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“Zagrebelsky: ‘La Costituzione è viva perché ancora è difesa’”, di Carmelo Lopapa

ROMA – «Si sta perdendo il senso delle istituzioni. E nel giorno in cui le istituzioni si faranno coincidere con le persone che le incarnano, allora si sarà fatto un balzo indietro di secoli. Quel giorno saremo senza difese, l´oggettività delle funzioni pubbliche sarà sostituita dalla soggettività di chi è chiamato a ricoprirle. Saremo completamente esposti alle loro virtù, ma anche ai loro vizi».

Professore Gustavo Zagrebelsky, siamo a un nuovo scontro istituzionale, dove porterà quel che sta accadendo?
«Stiamo toccando con mano il conflitto che era latente da tempo tra due concezioni della democrazia, quella che ruota attorno alla Costituzione, che prevede una democrazia liberale basata sulla divisione dei poteri e sui controlli reciproci, e quella incipiente che si basa sull´investitura popolare-elettorale, sulla presunta onnipotenza di colui che ottiene quell´investitura: una concezione che può portare a un dispotismo in forma democratica».

Il presidente del Consiglio parla invece di contrasto tra Costituzione formale e materiale. È così?
«Quando la Costituzione formale non corrisponde più a quella materiale viene travolta dai fatti, dagli eventi. E ci si rende conto subito che sta accadendo perché la violazione costante e consistente della Costituzione formale non provoca reazioni: è la conferma che nessuno è più disposto a difenderla».

Le reazioni dei presidenti della Repubblica e della Camera all´ultimo attacco di Berlusconi agli organi di garanzia dimostrano il contrario.
«Esatto. La Costituzione è viva perché ancora difesa. Ci sono forze che reagiscono. Non si può chiedere al capo dello Stato, alla Consulta, al sistema della giurisdizione di abbracciare una qualche vaga costituzione materiale. Hanno giurato fedeltà alla Costituzione, se abbracciassero un´altra visione, tradirebbero il loro compito».

Anche per questo il capo dello Stato è tornato nel mirino del premier?
«È stata ripetuta un´affermazione che, per chi la fa, suona come un´accusa: gli ultimi presidenti della Repubblica sono stati eletti da maggioranze di centrosinistra o hanno essi stessi una storia personale di sinistra. Ebbene, questo genere di considerazione dimostra che si è completamente perso il senso delle istituzioni. Il capo dello Stato non è eletto da una maggioranza politica, ma dal Parlamento. Non si può dire: vieni da sinistra dunque non sarai imparziale. Questo è un modo particolarmente rozzo di procedere, come se le istituzioni non esistessero ed esistessero solo gli uomini».

Anche la Corte Costituzionale, che lei in passato ha presieduto, viene considerata organo politico, quasi il braccio armato della magistratura. È un punto di non ritorno?
«Vale lo stesso ragionamento. Gli uomini e le donne che esercitano quelle funzioni hanno una loro storia, ma questa non condiziona il loro modo di fare giustizia, sia essa ordinaria che costituzionale. Io ho presieduto la Consulta e posso dire che nella Corte si ragiona in diritto costituzionale, non secondo le preferenze personali. Invece siamo alle prese con una persistente personalizzazione che travolge le istituzioni».

Ma la decisione sul lodo Alfano non ha smentito la sentenza del 2004 sul lodo Schifani?
«Hanno detto questo. Ma è falso. Si dovrebbero leggere le carte. La scheda di lettura preparata dagli uffici del Senato nel luglio 2008 aveva correttamente avvertito il legislatore che la Corte non aveva affatto dato via libera alla nuova normativa con legge ordinaria. Se si sapesse leggere, se non si dicessero menzogne!»
Il premier Berlusconi ha rilanciato da Bonn la riforma costituzionale. La preoccupa?
«Si può immaginare che il presidente del Consiglio abbia in mente un sistema costituzionale nel quale l´investitura popolare abbia la meglio su ogni limite e controllo. Nella dottrina si distingue tra il rex facit legem, il governante che si fa la legge su misura, e il lex facit regem, il governante che sta sotto la legge. In questa distinta formuletta sta tutta la questione italiana. Il rischio è di passare dallo stato di diritto allo stato della forza. E forza può essere anche quella di una maggioranza».

Professore, ma è più pericoloso il potere illimitato di una persona o di una maggioranza?
«Il dispotismo delle masse è molto più pericoloso. La democrazia, intesa in modo così rozzo, è solo la moltiplicazione della forza dispotica».

Ieri a dire il vero è stato il premier a rivendicare il suo ruolo di capo «forte e duro».
«In un sistema ben funzionante dovremmo ambire a istituzioni forti, non a uomini forti. L´uomo forte mortifica le istituzioni, uniche garanzie contro gli estremismi, e infine le fagocita. Ma l´impressione, la preoccupazione è che delle istituzioni se ne sia perso il senso».

La Repubblica, 11 dicembre 2009