più». E per Renzi il marmo in eccesso è rappresentato dal sistema burocratico opprimente, da un fisco da incubi («più che degli F35 ci sarebbe da preoccuparsi del F24»), da una giustizia che ha tempi «quattro volte superiori a quella dei paesi concorrenti», da una politica impegnata nelle «occupazioni di poltrone» e da un mercato del lavoro meno ingessato. «Semplificare non vuol dire precarizzare anche perché di precarietà ne abbiamo già abbastanza» nota Renzi. Vuol dire, spiega agli imprenditori del mobile, che servono meno regole, ma più chiare che tolgano a chi fa impresa «la paura di assumere». Detta così la ricetta appare anche semplice. In realtà Renzi sa che più che lo scalpello di Michelangelo sarà chiamato a usare il martello pneumatico. Compito non facile ammette: «noi stiamo cercando di far pagare chi non ha mai pagato, loro cercheranno di farla pagare a noi». E tuttavia annuncia che sarà necessaria una «violenta lotta contro la burocrazia». Frase dura, riconosce, ma non ci sono «alternative». Il che concretamente vuol dire diminuire il peso e la presenza della macchina politico-burocratica. Per questo la «cornice», cioè le riforme istituzionali sono indispensabili. Perché rappresentano la condizione necessaria per far ripartire il Paese. Tagliare le province, cambiare il Senato togliendo i senatori eletti e dotati di indennità in cambio di rappresentanti dei territori, limare i mega-stipendi dei dirigenti pubblici («mentre i consumi si bloccavano e il ceto medio scivolava indietro, le loro retribuzioni sono continuate a crescere» scandisce fra gli applausi) e fare una legge elettorale per cui «chi vin- ce, vince, magari attraverso anche il ballottaggio» non significa solo «ridurre i costi e i posti della politica», ma disegnare un nuovo rapporto fra lo Stato e i cittadini.

È all’interno di questa cornice infatti che Renzi inserisce come obiettivo principale la crescita e l’occupazione. Perché l’Italia è sì «una Repubblica democratica fondata sul lavoro» ma attualmente è «affondata dalla rendita». Da qui la scelta di ri-distribuire reddito e quindi capacità di spesa a chi ha avuto meno prendendo un po’ a «chi già aveva tanto e ha avuto sempre di più». Vanno in questa direzione il taglio dell’Irap finanziato dall’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie e gli 80 euro in più in busta paga a chi guadagna meno di 1500 euro lordi al mese finanziati soprattutto con la revisione della spesa e l’aumento del prelievo fiscale alle banche. Sono state aiutate a salvarsi coi soldi pubblici, il ragionamento di Renzi, e quindi ora devono essere disponibili a dare un proprio contributo per aiutare le famiglie.

Per misurare i risultati Renzi fissa l’appuntamento al prossimo anno. Se fra 12 mesi sarà ancora lì sul palco della Fiera del Mobile di Milano con vista sull’Expo 2015 (ieri ha fatto il punto sui lavori assieme ai ministri Lupi e Martina) vorrà dire che c’è riuscito, che non si sarà fatto cambiare «dal Palazzo». Anzi probabilmente cercherà di cambiare un po’ di inquilini di quei palazzi. Lunedì (a borse chiuse) ad esempio dovrebbe esse- re il giorno delle nomine per le aziende pubbliche. «Devo aspettare Pier Carlo» dice. Mentre il diretto interessato, il ministro Padoan, dagli Usa assicura che sa- ranno nomi «competenti e in alcuni casi nuovi». E anche rosa. Infatti salgono le quotazioni dell’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, della ex ministro Paola Severino, della numero uno di Olivetti Patrizia Grieco e della ad dell’Espresso Monica Mondarini.

Si vedrà. Ora l’unica cosa certa, assicura, è che non invocherà (come chi fin qui l’ha preceduto, suggerisce) alibi: «se non ce la faremo sarà solo colpa nostra, saremo dei chiacchieroni». Nemmeno l’alibi dei parametri europei. Perché si dice convinto che durante il semestre di presidenza della Ue l’Italia farà sentire «la propria voce» agli alleati europei. Proprio perché rispetta tutti i vincoli, sarà in grado di chiedere alla Ue di cambiare le regole «perché non serve a niente avere tutte regole incentrate sull’austerità e sul rigore se la disoccupazione rad- doppia assieme al dolore delle famiglie e delle persone che non ce la fanno più». E che invece ci sarà bisogno di regole che tengano insieme «riforme e crescita», che «è inutile avere parametri economici non servono a rilanciare la crescita». Certo, prima ci sarà il voto (europeo e amministrativo) del 25 maggio. Appuntamento su cui il premier e il Pd stanno scommettendo parecchio. Stamani da Torino Renzi avvierà la campagna elettorale. Con lui Chiamparino, candidato a presidente del Piemonte, le 5 capolista alle europee e centinaia di candidati sindaci che per i propri manifesti elettorali potranno anche farsi una foto esclusiva con il loro oramai ex collega.

L’Unità 12.04.14