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"Il nemico francese", di Filippo Ceccarelli

Ecco, ci mancava giusto il nemico francese. «Alla Francia il petrolio, a noi gli immigrati» si legge su certi manifesti comparsi in questi giorni a Roma. Il vittimismo antifrancese unifica i seguaci della destra sociale di Alemanno a quelli nordisti di Bossi che di fronte al fatto compiuto dei bombardamenti in Libia ha concluso con la consueta eleganza: «Finirà che ce la prendiamo noi in quel posto». Berlusconi è nero con Sarkò.
Raramente gli capita di sentirsi gabbato, e stavolta è successo che mentre lui volava a Parigi, per giunta nel pieno dell´irresolutezza, quell´altro non solo si era già messo d´accordo con inglesi e americani, ma era già partito con i bombardieri. La situazione ricorda l´incipit di una di quelle barzellette che al Cavaliere piace tanto raccontare. Ma il finale è aperto. In Parlamento e fuori il ministro Frattini è stato molto poco diplomatico, la grana sulla Nato e sul comando delle operazioni militari era quasi dovuta, però è arrivata tardi e sapeva di ripicca.
La contemporanea guerra commerciale sulla Parmalat rinfocola, a colpi di decreti legge, l´avversione antifrancese. L´autocompatimento si estende ai tanti, ai troppi posti che Parigi occupa nelle istituzioni finanziarie, Fondo Monetario, Bce. È la variante tecnocratica di un´antica antipatia che i governanti italiani, specie quando si trovano nelle peste per faccende di scontento sociale o di cialtronate che di colpo si rivelano tali, riattizzano con la malcelata speranza di spostare l´attenzione su qualcosa che c´è, che va e viene, un complicato sentimento di amore e odio che scorre nella storia e fermenta nell´immaginario, da Giulio Cesare in giù, da Asterix in su.
Anche le reazioni delle batterie mediatiche berlusconiane sull´impiccio libico appaiono, più che eccessive, un po´ sopra le righe della legittima animosità. All´estero deve sembrare al tempo stesso scontata e ridicola questa improvvisa offensiva italiana contro l´Eliseo. La politica internazionale è un campo che rifugge artifici, semplicismo e improvvisazioni. Un conto è attaccare Bocchino, Santoro o la casa di Montecarlo; altro conto è misurare la propria fantasia polemica – e ancora di più le proprie forze – con una nazione come la Francia.
Tra Libero, il Giornale e Panorama si oscilla tra colpi bassi a base di rivelazioni da servizi segreti sulla Francia che ha armato i ribelli oppure ha venduto a Gheddafi le armi con cui questi li massacra ed effettacci tipo quello con cui si conclude l´editoriale del settimanale di Segrate: «Al di là delle Alpi devono ogni tanto ricordare che nella loro storia non c´è solo il generale Napoleone. C´è anche il generale Cambronne». Figurarsi che peso avranno dato, in quel luogo di assoluta umiltà che è Parigi, all´ammiccante invito di Giorgio Mulè.
Sulla copertina, sotto l´immagine del presidente francese ritratto con la più celebre delle feluche campeggia uno strillo che vorrebbe tanto essere brillante: «Sarkofago», accipicchia. A sinistra si chiarisce il contesto: quel signore lì «voleva trascinarci in un duello mortale. Ecco come l´Italia ha ridimensionato la sua smania di protagonismo». Nella distanza tra l´immagine focosa del «duello mortale» e il mesto participio «ridimensionato» si misurano ragionevoli dubbi e inconfessabili frustrazioni.
Quanto alla «smania di protagonismo», beh, qui da noi negli ultimi tempi un certo protagonismo il potere se l´è pure conquistato sui media, a livello planetario, ma per un altro genere di smanie. Che faranno senz´altro meno male delle bombe e dei missili, francesi o italiani o soprattutto gheddafiani che siano, però insomma, forse è meglio lasciar perdere.
O forse no. Perché in tutto questo c´entrano i peggiori appetiti, c´entra il petrolio, c´entra la geopolitica, l´Africa, il Mediterraneo, i commerci, il prestigio, c´entra tutto quello che rende a volte gli interessi di due nazioni incompatibili. Ma nessuno, in un tempo nel quale la personalizzazione del potere è scappata di mano, riuscirà mai a escludere che il nemico francese è anche un fatto privato: è più di Berlusconi, se proprio bisogna dire, che di Sarkozy.
Troppo simili per non detestarsi. Simili, però diversi quel tanto che basta a concludere, con abbondanti evidenze documentarie e anche visive (una clip in cui il presidente italiano fa il segno al suo collega rumeno che il francese è matto), che il Cavaliere soffre Sarkozy. Dopotutto Chirac – con cui pure le cose andavano sempre abbastanza male – era un vecchio signore. Una volta, nel pieno del primo ciclo di scandali, raccontò che il Cavaliere gli aveva indicato il bidet di camera sua dicendo: «Ah, se queste maioliche potessero parlare!». Non fu simpatico, ma Chirac ormai se n´è andato; ed è arrivato quell´altro. Meno ricco di Berlusconi, d´accordo. Con meno esperienza internazionale, e vabbè. Ma più giovane, più bello, più fico e anche più potente perché lì monsieur le president mica deve penare per avere una firma del Quirinale sul Milleproroghe bis o perdere il sonno per la pronuncia della Consulta. Per non dire – colpo di grazia – del fatto che Sarkò ha come «fidanzatina» una delle donne più belle del mondo.
Si deve a Berlusconi di aver introdotto la categoria dell´invidia nel discorso pubblico; e sempre lui ha introdotto la diplomazia del contatto personale. Quanto basta per chiedersi se l´una e l´altra non gli si stiano ritorcendogli contro.

La Repubblica 26.03.11