ambiente, economia, lavoro

Per ricordare

Cos’è un terremoto? E’ l’inizio di una tragedia, cicatrice che quando colpisce una città apre ferite che sanguineranno per anni, che quando colpisce una comunità interrompe il corso della vita delle famiglie, i ritmi di lavoro, le ore della scuola, che quando colpisce una famiglia fa sì che le ultime parole dette a qualcuno rimarranno scolpite nella memoria.
Un anno fa alle 3 e 32 del 6 aprile 2009 questo terremoto ha colpito tante città, decine di comunità, migliaia di imprese, decine di migliaia di famiglie facendo de l’Aquila e del suo circondario in una notte di aprile che a dispetto del calendario era ancora invernale un grande sepolcro, un territorio fantasma.
Al mattino ai nostri occhi appariva qualcosa di sconvolgente: un centro storico raso al suolo, volte di chiese in piedi ancora ma senza più colonne a reggerle, e strade diventate crateri con macchine in bilico sull’orlo, persone bianche di calcinacci che scavano a mani nude, anche in pigiama o in mutande, cercando fratelli, madri, figli, mogli tra le rocce, impastando le lacrime al sangue e al sudore. E intanto c’era chi nel cuore della notte rideva, si fregava le mani pensando al business della ricostruzione, come abbiamo scoperto pochi mesi fa con le indagini sulla ricostruzione.
La notte del 6 aprile 2009, la notte del terribile terremoto in Abruzzo, nel corso di alcune intercettazioni ordinate dal giudice delle indagini preliminari Rosario Lupo nell’ambito delle indagini sulle vicende de La Maddalena, si sentono due imprenditori, Francesco De Vito Piscicelli e Pierfrancesco Gagliardi, che gioiscono e ridono in previsione degli appalti per la ricostruzione de L’Aquila.
Il PD ha chiesto se questi imprenditori partecipano ai lavori, ma il Governo non ha risposto. In quell’indagine è coinvolto anche uno dei tre coordinatori del PDL, Denis Verdini, un personaggio che sulla scena abruzzese si è rivelato davvero triste, tanto da arrivare a intimare ai deputati e senatori abruzzesi di organizzare pullman di terremotati che dovevano recarsi a Roma per riconoscenza verso Berlusconi, gettando nel tritacarne i terremotati abruzzesi. Parole non smentibili visto che erano in una lettera a sua firma, della quale non si è mai scusato.

Io non ridevo hanno scritto gli aquilani in questi 12 mesi in cui hanno provato a far tornare in vita la loro città, noi non ridevamo diciamo oggi.
Sulla pelle degli aquilani, e degli abitanti di Onna e di tanti altri piccoli paesi, il governo ha montato una delle più grandi operazioni di stravolgimento dell’equilibrio tra i poteri, facendo della Protezione Civile non più la struttura d’emergenza che con l’aiuto di migliaia di volontari è pronta a intervenire a fianco delle popolazioni colpite ma una stazione appaltante fuori da ogni controllo da parte del Parlamento, che ha assegnato commesse miliardarie non alle offerte tecnico-economiche più vantaggiose per la collettività ma agli amici degli amici, almeno così sembra dalle indagini in corso.
Faticosamente stiamo tentando di far tornare anche questa situazione nella normalità, è necessario viste le indagini in corso per accertare il grado di corruzione legato alla ricostruzione.

Oggi l’Aquila rischia di perdere la propria identità e gli aquilani il senso di appartenenza ad una comunità. Bisogna ricostruire presto e bene dove le persone sono nate e cresciute sia le abitazioni sia quel tessuto di infrastrutture sociali, economiche e culturali che fanno vivere una città. L’emergenza ha fatto sì che anche sull’onda emotiva di ciò che è accaduto il governo abbia voluto un modello di ricostruzione completamente diverso da quello sperimentato in Friuli negli anni ’80 e poi in Umbria e nelle Marche dopo il grande sisma del 1997.
Stavolta non c’è stata la ricostruzione dei centri storici pietra per pietra, attività per attività, ma la forzatura del progetto C.A.S.E., costruendo grandi condomini attorno a l’Aquila. Un progetto più edilizio che urbanistico, che ha portato a costruire le abitazioni e non i servizi, che ha portato alla costruzione di città satellite attorno a una città che marcisce tra le macerie e che se sarà mai ricostruita dovrà affrontare spese enormi per i servizi che andranno garantiti alle famiglie portate in questi nuovi palazzi: parliamo di bus per le scuole, dalla raccolta dell’immondizia, dai servizi di base. Ma con un bilancio poverissimo e mentre 10.000 persone non hanno ancora una casa, 7.000 sfollati sulla costa.
E’ arrivato il tempo di restituire la parola agli enti locali e ai cittadini, il governo della ricostruzione deve tornare nelle loro mani.
IL PD in questi 12 mesi è stato al fianco dei terremotati con una raccolta fondi, con l’invio di centinaia di volontari, l’apertura di sezioni nelle tendopoli. E poi siamo stati accanto agli aquilani in parlamento con i nostri atti, interrogazioni, mozioni.

Il business opaco della ricostruzione.
Il 18 febbraio il PD ha presentato un’interrogazione parlamentare per conoscere la lista delle aziende che hanno operato e stanno operando nei cantieri post sisma, per sapere se gli imprenditori che ridevano la notte del terremoto hanno partecipato o meno alla ricostruzione e, in caso affermativo, per sapere quali iniziative il governo intende assumere per la revoca delle commesse. Lo rendono noto i deputati democratici Lanfranco Tenaglia, Sandro Maran, e Giovanni Lolli che aggiungono: “E necessario fare piena luce su questa vicenda anche a seguito dell’intervista al Riformista del presidente della regione Abruzzo, Gianni Chiodi, che sostiene che il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta “avrebbe avuto notizie sbagliate” in relazione al ruolo di quegli imprenditori. “Chi ha riso del dramma abruzzese – concludono Tenaglia, Maran e Lolli – è indegno di far parte di qualsiasi consesso civile e deve essere estromesso immediatamente da qualunque attività connessa alla ricostruzione”.
Il Governo non ha ancora risposto.

Il 30 marzo abbiamo presentato un’interrogazione sui controlli previsti ed effettuati sulle imprese appaltatrici e subappaltanti per la ricostruzione in Abruzzo, dato che secondo un’inchiesta del quotidiano Terra di sabato 13 marzo 2010, il progetto c.a.s.e., volto alla realizzazione di 184 edifici, circa 4.600 appartamenti, con una spesa totale di circa 710 milioni di euro, ha comportato un costo al metro quadro del progetto pari a 2.850 euro, contro un costo di costruzione medio di un palazzo a norma antisismica pari a 1.100 euro/1.300 per metro quadro. Il meccanismo di realizzazione dei lavori è stato tale per cui sono state 16 le ditte o consorzi che si sono aggiudicate l’appalto per la realizzazione degli edifici del progetto C.a.s.e. i quali in virtù delle norme emergenziali varate dopo il sisma hanno avuto la facoltà di convocare ditte subappaltanti senza bando; le nuove norme, inoltre, hanno anche derogato alla legge 163 del 2006 del codice dei contratti pubblici, prevedendo che si potessero affidare in subappalto lavori fino al 50% della commessa.
L’interrogazione chiede chiarezza visto che “tra le numerose aziende coinvolte si segnala in particolare la ditta Sled che fa capo a Wolf Chitis, già condannato negli anni novanta per gli appalti truccati della metropolitana di Napoli e la ditta che fa capo agli abruzzesi fratelli Frezza, Armido e Walter, la cui impresa, tra l’altro, aveva firmato proprio i lavori dell’ospedale di San Salvatore, miseramente crollato durante il sisma. Quali controlli siano previsti e quali siano stati effettuati sulle suddette imprese appaltatrici e subappaltanti?
quali misure intenda intraprendere il Governo per garantire la trasparenza delle procedure e dei controlli circa i nominativi degli appaltatori, dei subappaltatori e dei consulenti verso i quali sono state assunte obbligazioni dal commissario straordinario?” Insomma vogliamo sapere per quali ragioni si sia preferito portare a termine un progetto dispendioso per la costruzione di palazzi a norma antisismica, a fronte dell’esistenza di prezzi più vantaggiosi.

Il governo deve rispondere su questo e sugli altri problemi grandi e piccoli legati al sisma.
L’8 marzo abbiamo presentato un’interrogazione per sapere perché dal 1° febbraio 2010 l’esenzione del pedaggio autostradale per i terremotati sistemati lontano dalla città non è più attiva. E nessuno ha ancora risposto.

Cittadini che quando si sono rimboccati le maniche, finendo sui gironali come Il popolo delle carriole, sono stati identificati dalla DIGOS che ha sequestrato anche carriole e secchielli (a proposito, la foto della copertina è da un reportage su quella giornata, pubblicato su Flickr da Martelfa che secondo noi non è stato visto abbastanza). Anche su questo abbiamo presentato un’interrogazione e anche su questo nessuno ha risposto.

Come nessuno ci ha risposto sulla salute dei vigili del fuoco dell’aquilano. Eppure nel novembre 2009 è stato inaugurato alla presenza del capo del corpo nazionale Antonio Gambardella e del capo compartimento prefetto Francesco Paolo Tronca, il campo base dei vigili del fuoco, nel sito dell’ex Agriformula a Monticchio (l’Aquila), territorio che si estende per circa 15.000 metri quadrati ed all’interno della quale il campo dei vigili del fuoco occupa circa 5.000 metri quadrati; è considerato un campo strategico e sperimentale, destinato quindi a durare nel tempo e capace di ospitare in modo del tutto autonomi fino a 200 vigili della Toscana, Umbria e Friuli Venezia Giulia. Ma l’azienda Agriformula produceva in quel sito sostanze diserbanti ed altre ad alto contenuto tossico;
l’area in cui è situato il campo risulta essere area inquinata e vi è stata riscontrata la presenza di alcuni composti chimici pericolosi tra cui tetraconazolo, carbaril, frammisti ad arsenico, stagno e zinco. Risulta che già prima del terremoto del 6 aprile 2009, il NIPAF (nucleo investigativo provinciale del Corpo forestale dello Stato) stava portando avanti dei rilevamenti atti ad accertare il grado di pericolosità di quei luoghi dove sembra ci siano interramenti di rifiuti tossici così come accertato dalla polizia giudiziaria con dettagliati atti di indagine, trasmessi all’autorità giudiziaria presso la procura della Repubblica dell’Aquila, oltreché alla regione, alla provincia e al comune dell’Aquila;
la conferenza di servizi convocata dal comune dell’Aquila il 9 di dicembre 2009 ha deciso di procedere per la verifica di stato ambientale;
a seguito della conferenza di servizi è stata notificata ai vigili del fuoco una copia del verbale «ai fini delle determinazioni di loro competenza»;
tale comunicazione non ha prodotto nessun effetto, visto che ancora oggi i vigili del fuoco vivono in quel campo e non ci sono ipotesi di spostamento. Volgiamo sapere se la localizzazione del campo dei vigili del fuoco in tale zona abbia tenuto conto della pericolosità di quell’area, e dell’esposizione degli stessi vigili del fuoco a rischi pesanti per la loro salute; se siano previste analisi cliniche per verificare eventuali danni alla salute per coloro che vi hanno soggiornato, così come già fatto per i vigili del fuoco intervenuti in situazioni di soccorso a rischio chimico; quanto sia costata l’installazione di quel campo; quali iniziative intenda assumere il Governo ed in che tempi per assicurare lo spostamento del campo. Ancora nessuna risposta.

La solidarietà internazionale ad intermittenza.David Sassoli nell’ottobre scorso rivendicava lo sblocco dei 500 milioni del Fondo di solidarietà europeo per le zone terremotate in Abruzzo. Il lavoro svolto dalla degazione del PD ha permesso di superare il vincolo burocratico procedurale che ne rallentava la messa a disposizione. Ma se l’Unione si è mossa dai singoli Stati tanti impegni sono rimasti parole così il 15 marzo sempre Sassoli annunciava a nome della Delegazione del PD al Parlamento Europeo l’invio di una lettera “agli Ambasciatori a Bruxelles per sapere se daranno seguito agli impegni assunti dai loro governi durante il G8 de L’Aquila. Mi auguro che rispettino gli impegni assunti per non mortificare con la propaganda i cittadini de L’Aquila colpiti dal terremoto. Hanno promesso di adottare chiese, monumenti e opere d’arte e chiederò loro di rispettare gli impegni”.

Certo è che la ricostruzione del centro storico de L’Aquila e di tutta la città e degli altri comuni non può essere lasciata nelle mani dell’amministrazione comunale; è un problema del paese, dello Stato. Dove sono i soldi per rilanciare l’attività produttive o per ricostruire la parte monumentale della città? Il ministro Bondi rispondendo ad una interrogazione del PD ha rivelato che dei 44 monumenti scelti dal governo nella cosi detta ‘lista di nozze’ che Berlusconi presentò al G8 a tutti i paesi del mondo presenti, solo per 12 monumenti sono stati raccolti pochissimi spiccioli. Ma i beni monumentali non sono 44 ma 1700 nelle zone terremotate. Ad ottobre abbiamo presnetat una mozione, poi bocciata, ma per noi ancora attuale sui problemi della città.

Emergenza Università.
L’Aquila era una delle città universitarie più importanti del centro Italia; e qui veniamo alla seconda emergenza, che riguarda la rinascita dell’università de L’Aquila, che passa necessariamente attraverso la fornitura agli studenti – quelli che già sono iscritti a L’Aquila e quelli che verranno ad iscriversi nei prossimi anni accademici – di un alloggio per i fuorisede, perché solo questo consentirà all’università di riprendere la propria attività e di rilanciarsi: altrimenti avremo il maggior motore economico, culturale e scientifico di quella regione, dell’Abruzzo ma anche del nostro Paese, che entrerà in crisi. Prima del terremoto gli iscritti erano 27.000, oggi sono circa 20.000, più della metà fuori città. Prima 6.000 studenti vivevano in case del centro storico, ora 212 studenti sono ospitati nell’ex azienda Reiss Romoli, 120 nella Casa dello Studente costruita dalla Regione Lombardia, 450 circa andranno al posto dei terremotati nella Caserma Campomizzi. Al Reiss Romoli ognuno paga la sua stanza, ma non c’è mensa né altri servizi. Non si pagano le tasse universitarie tranne quella regionale di 92 euro. I trasporti sono gratuiti, perché alcune facoltà, prima in centro, ora sono lontane anche 10 chilometri.

“Ci sono tante promesse – dice Giusi Pitari, prorettore delegato dell’Università de L’Aquila – c’è la donazione del Canada per fare un centro polifunzionale, la Coca Cola per fare una mensa, ma noi non vediamo niente”.

La ricostruzione non aiuta l’economia. L’aquilano un anno fa era già vittima della crisi economica perché l’Aquila è stata, a partire dagli anni Settanta, il polo elettronico più importante d’Italia; poi è entrata in crisi. Se ad ottobre nelle zone del cratere c’erano 17.000 persone in cassa integrazione adesso sono raddoppiate a 34.000 come ha denunciato la CISL.
A ciò si aggiunga la situazione delle attività commerciali e professionali: praticamente, gli studi professionali sono stati quasi tutti trasferiti lungo la costa abruzzese (a Pescara, Chieti, Teramo, Giulianova), perché gli avvocati e i commercialisti hanno trovato ospitalità presso loro colleghi della costa, generando un grave problema per i lavoratori impiegati presso quegli studi.

L’effetto ‘volano’ che doveva essere innescato dalla ricostruzione non si fa sentire perché ci sono troppi ritardi derivanti dalla burocrazia, e la zona franca non è stata ancora approvata dal Cipe. “C’è la crisi dell’economia di un’intera città -sottolinea ancora Gianni di Cesare, segretario Cgil Abruzzo – una crisi che qui è ancora strutturale”. Di Cesare cita ad esempio “i 10.000 studenti che vivevano all’Aquila e che ora non ci sono più” o l’edilizia. “La costruzione delle case è stata fatta solo al 20% da aquilani o abruzzesi, perché il resto erano lavoratori che venivano da fuori regione. Nel 2009 l’Abruzzo ha perso 24.000 occupati – ricorda Di Cesare – classificandosi così al primo posto per perdita di posti di lavoro. Di questi, 13.000 posti erano nel terziario e 5.000 in agricoltura, il resto nell’industria: insomma non c’è nessun settore che non sia in crisi”.

Sono molte le cose da aggiustare, secondo la Cgil, a partire dal patto di stabilità interno, come chiesto dal PD da un anno. “Ci chiediamo – dice Di Cesare – in una situazione così catastrofica, che senso abbia mantenere i vincoli così come sono e dunque non poter spendere un euro”. Anche la moratoria fiscale in realtà, più che aiutare, crea iniquità. “Se io ho un buono stipendio, non pagare le tasse mi può aiutare, anche se è da vedere come e quando dovremo poi restituire questi soldi. Ma se io sono in cassa integrazione e prendo 700 euro al mese, con questo sistema non mi viene restituito niente e così ancora una volta chi ci rimette sono i più deboli”.

Deputati e senatori abruzzesi continueranno a fare quello fatto fino ad oggi: presentano emendamenti volti a far ripartire la ricostruzione e la ripresa dell’attività lavorativa, sistematicamente respinti dalla maggioranza e dai parlamentari della destra. Gli abruzzesi ci vedranno sempre in prima linea e che non saranno le finte assicurazioni dei politici della maggioranza a fermarci. È giunto il momento che sulla ricostruzione, sulla sospensione e sulla restituzione delle imposte, sui danni diretti e indiretti di tutti i comuni e i cittadini colpiti dal terremoto, dentro e fuori il cratere, il Governo passi dalle parole ai fatti mettendo in moto, senza più indugio, fondi e progetti per un enorme cantiere per far rivivere il capoluogo e i comuni abruzzesi colpiti dal sisma.
Noi continueremo a stare dalla loro parte, non ridevamo e non dimenticheremo.

Marco Laudonio

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