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“Noi, i ragazzi fantasma”, di Flavia Amabile

In aumento i minori stranieri residenti in Italia e quelli che sfuggono a ogni registrazione secondo il rapporto di Save the Children. Ogni viaggio è un rischio, ogni ingresso in un Paese significa poter finire nelle mani di trafficanti, contrabbandieri e sfruttatori di ogni tipo ma sono sempre di più i minori stranieri che entrano nel nostro paese. Lo fanno via mare ma anche dalle frontiere terrestri del nord est, spesso da soli, a volte al seguito di adulti che in cambio di pochi spiccioli li costringono a fare di tutto. Sono stati 6587 nel 2009 secondo il primo Rapporto annuale sui minori stranieri in Italia di Save the Children.

Mentre il Parlamento sta discutendo una legge che non affronta il problema, negli ultimi sei anni il numero di minori residenti è notevolmente cresciuto, passando da 412.432 al primo gennaio 2004 agli 862.453 allo stesso giorno del 2009. La maggior parte dei minori stranieri residenti è nata in Italia: circa 519 mila. Gli altri sono arrivati attraverso il ricongiungimento familiare.

Quello dei minori non accompagnati è un problema serio e per il 2010 il ministero del lavoro e delle politiche sociali ha annunciato lo stanziamento di 15 milioni di euro in favore del Programma nazionale di protezione. Ma è un problema serio anche la situazione dei minori nati in Italia che a diciotto anni si trovano all’improvviso piombare nella clandestinità. Martedì gli immigrati di seconda generazione si ritroveranno davanti alla Camera per un sit-in di protesta mentre la Comunità di sant’Egidio domani ne discuterà in un convegno.

I ragazzi «non accompagnati», al 30 settembre 2009 sono 6.587 quelli segnalati al Comitato Minori stranieri, il 77% dei quali (5.091) risulta essere non identificato. I minori censiti provengono da 77 Paesi, in prevalenza africani. I gruppi nazionali più numerosi sono quelli del Marocco (15% del totale), Egitto (14%), Albania (11%), Afghanistan (11%). Rispetto allo scorso anno sono aumentati egiziani e afghani mentre sono diminuiti marocchini, albanesi e palestinesi. Nove su dieci sono maschi e più della metà dei minori ha 17 anni.

Uno su tre approda sulle coste delle regioni meridionali, e di questi quasi la totalità (il 95%) a Lampedusa. Oppure arrivano via terra o in aereo a Fiumicino Gorizia, Brindisi, Ancona e Malpensa. Arrivati in Sicilia e inviati alle comunità d’accoglienza per minori dell’agrigentino, molti però scappano poco dopo: secondo Save the Children, tra maggio 2008 a febbraio 2009 sono stati 1119 i minori fuggiti su un totale di 1860 accolti. «Questi ragazzi si lasciano alle spalle situazioni di grande povertà e mancanza di prospettive e sono quindi fortemente determinati a lavorare per aiutare sè e la propria famiglia di origine», spiega Valerio Neri, direttore generale dell’organizzazione. «E ciò spiega perchè scappino quasi subito dalle comunità».

Dopo aver letto il rapporto di Save the Children ho raccolto le storie di due ragazzi.

Di Ali si conosce un pezzo di vita, l’unica in cui lui – uno dei ragazzi-fantasma – è emerso dalla clandestinità. Non racconta come sia giuntoa Roma ma come tutti gli afghani dopo aver percorso migliaia di chilometri nascosti in camion, containers, cassoni. Sono viaggi che durano mesi, anni.

Di Ali si sa che ad un certo punto lo scorso inverno è apparso a Roma. Poteva avere 16 o 17 anni. Ai volontari dell’organizzazione «Save the children» ha raccontato di aver incontrato un altro afghano al suo arrivo e di avergli chiesto aiuto per trovare un posto dove dormire. L’amico lo porta al piazzale Ostiense, il grande dormitorio all’aperto degli afghani nella capitale. «Abbiamo camminato in strada, e abbiamo visto che tante persone dormivano in mezzo la strada, ero molto confuso vedendo quelle persone», racconta Ali.

«Dopo mi sono trovato un posto anche io, un ragazzo mi ha dato una piccola corperta, ho avuto molto freddo in mezzo a quella strada. Il giorno dopo ho avuto molta sete, ho cambiato posto e sono andato a cercarne un’altro». Riesce a trovare una casa, niente di più di un luogo dove stiparsi su un pavimento a decine. Gli altri lavorano di giorno e si ritrovano lì la notte per dormire. Ali non ha un lavoro, di giorno gironzola dalle parti di piazzale Ostiense dove almeno c’è chi parla la sua stessa lingua.

Una sera lo trovano lì i volontari di «Save the children». Gli spiegano quali sono i suoi diritti, non è maggiorenne, può restare in Italia fino al compimento dei diciotto anni, può studiare. Ali non risponde nulla ma ci pensa e intanto racconta. «Una notte stavo dormendo e verso le 3 del mattino stavo piangendo per la mia vita. Ogni tanto le persone del piazzale Ostiense ci creavano problemi».

In tutto rimane in Italia almeno un mese. Un giorno riesce anche a mettere insieme i soldi per chiamare casa. Gli risponde la madre. «Le ho detto: io sto bene qui, ho trovato casa e da mangiare». Ma fra le persone del piazzale ci sono anche dei suoi parenti. Sanno che Ali sta in parte mentendo per non far preoccupare i suoi. E le raccontano la verità. In Italia non c’è futuro, gli adulti lo sanno, e ai più piccoli consigliano di andare via, di proseguire il viaggio verso il nord Europa dove una nuova vita si riesce sempre a crearla. «Mia mamma mi ha chiamato e si é messa a piangere», racconta infatti Ali. Qualche giorno dopo non era più a piazzale Ostiense.

Kossi ha 17 anni e arriva dal Togo, dove i bambini possono anche essere venduti come schiavi e i missionari cattolici sono spesso gli unici a addentrarsi fin nei villaggi più sperduti per insegnare ai più piccoli a leggere e scrivere. Kossi infatti è cattolico, come molti nella sua regione, dell’Italia conosce Roma e il Papa.

Ad un certo punto decide di andare via. Lo fanno in tanti tra i suoi amici. Risale l’Africa come può fino ad arrivare in Libia. Di lì con i soldi che è riuscito a non farsi rubare durante il viaggio acquista un posto su una delle ‘carrette’ in partenza. Superano le onde e arrivano in Sicilia. Lo portano in una comunità a Palermo. Resiste tre mesi poi scappa. Da solo nelle strade di Palermo fino alla stazione. Da quel momento anche lui è un ragazzo-fantasma.

Arriva a Roma qualche mattina dopo. «Sono le 07:30 – racconta ai volontari di Save the children – fa freddo, tutti hanno il giubotto, ben protetto, vado verso un caffè, faccio colazione, esco di nuovo e mi dico che la prima delle cose da fare è di andare alla Basilica di San Pietro».

Trovare la strada non è difficile, basta prendere uno degli autobus in partenza dal piazzale della stazione. «Arrivo, è bello, c’è un sacco di gente di parecchi Paesi, ho fatto vari giri della Basilica. Osservavo e mi facevo delle domande, tutto era fatto alla perfezione e un certo punto mi sono detto: ma devi trovare un angolo per passare la notte. Chiedo alla gente e mi indicano la polizia piu vicina, ci vado mi spiego e l’indomani mi accompagnano in un centro».

E’ appesa ad un filo sottilissimo la vita dei ragazzi-fantasma. Basta incontrare la persona sbagliata e si perde del tutto la strada, si può finire ovunque. A Kossi va bene. I passanti lo portano alla polizia. E’ lì che lo segnalano alla sala operativa sociale e gli trovano un posto in un centro di pronta accoglienza. Da quel momento non è più un fantasma, viene registrato, inizia a frequentare il centro di Save the Children. Nel frattempo fa palestra e si iscrive anche a una scuola di calcio. Con il suo fisico in campo pochi riescono a fermarlo. Ora ha diciotto anni. Non potrebbe più restare in Italia. Ha fatto domanda di asilo se non come rifugiato politico come persona che ha subito maltrattamenti in patria. Spera che venga accolta, altrimenti anche lui dovrebbe tornare ad essere un ragazzo-fantasma.
La Stampa 20.12.09