attualità

L'Aquila un anno dopo. Dolore e fiaccolata. Fischiato il messaggio di Berlusconi

Questa volta alle 3.32 c’èstato solo un lunghissimo silenzio, seguito da 308 rintocchi della campana delle Anime Sante: gli aquilani si sono ritrovati in tanti – oltre 25 mila – in quella piazza del Duomo dove un anno fa accorsero feriti, spaventati, addolorati per il terribile terremoto che aveva distrutto la loro città e ucciso parenti, amici, studenti venuti da lontano.

C’è stata, sì, una scossa di terremoto, alle 2:57, ma di magnitudo 2.2, ovvero niente rispetto a quella di 6.3 del 6 aprile 2009. È stata una notte diversa, illuminata da migliaia di fiaccole, candele, lumini che dalla sera prima avevano dato luce lungo le strade buie ai quattro cortei silenziosi partiti da altrettanti quartieri per raggiungere la zona rossa del centro storico. Un gesto di grande valore simbolico non solo per commemorare le vittime, ma anche per ribadire la volontà di tornare ad occupare il cuore della città e, quindi, di riappropriarsi di un’identità ferita per la lontananza forzata.

Quattro cortei – composti da giovani, anziani, alcuni con le stampelle, giovani coppie con i bambini nelle carrozzine – aperti ognuno da un gruppo di parenti delle vittime e dai vari comitati cittadini che da un anno si battono per tenere alta l’attenzione rispetto ai problemi della ricostruzione e per pungolare le autorità. Non c’è stata alcuna contestazione lungo i percorsi nè quando, tutti assiepati nella piazza principale, è stata attesa l’ora fatidica. Prima sono stati letti i nomi delle 308 vittime, poi sono seguiti i rintocchi della campana. Alla fine, in silenzio e con i ceri e le lampade ancora accesi, il ritorno a casa – per moltissimi lontano dall’Aquila – o alla Basilica di Collemaggio per la messa solenne dell’arcivescovo Giuseppe Molinari, il quale ha esortato a fare in modo che «questa notte segni l’inizio di un nuovo cammino con l’aiuto di Dio».

In formato minore, ma identica, la commemorazione ad Onna, frazione simbolo di quella scossa mortale, che ha voluto sottolineare il «nuovo cammino» posando alle 4.32, un anno e un’ora dopo il sisma, la prima pietra del centro sociale. Non ci sono state le contestazioni temute perchè, alcune ore prima, alcune persone che assistevano al consiglio comunale tenuto nella chiesa delle Anime Sante, avevano fischiato mentre veniva letto il messaggio del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

La notte è scivolata nel silenzio composto di «una bellissima e commovente fiaccolata all’insegna della pietà», come lo stesso prefetto ha rilevato, sottolineando che «la grandissima e composta partecipazione responsabilizza ancora di più le istituziuoni. Lì si è vista fino in fondo la determinazione di questo popolo».

L’anniversario è stato per gli aquilani un momento di riflessione e di dolore, ma anche l’opportunità per ribadire che «il non urlare fa parte della cultura di questa gente determinata e compatta», come hanno evidenziato alcuni cittadini ricordando che il cosiddetto «popolo delle carriole» in silenzio rimuove le macerie, ma lancia segnali forti alle istituzioni.

Ieri il premier aveva concesso una intervista al “Centro”:, difendendo l’operato di Bertolaso e dicendo: «Le risorse a disposizione sono sufficienti e sono già state rese disponibili. La ricostruzione dell’Abruzzo non ha e non avrà nulla a che vedere con gli sprechi e i ritardi del Belice, dell’Irpinia e dell’Umbria». «Gli aquilani – affermava Berlusconi – devono esser fiduciosi perchè le risorse necessarie per ricostruire L’Aquila sono già state previste nel decreto Terremoto: 8,6 miliardi di euro. E questo non era mai accaduto in passato. C’è chi infanga il lavoro fatto dal governo, ma noi abbiamo impostato la ricostruzione nei migliori dei modi”. «I miracoli li fa solo il Signore. Noi certamente abbiamo garantito uno sforzo di assistenza agli aquilani che non ha pari nella storia del nostro Paese e che è stato indicato come un modello a livello internazionale”.

Il messaggio di Napolitano Di fronte al terremoto in Abruzzo l’Italia ha saputo «unirsi» e mostrare «generosità». Lo scrive il capo dello Stato Giorgio Napolitano in un messaggio inviato alla popolazione colpita dal terremoto in Abruzzo, nel primo anniversario del sisma. «Di fronte a quei drammatici eventi, l’Italia ha saputo unirsi con esemplare slancio e generosità. L’azione di soccorso e di assistenza ha visto la mobilitazione rapida ed efficace di tutti i soggetti istituzionali e del mondo del volontariato». «Un anno fa – sottolinea Napolitano – la terra d’Abruzzo è stata colpita dal devastante terremoto che si è abbattuto su L’Aquila e sulle zone circostanti. Una tragedia che ha provocato pesanti, inconsolabili lutti e gravi sofferenze – queste ultime non ancora pienamente superate – alla popolazione, e che ha nello stesso tempo procurato danni ingenti al tessuto urbano e al prezioso patrimonio culturale e artistico di un territorio di antica civiltà».

“La Protezione civile non si perda in altre direzioni” La Protezione civile deve dedicarsi alle «calamità naturali», evitando di «perdersi in altre direzioni», sottolinea Napolitano. «La Protezione Civile – precisa – costituisce un sistema complesso – al cui vertice si colloca l’apposita struttura costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e presente anche capillarmente sul territorio – destinato ad interagire con le altre istituzioni pubbliche centrali e locali, per mobilitare e integrare tutte le energie e le competenze che occorre coinvolgere nelle situazioni di emergenza». Si tratta, sottolinea, di un «un modello organizzativo sviluppatosi e progressivamente perfezionatosi a partire dagli anni ’90, dotato di poteri eccezionali e che ha raggiunto livelli di straordinaria efficienza, riconosciuti anche a livello internazionale. Un modello che è chiamato a fronteggiare le calamità naturali e ad esse deve dedicarsi, senza perdersi in altre direzioni di intervento pubblico per ovviare alle lentezze di procedure ordinarie non ancora rinnovate e semplificate come è necessario da tempo».
L’Unità 05.04.10

******

I racconti di chi è sopravvissuto: «Vogliamo verità e giustizia»
di Jolanda Bufalinitutti gli articoli dell’autore
Grazia Malatesta arriva da Vasto con la figlia Lilli, che studia architettura a Pescara: sono la mamma e la sorella di Davide. Quella notte Davide era preoccupato, dopo la scossa forte intorno alle 23, la mamma, minuta, graziosa, con grandi occhi azzurri, gli aveva detto «ti vengo a prendere, in due ore sono lì», ma lui le aveva risposto di essere stanco, di aver studiato tutto il giorno, di voler restare con gli altri. Davide, al primo anno di ingegneria gestionale , aveva quasi guadagnato tutti i crediti necessari per mantenere la borsa di studio. Arriva Gabriele Magrini, dopo essere andato «a trovare un amico al cimitero».

Gabriele è lo studente che si offrì, imbragato e sospeso da una gru, di indicare ai vigili del fuoco cosa c’era al posto di quel vuoto creatosi con il crollo nella casa dello studente: qui le stanze, i bagni, lo spazio comune … Perché nessuno dei responsabili ebbe il tempo di venire, racconta Antonietta Centofanti «Telefonai inutilmente a Luca D’Innocenzo , presidente dell’Adisu». Maddalena è la mamma di Luciana Capuano, morta insieme a Davide. «Si erano rifugiati insieme in tre, nella stessa stanza» – racconta Grazia «per darsi coraggio. Luciana, Antonella e Davide». Antonella si è miracolosamente salvata e «povera ragazza – dice Grazia – si è anche sentita in colpa per questo». Carmela Tomassetti, studentessa, aveva denunciato le crepe che si erano prodotte nel complesso una settimana prima.

Sergio Bianchi, anche lui arriva per tempo,portiamo i nostri striscioni di sempre: «Vogliamo che coloro che hanno ucciso i nostri figli siano assicurati alla giustizia». Quella appena trascorsa è la notte dell’anniversario: gli studenti sopravvissuti, i genitori, i fratelli e le sorelle, gli amici delle vittime del sisma del 2009 si raccolgono insieme a L’Aquila per guidare la fiaccolata, «momento collettivo ma privato di dolore». Sergio Bianchi è il papà di Nicola, morto nel crollo di via D’Annunzio. L’avvocato Alessandro Gamberini a nome dell’Associazione delle vittime universitarie del sisma e di federconsumatori ha presentato una memoria alla Procura dell’Aquila. «Ci sono dei protocolli precisi per il mancato allarme – spiega Bianchi – che non sono stati presi in considerazione dalla Commissione grandi rischi».

Anche Annamaria Cialente, mamma di Francesco, custode alla Casa dello studente morto insieme alla fidanzata studentessa Angela Cruciano, ritorna sul mancato allarme: «Avrebbero dovuto chiudere le strutture pubbliche, se il terremoto fosse stato di giorno nella facoltà di ingegneria, nelle scuole elementari ci sarebbe stata una strage». E’ quello che pensa Roberto Di Simone, il papà di Alessio, che proveniva da Penne , nella provincia di Pescara. Alessio era il più grande dei ragazzi rimasti uccisi, così bravo che si era guadagnato il diritto di restare alla casa dello studente anche per il tempo della specializzazione in informatica. «Il 17 febbraio – ricorda Di Simone – il professor Boschi scriveva che la situazione era tutt’altro che rassicurante. Preoccupazione non presa in considerazione dalla Commissione grandi rischi».

Tutti pensano anche allo studio prodotto dalla Abruzzo enginering, il cui palazzo ora si staglia deserto a pochi passi da ciò che resta della Casa dello studente. «Uno studio costato 5 milioni di euro e consegnato agli Enti locali – sostiene Di Simone – uUna mappatura degli edifici pubblici e di metà dei privati a rischio, con il calcolo della somma necessaria per adeguarli alle norme anti-sismiche».

Mentre scriviamo queste persone e tante altre si preparano all’appuntamento alla Fontana luminosa, attraverseranno l’unica via del centro de L’Aquila che taglia a metà la zona rossa, si fermeranno in piazza Duomo dove, alle 3e32 verranno letti i 308 nomi delle persone uccise dai crolli. «Non c’è odio in noi ma desiderio di giustizia per i nostri figli» – dice Di Simone che ha passato luglio e agosto con i tecnici che svolgevano le perizie: «Per me, ormai, è una ragione di vita agire per il bene di mio figlio e dei ragazzi che non ci sono più. Si vedeva ad occhio nudo che il cemento si disgregava, che le travi erano scavate per far passare i cavi e sttodimensionate».

«E i responsabili di quelle morti, L’Aquila deve poterli guardare in faccia». Per questo si batteranno, «mi batterò fino all’ultimo – afferma Annamaria Cialente – perché i processi non vengano spostati. Quei morti potevano essere evitati. Vogliamo sapere perché si sono sbriciolati i palazzi di via XX settembre e quelli di Pettino». «Anche se i processi fossero spostati, andrò ovunque – è l’intenzione di Roberto Di Simone – siamo molto uniti – aggiunge – anche perché ci tiene insieme l’utopia che ciò che è accaduto non accada più, che si stabiliscano norme più severe e tali da scoraggiare gli avvoltoi che si nutrono di carne umana».
L’Unità 06.04.10