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"Referendum, i rischi del voto politico", di Marcello Sorgi

La decisione del ministro dell’interno Maroni di fissare le elezioni amministrative il 15 e 16 maggio (con ballottaggi il 29 e 30) condanna i referendum, che dovrebbero svolgersi il 12 giugno, a una probabile morte per astensione e mancanza di quorum.

Le consultazioni ammesse dalla Corte costituzionale riguardano la privatizzazione degli acquedotti, il ritorno al nucleare e il legittimo impedimento. Se, come chiedono i promotori, fossero abbinati al secondo turno delle amministrative, aumenterebbero le probabilità di raggiungimento del quorum della metà più uno degli elettori, necessario per rendere valido il voto referendario. Se invece, com’è quasi certo, il governo alla fine imporrà il 12 giugno, la morte dei referendum per scarsa affluenza alle urne sarebbe difficile da evitare.

Maroni ha spiegato che intende rifarsi a una prassi consolidata che ha visto nelle ultime tornate elezioni e referendum separati nelle urne. La legge prescrive che le consultazioni referendarie si svolgano in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno, e la scelta del 12, seppure al limite, rientra tranquillamente nelle previsioni. Con i precedenti dalla sua parte, il ministro dell’interno non si farà convincere dalle proteste dell’opposizione e dei promotori dei referendum, che denunciano anche i costi aggiuntivi di voti separati.

Ma questa volta non è proprio del tutto scontato che i referendum debbano fallire. La collocazione in una domenica di inizio estate, certo, penalizza in partenza l’affluenza. Ma dei tre voti previsti – acqua, nucleare e legittimo impedimento – il terzo si presta ad essere politicizzato e trasformato in un referendum su Berlusconi. Anche se la legge-salvacondotto per i processi del premier è stata già ridimensionata dalla Corte costituzionale e cesserà i suoi effetti in autunno, la consultazione potrebbe subire un surriscaldamento a causa dell’andamento dei processo a Berlusconi e della battaglia, già cominciata, sul caso Ruby.

In altre parole se il Cavaliere in un modo o nell’altro, con il conflitto di attribuzione o con nuove leggi ad personam, riuscisse a fermare il procedimento, già convocato per il 6 aprile a Milano, il successivo voto referendario si trasformerebbe in un’occasione di rivincita per quella larga parte di opinione pubblica che vuole invece il presidente del consiglio processato e condannato. Un referendum su Berlusconi: che magari, come altre volte, lo stesso Berlusconi potrebbe vincere, ma del quale, nel dubbio che la mobilitazione contro di lui faccia raggiungere il quorum, non potrebbe certo disinteressarsi, puntando sull’astensione.

Il Sole 24 Ore 04.03.11