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"Le donne politiche sono bellissime (e non intendo la Carfagna)", di Daniela Tazzioli

Appello a Bindi, Finocchiaro, Franceschini, Bersani

Domenica, io, il nonno e la Chicchi siamo andati alla lasagnata di Cervarolo, una festa paesana dove, si capisce, il piatto forte sono le lasagne preparate in tanti modi diversi.
Cervarolo è un paesino che dista pochi chilometri da Fontanaluccia ed è a noi tristemente noto per i racconti che i nostri familiari ci hanno tramandato sul truce eccidio che i nazisti lì compirono il 20 marzo 1944. Ventiquattro uomini furono adunati e uccisi insieme al parroco in un’aia del paese mentre le case, le stalle, i fienili venivano dati alle fiamme.
Il mio papà, che all’epoca aveva solo cinque anni, si ricorda ancora la visione di quel fumo e l’odore di carne bruciata che da Fontanaluccia si poteva sentire. Da qui partì Don Mario, insieme a Bacìn che possedeva un somaro, per andare a vedere cos’era successo. Trovarono un ammasso di cadaveri e la disperazione di un paese così ferocemente colpito perché sospettato di aver fornito ricovero e coperture ai partigiani nascosti fra i boschi.
Cervarolo è un paese piccolo. D’estate conta adesso forse 150 abitanti, in inverno trenta, quaranta, all’epoca dell’eccidio circa 200. Ventiquattro uomini, seppur non più giovani, sottratti a un paese di così piccole dimensioni, è una cifra enorme.
Siamo andati nell’aia perché volevo che la Chicchi vedesse e mi ha fatto una certa impressione pensare che queste aie erano per me e i miei cugini da piccoli luoghi di magia e divertimento assoluto. Adesso sono diventate quasi tutte cortili di case vecchie restaurate per chi viene qui in vacanza, ma anche solo trent’anni fa erano utilizzate dai nostri nonni come fienili, stalle o ricoveri di attrezzi ed era per noi uno spasso potercisi intrufolare e nasconderci, saltare nel fieno o spiare le cugine più grandi che lì si appartavano per amoreggiare.
Quella di Cervarolo è una delle “piccole” stragi che non hanno avuto la risonanza mediatica di altri eventi simili come Sant’Anna di Stazzema o Marzabotto forse perché il numero delle vittime non è altrettanto importante, ma qui, fra le nostre montagne, è un evento di cui si tramanda il ricordo tra le generazioni.
C’è una lapide con una frase commemorativa nel solito italiano retorico che contraddistingue ceppi e marmi della memoria e c’è una frase in tedesco in cui si dice che qui vennero, nel 1985, da Berlino i discendenti degli artefici dell’eccidio per chiedere perdono e riconciliazione.
Non c’è rabbia nella memoria che ci è stata trasmessa, quanto piuttosto serena rassegnazione, come se il miracolo della riconciliazione qui fosse avvenuto davvero. Nei ricordi della nostra famiglia, ad esempio, è sempre stata fatta la distinzione fra i “tedeschi”, che erano quelli buoni dell’esercito regolare e che si fermavano per settimane, per mesi, nelle nostre borgate, e i nazisti che compivano le loro marce lugubri dentro i boschi e nei paesi a caccia dei partigiani e dei loro protettori.
Il mio papà racconta che lui e gli altri bambini giocavano a calcio con l’elmetto dei soldati buoni, che, anche se facevano un po’ paura per le loro divise, erano tristi e malinconici perché pensavano ai loro paesi e alle loro famiglie.
Così, grazie ai racconti di mio padre, io sono cresciuta con l’idea che bisogna sempre distinguere, che non tutti i tedeschi erano nazisti e che i cow-boys non erano affatto degli eroi.
Durante il mese di luglio, qui in montagna, dal lunedì al venerdì, nelle nostre case ci siamo solo io, la Sandra, i vecchi e i bambini. E’ pace assoluta. Dormiamo, leggiamo, parliamo, mangiamo. Nel fine settimana invece arrivano tutti i cugini e gli zii che lavorano giù in pianura e può capitare che nel cortile siamo in cinquanta, settanta persone. Spesso si intavolano discussioni che riguardano questioni familiari, politiche o religiose. Io vorrei solo parlare di letteratura, ma i miei parenti sono in genere più interessati a scambiare opinioni sulla situazione attuale dell’Italia o internazionale. Della Svizzera c’è poco da dire, perché lì non succede mai niente, ma quest’anno, siccome io sono coinvolta in prima persona, sono tutti interessati alle mosse che vari esponenti del PD svizzero hanno messo in atto per rimpatriare gli insegnanti statali impegnati sui corsi di lingua e cultura a vantaggio di enti privati definiti “associazioni di genitori” o “enti pubblici-privati” (…ma sono pubblici o privati?!) a cui starebbe a cuore unicamente la diffusione della lingua e della cultura italiana fra i pargoli discendenti dei nostri emigrati.
In sostanza, il PD, che in Italia è il primo sostenitore della scuola pubblica, in Svizzera sostiene enti e scuole private gestite da cittadini italiani ivi residenti perché, si dice, forniscono servizi essenziali alle italiche comunità locali meglio di noi. Siccome i governi degli ultimi anni si sono abbattuti con scure pesante sui fondi che lo Stato italiano destina al mantenimento di questi enti, un senatore PD eletto in Svizzera ha pensato di chiedere insistentemente il ritiro degli insegnanti statali impegnati nei corsi di lingua e cultura italiana per destinare i fondi così risparmiati a questi enti o scuole di “associazioni di genitori”. L’ultimo tentativo è di questi giorni, in occasione del taglio già pesante preventivato dalla spending review. Va bene il taglio di 400 insegnanti su 997 proposto dal governo, dice il senatore in questione, ma che sia a partire da quelli impegnati sui corsi di lingua e, con i risparmi ottenuti, si girino alcuni milioni di euro a questi enti “pubblici-privati”.
Per convincere i suoi colleghi senatori, il senatore eletto in Svizzera ha costruito e diffuso un dossier con lettere di genitori di alunni dei corsi di lingua italiana che si lamentano del cattivo operato degli insegnanti statali impegnati su tali corsi.
Di queste lettere, cinque provengono da un piccolo paesino dei Grigioni che, per ragioni familiari, conosco benissimo. Delle cinque spedite dal cantone di Zurigo due provengono da un paesino e due da un altro. Una arriva dal canton Svitto (non ridete: è l’italianizzazione di Schwyz), una dal cantone di Neuchâtel, una da un ente di Berna che sta per fallire e due dalla Germania.
A parte che certe affermazioni rasentano la diffamazione, tipo che noi perdiamo continuamente alunni e gli insegnanti degli enti no, che noi per completare la cattedra rubiamo le ore a loro (ma il privato non interviene nella scuola solo laddove non può arrivare il pubblico? se c’è un insegnante statale che deve completare la cattedra, perché lo Stato deve continuare a pagare un privato al suo posto?); a parte il fatto che c’è da chiedersi se in un paesino del canton Zurigo e in uno dei Grigioni non siano finiti dei colleghi particolarmente incapaci, ma si può verificare e, nel caso non fosse così, segnalare il danno alla loro reputazione; a parte che, averlo sospettato, ci mettevamo veramente poco a costruire anche noi un bel dossier di lamentele sull’operato degli enti e dei loro docenti (ma non si fa! non si fa! non siamo mica la Stasi o il Giornale, su!) e comunque lo avremmo fatto il più possibile completo, ad ampio raggio cioè, prendendo da tutti e cinque i continenti, non solo dalla Svizzera; a parte tutto questo, insomma, io mi chiedo come sia possibile che tanti illustri senatori, fra cui, naturalmente, quelli dell’ala riformista-veltroniana del PD, si siano bevuti la bufala che quindici lettere su un gruppuscolo di insegnanti statali di stanza nella Svizzera nord-orientale rappresentino un dato epidemiologico significativo dell’inettitudine dell’intera categoria dei docenti statali all’estero.
Eppure, a quanto pare, lo sdegno ha attraversato per giorni le aule sinistre del Senato della Repubblica, visto che, a più riprese, la Commissione Bilancio, incaricata di esaminare la spending review, ha pensato di prendere in considerazione la proposta di rimpatriare dapprima tutti i docenti statali dei corsi e destinare milioni di euro a tutti quelli che –assunti in loco dai privati- dovrebbero sostituirli.
Mi sono battuta in questi mesi contro questo disegno volto a smantellare quel poco di istruzione pubblica rimasto all’estero per diversi motivi. Molti penseranno che l’ho fatto per salvare, in primis, la mia pelle. Non è così. Innanzi tutto, per fortuna o mio malgrado, io me la salvo comunque, dal momento che la cittadinanza svizzera e i titoli e i diplomi di cui dispongo mi permetterebbero di rimanere in quella che è la mia seconda patria, nel caso volessi. In secondo luogo, chi conosce la mia storia sa bene che effetto ha su di me la constatazione di un’ingiustizia: lotte e vittorie contro ospedali, case automobilistiche, nonostante in partenza io mi sentissi sempre come Davide che sfida Golia.
Ma contro il Golia della Svizzera ovvero il più grande partito italico di maggioranza relativa nei suoi apparati e dirigenti e parlamentari, la lotta è stata da subito impari. Nel PD però non tutti sono, per fortuna, riformisti-veltroniani, qualcuno è rimasto comunista, e così si è creata una questione che ha portato quelli che già si impegnano concretamente e attivamente per sostenere l’istruzione pubblica in Italia a difendere, coerentemente, anche quella all’estero.
Il governo Monti –che, lo dico subito mi è quasi più antipatico di quello Berlusconi perché preferisco un nemico riconoscibile come il burlesque al potere che uno infido come il sérieux di banchieri e professori-, allora il governo Monti, così supponente in materia economica da voler impartire lezioni a tutti e così ignorante in materia scolastica da far pensare che nessuno dei suoi membri abbia mai frequentato una scuola pubblica, ha sfruttato la litigiosità interna del PD per cassare le proposte dei sostenitori della scuola pubblica che ci volevano salvare tagliando il 10% dell’indennità di tutti i dipendenti del Ministero degli Esteri (di tutti, compresi gli insegnanti) e sarebbe stata una proposta ragionevole che avrebbe portato il governo a risparmiare molti più milioni di euro di quelli dati dal rimpatrio dei 400, ma vallo a spiegare a Terzi che vuoi tagliare i 20.000 euro che guadagna un ambasciatore, lui che fino a pochi mesi fa era ambasciatore a Washington… Il governo Monti, visto che il PD litigava con sé stesso, ha sfruttato quest’ennesimo dissidio interno per cassare anche le proposte del senatore che dicevano sì al rimpatrio ma con priorità sui docenti dei corsi di lingua e poi girare i soldi agli enti “privati-associazioni di genitori”.
Io non so perché questo senatore ce l’abbia tanto con noi e non capisco come possa avercela con noi un signore la cui consorte è stata per tantissimi anni insegnante statale in Svizzera, quando ancora il mandato era pressoché illimitato e i privilegi di cui godeva questa categoria degli insegnanti statali all’estero erano ben più consistenti di quelli attuali. Mi dispiace che un senatore di un partito di sinistra voglia sostenere il privato a discapito dell’istruzione pubblica. Non ce l’ho con lui, anche se non capisco perché sia arrivato al punto di costruire un dossier contro di noi per suffragare le sue tesi. Io, per esempio, un dossier su di lui non lo costruirei mai perché, innanzi tutto, non saprei proprio da dove cominciare e poi, ripeto, per me è una cosa che non si fa o non si dovrebbe fare perché mi sembra quasi un’indecenza rivelare a tutti i senatori della Repubblica le carenze professionali di due o tre maestri. Non ho mai sentito che il caso di un maestro assenteista fosse finito in Senato. Di solito, in questi frangenti, si informa il dirigente scolastico, il quale poi eventualmente prende provvedimenti.
Ma la cosa che in tutta questa vicenda mi fa star più male, da prof. emiliana di sinistra che ha pure votato alle primarie del PD, è quella di constatare l’ennesima figura meschina che ci fa un partito che annovera, al suo interno, anche persone rette, oneste, che si spendono per la cosa pubblica con una dedizione che rasenta la fede delle claustrali o l’abnegazione di Madre Teresa di Calcutta. Io non riuscirei mai ad impegnarmi così tanto in nessuna causa al mondo e per questo nutro un’ammirazione sconfinata per chi, nel marcio della politica italiana, riesce a farlo, attirandosi magari anche le ingiurie di tutti quelli che superficialmente sbraitano che i politici sono tutti uguali. No, non è vero che i politici sono tutti uguali, ma il PD che continua a fare tutte queste figuracce, a me che sono una prof. emiliana di sinistra e ho avuto la Bastico come sindaco, mi fa proprio star male.
Allora vorrei dire semplicemente alcune cose ai suoi capi, per vedere se, almeno sfogandomi, mi passa un po’ la delusione.
Cara Anna Finocchiaro, caro Dario Franceschini, caro Pierluigi Bersani, cara Rosy Bindi, che continuate a sostenere un “governo-salva-chi?” e voterete la fiducia sul decreto che ci decurta del 40%, potete anche rimpatriarci tutti, ma ci dovete spiegare perché permettete che alcuni vostri compagni di partito continuino a sostenere che, con i soldi dei tartassatissimi contribuenti italiani, si debbano finanziare questi enti privati di diritto svizzero che assumono insegnanti locali con criteri di pura cooptazione, con contratti di diritto svizzero e quindi con retribuzioni non certo inferiori a quelle di noi docenti inviati dall’Italia che le tasse le paghiamo in Italia.
Ci dovete spiegare perché le tasse dei succitati supertartassati contribuenti italiani debbano finire nelle casse di enti di diritto svizzero che poi le tasse le pagano all’erario dei vari cantoni svizzeri in cui operano. Personalmente, mi dà alla testa pensare che un solo centesimo dei contribuenti modenesi non venga destinato alla ricostruzione delle nostre scuole o a risanare i bilanci dissanguati dei nostri comuni, ma speso per rimpinguare le casse dei cantoni di uno degli Stati più ricchi del mondo.
E poi, dopo che avrete votato il decreto “spacca-tutto” del “governo-salva-chi?”, come spiegherete ai 22.000 umiliati dell’Ergife ovvero tutti quei docenti statali che, dopo anni di precariato, ruolo, abilitazioni, concorsi, hanno sostenuto, a proprie spese, un concorso durato una settimana nel bunker dell’Ergife, con modalità al limite della legalità, unicamente mossi non dalla speranza, ma dalla disperazione di volersene andare dall’Italia, paese in cui la scuola è ormai da anni politicamente e concretamente disprezzata, che quel concorso è stato davvero una farsa perché, con i tagli, non potranno mai partire? La Francia invia all’estero 6.500 docenti, noi 1.000 e adesso 600. Che cos’ha la Francia di cultura da esportare in più dell’Italia? Forse che la patria di Molière è un prodotto meglio esportabile della patria di Dante? No, c’è chi dice, meglio far ricorso a “insegnanti locali” perché anche se non padroneggiano perfettamente la lingua di Dante, sono comunque in grado di esportarla, insegnarla, promuoverla, unicamente perché sono cittadini italiani che parlano abbastanza bene l’italiano e, perfettamente, il dialetto basilese.
Distinguiamo pure: ci saranno enti buoni e enti cattivi, ma voi ci credete davvero alla storia che questo personale assunto in loco sia in grado di insegnare meglio una lingua e una cultura di chi la insegna per mestiere e la vive in un contesto vivo e attuale? E poi vi sembra credibile che un insegnante che si reputi tale, nato e cresciuto in Svizzera, abbia bisogno, per svolgere il proprio mestiere, di dipendere dai fondi dello Stato italiano? Sapete che il tasso di disoccupazione in Svizzera è del 3,1% e che c’è una tale carenza di insegnanti che le scuole li cercano con annunci via internet o sui giornali? Ma il fatto è che per insegnare nelle scuole svizzere non è sufficiente sapere la lingua del luogo, altrimenti tutti i miei parenti contadini e pecorai grigionesi sarebbero immediatamente assunti nelle scuole locali per insegnare retoromancio o tedesco, considerata la carenza di docenti che anche lì si registra. Ci vogliono titoli e diplomi anche in Svizzera, non basta l’esperienza maturata lavorando per enti italiani di “associazioni di genitori”.
Cari Finocchiaro, Franceschini, Bersani e Bindi, venite, per favore, a conoscere chi ci sostituirà, dopo che ci avrete rimpatriati. Venite a Basilea, da dove è partita tutta questa bella storia, vi ospito io, non c’è bisogno che spendiate soldi del partito o dei contribuenti. Vi posso anche portare a mie spese a prendere l’aperitivo a Les Trois Rois, se volete concedervi un po’ di svago estetico-déluxe. Oppure, se vi piace l’arte, l’architettura, il design, vi posso accompagnare alla Fondation Beyeler, al Vitra, al Kunstmuseum se avete gusti più classici. Se vi piacciono le bestie posso portarvi allo zoo, che è un magnifico parco, o in Alsazia sulla montagna delle scimmie dove vivono centinaia di scimmie in libertà oppure a vedere le cicogne che lì ce ne sono moltissime. Te, Rosy, poi, ti porterei magari anche a visitare la “libera chiesa di Sant’Elisabetta”, gestita insieme da cattolici e protestanti, dove c’è un bar nel campanile e qualche tavolino nella navata di sinistra e il sabato sera spostano tutti i banchi per farci una serata disco anni ’70. Non ti scandalizzare, Rosy. Il Vaticano non solo è al corrente e tollera che qui si facciano culti per persone a lutto oppure per gay e lesbiche. La chiesa cattolica partecipa attivamente con preti, diaconi e consulenti spirituali e finanzia questa libera chiesa perché sa che se non vuole perdere quei pochi fedeli rimasti sul suolo elvetico è meglio che si allei con i protestanti per offrire uno spazio di dialogo ecumenico, di incontro reale ai bisogni delle persone. Tu non sei una che andrebbe volentieri nella chiesa di Sant’Antonio, dove celebrano la messa in latino secondo il vecchio rito tridentino, credo. Ma se vuoi fare anche quell’esperienza lì, io ti ci accompagno, perché a Basilea c’è anche questo, uno spazio religioso per i cattolici conservatori, ma, ripeto, te non mi sembri fatta di quella pasta lì.
C’è anche la parrocchia italiana, se vuoi, che, anche se ha tratti un po’ folcloristici, piace molto al mio papà. Magari potresti incontrarci alcuni tuoi compagni di partito e se proprio vuoi andare a prender messa lì, non mi tiro indietro anche se, secondo me, volendo un po’ fare un’esperienza diversa, sarebbe meglio concentrarsi su ambienti nuovi.
C’è anche la chiesa riformata italiana a Basilea, che è legata a quella valdese, e il presidente della comunità è un italiano egittologo rettore dell’università. Vedi che chi ha capacità e titoli, seppur esperto di un argomento così specialistico come la coptologia, in Svizzera non fatica a far carriera anche ai massimi livelli? Senza bisogno dei fondi dello Stato italiano ovviamente.
Lo sai che a Basilea c’è la più antica università della Svizzera e lì ci hanno insegnato Erasmo, Nietzsche e anche Karl Barth? Erasmo è sepolto in cattedrale e ti ci accompagno volentieri a rendergli omaggio, se vuoi.
Insomma, cari Anna, Dario, Pierluigi e Rosy, venitemi a trovare e vi farò conoscere anche tanti italiani onesti e di sinistra che, siccome si son disamorati del PD locale, sono passati a SEL. Magari, a vedervi in una veste così informale e meno istituzionale, si riaffezionano e li convincete a tornare a votare PD.
Intanto io qui in montagna, proprio perché sono convinta che il qualunquismo sia la linfa che alimenta gli albori delle dittature, discuto con i miei cugini perché anche se non siamo più cattolici, non possiamo identificare l’anima nera del Vaticano con il cattolicesimo tout court. Così come i nostri padri, nonostante il fumo di Cervarolo, ci hanno insegnato che non tutti i tedeschi erano nazisti, in tutta questa vicenda abbiamo avuto modo di constatare che sì, è vero, il PD assomiglia proprio un po’ alla chiesa cattolica, con quella vocazione universale ad accogliere tutte le anime, da quelle più conservatrici ai dissenzienti, ma è un partito i cui rappresentanti sono anche persone perbene, che vivono ed intendono la politica come servizio alla collettività, senza sperperarne i denari faticosamente raccolti, in nome di un’idea che si richiama all’equità e alla giustizia sociale, alla trasparenza, alle pari opportunità, e non sempre si riempie la bocca di parole che andrebbero impiegate in tutt’altri contesti, come “rottamazione”, “enti pubblici privati” o “bellezza”.
Leggete prima Virginia Woolf e andate a vedervi il faro di Gita al faro se volete avere un’adeguata visione di bellezza, cari Anna-Dario-Pierluigi-Rosy! Fatevi un giretto per le vie di Modena di questi giorni, se volete vedere che cos’è una civiltà bellissima.
Io non c’ero quando la nostra terra ha tremato e adesso passeggio per le vie del centro di una città vuota e bellissima, spaventata ma non piegata dai crolli e dalle crepe che qui solo in parte l’hanno ferita e a pochi chilometri più a nord duramente colpita.
Finale, San Felice, Cavezzo, Medolla, Mirandola, San Possidonio, Concordia, Novi, Rovereto, persino Carpi: non ci sono pascoli e boschi ad ammorbidire la superficie della terra che è così piatta e così arsa da far quasi trovare normali le crepe che in questi mesi l’hanno lacerata. Non c’è un’altura, uno scudo di colline che possa delimitarne i confini, ma solo barriere atmosferiche di nebbia fitta in inverno e canicola di linee gialle insopportabili alla vista in estate. Per questo a noi modenesi della Pedemontana la Bassa è sempre sembrata una terra depressa: lo era economicamente in passato rispetto alla più prospera cintura industriale delle nostre colline e lo era per quei paesi desolati costruiti intorno a aride stradine, con basse case senza pretese e cumuli di pietre antiche trasformate in castelli e torri della memoria. La Bassa era depressa ma era sicura, mentre noi eravamo abituati a terreni più fragili e sconnessi. Ma una notte di maggio, a Finale, la torre dei Modenesi, il baluardo dei nostri confini, attraverso il quale i Veneziani facevano il loro ingresso ufficiale nelle terre del ducato, si è accartocciata e si è sbriciolata. E la gente della Bassa si è ritrovata senza più storia e senza un tetto sulla testa e quell’antica saggezza di saper vedere la realtà al di là delle apparenze (questo ci insegna la nebbia) improvvisamente dissolta.
Le case dure con i muri di pietra e mattoni e i tetti di tegole non hanno retto all’onda d’urto dell’imprevisto. Meglio le palafitte dei nostri antenati terramaricoli, piantate su un terreno instabile e insidioso, ma meno minaccioso di quello bonificato da secoli di cura e sudore.
Osservo la mia terra che trema e la gente che non crolla. Osservo le immagini della mia terra scossa e mi stupisco quasi perché, ancora una volta, la gente sopravvive, si rimbocca le maniche e “tiene botta”.
Ecco, questo è bello e questo è buono, kalòs kagathòs, cari compagni del PD della Svizzera e del parlamento italiano. La dignità della gente di Carpi e della Bassa, che tira su i ponteggi, ricostruisce, riparte a lavorare e non si lamenta. La tenacia della gente di Cervarolo che cucina lasagne in una domenica di luglio per racimolare quattro soldi perché il paese, sopravvissuto alla ferocia, sopravviva ora all’oblio e all’abbandono.
Questa è la bellezza senza retorica della poetica di Virginia Woolf, dei volti operosi della mia gente che traballa ma non crolla, di una città svuotata perché impaurita ma che sa conservare, anche se ferita nella sua integrità fisica, la sua integrità morale.
Altro che i miti kennedyani, anglicizzanti o eleveticizzanti di cui si alimenta una certa retorica riformista di partito che vorrebbe farci credere che sarà questo tipo di bellezza importata a salvarci! Per favore, Anna-Dario-Pierluigi-Rosy, stiam bene attaccati alle nostre radici e a questo tipo di bellezza che, in politica, non può che tradursi in gesti buoni, onesti, limpidi e concreti.
Comunque, adesso la smetto di appellarmi a questi vertici perché mi sembra quasi di essere un devoto che si raccomanda ai santi in paradiso e questi politici non sono affatto dei santi e la politica non è un paradiso.
Ma vorrei dire a tutti i qualunquisti, che siano miei fratelli, cugini, parenti o colleghi, che, in questi mesi in cui la politica che si fa a Roma mi ha sfiorato solo di striscio ma mi ha lasciato qualche segno come mai mi era capitato nella vita, io, che già sapevo che non è vero che i politici sono tutti uguali sennò non avrei scelto Massimo Mezzetti come presentatore di Puro amore o l’Adriana Querzè per le Fiabe dal nord, in questo giro ho avuto la conferma che non è vero che i politici del PD sono tutti uguali.
Ho conosciuto un Omino Politico con cui ho animatamente discusso perché lo ritenevo cieco e succube dei disegni di chi voleva farci la pelle, mentre ho scoperto una protervia, una forza morale al servizio dell’idea che, nel suo operato politico, vuole affermare al limite dell’utopia, che mi ha sorpreso e fatto capire come sia difficile lavorare per chi, in un partito, è incaricato di mediare, ricomporre fratture, cercare di far ragionare l’irragionevole.
Gli ho detto l’altra sera al telefono che, in tutta questa vicenda, ho conosciuto un volto marcio della politica e un volto buono e il suo è uno di questi volti buoni. Che io li ammiro, questi politici, (diciamo soprattutto le donne), che si fanno in quattro per servire, anche nelle più oscure e modeste vicende, il nostro povero paese e che, proprio perché non sono una qualunquista, gli raddoppierei lo stipendio a quei parlamentari (forse pochi, non lo so) che lavorano venti ore al giorno al servizio del paese. Non è riducendo i compensi dei parlamentari che si risana il bilancio di uno Stato così malandato, ma è distinguendo i buoni dai cattivi. Non è rimpatriando quei pochissimi insegnanti statali all’estero che si fa spending review, ma rilevando e decurtando con precisione gli sprechi. Non tutti i tedeschi erano nazisti e non tutti i politici sono brutti e cattivi. Le Donne Politiche della mia terra, per esempio, sono tutte bellissime e sono loro che, in questi mesi, mi hanno mostrato, insieme all’Omino, il volto buono della politica.
Resistere, resistere, resistere, informarsi, impegnarsi, discutere, distinguere, agire anche quando sembra impossibile che un bene piccolo piccolo possa vincere su un male più grande. Mai rassegnarsi alla Svizzera come destinazione finale. La Svizzera è un miraggio che abbaglia i poveri di tutto il mondo, ma soprattutto i poveri in spirito. Tutto è monetizzato, persino il diritto al suicidio che è legalizzato non per ragioni umanitarie ma per evitare i costi sociali che un atto incontrollato comporterebbe. Paghi le tasse e lo Stato ti dà gratis la droga, paghi e hai diritto alla migliore assistenza sanitaria del mondo, paghi e hai diritto al suicidio. In una recente classifica sul tasso di suicidi in quaranta paesi d’Europa, la Svizzera risulta essere al nono posto, l’Italia al ventisettesimo, la Grecia al trentacinquesimo. A forza di vivere in Svizzera si rischia di illudersi che tutto si possa comprare, ma io non so se poterci permettere di pagare il diritto al suicidio ci renda umanamente migliori o solo più disperati.
Adesso però mi fermo e riprendo a scrivere di Angelica, nella speranza che il PD la smetta di litigare e di avallare decisioni che vanno contro i suoi ideali di partito di sinistra e di non essere infine io costretta a scegliere fra la mia terra e un paese che è in grado di garantire un futuro a mia figlia, ma nel quale io non vorrei vivere né morire.

Sull’eccidio di Cervarolo segnalo il film “Sopra le nuvole” di Riccardo Stefani e Sabrina Guigli.

da http://www.dtazzioli.blogspot.it/2012/07/le-donne-politiche-sono-bellissime-e.html

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