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Un anno perduto. Ricostruzione: la scelta sciagurata dei «due tempi», di Vittorio Emiliani

Una strategia sbagliata dietro il fallimento della fase di ricostruzione e l’abbandono del centro storico. Ascolto il prefetto dell’Aquila che esorta a non contrapporre «due curve: una che dice tutto va bene e l’altra che dice tutto va male». E’ già un passo avanti rispetto alle trombe suonate a tutto spiano da Berlusconi & Bertolaso a sostegno dell’intervento più straordinario mai realizzato in una zona terremotata a livello planetario. Nell’organizzazione dei soccorsi mi sembra obiettivo osservare che la Protezione civile – grazie anche ai Vigili del Fuoco, di cui non si parla quasi mai, e dei volontari – ha operato con efficacia e solerzia. Qui mi fermo. Sul piano, infatti, dei ricoveri e ancor più dei recuperi e dei restauri, o si sono ripetuti vecchi errori, o si sono volute attuare misure «nuove» che peseranno per decenni sui centri storici, sul loro territorio e paesaggio, a partire dall’Aquila. Chi dice queste cose viene accusato dal potente Guido Bertolaso di «buttarla in politica». E l’arcivescovo dell’Aquila, Giuseppe Molinari, vede nel «popolo delle carriole» chi «vuol creare dal punto di vista politico un gruppo che abbia autorità nella ricostruzione». Berlusconi aveva progettato un suo «sogno» mediatico: l’Abruzzo come spettacolare parata governativa, nazionale e internazionale. A lungo gliel’ha consentito la rassegnazione delle popolazioni locali tramortite dalla sciagura e, ancor più, il silenzio connivente di gran parte dei media nazionali.

Lo stesso Pd doveva costituire all’Aquila un suo presidio «nazionale», come ha fatto ora l’Unità. Alla base c’è stato però il solito vizio di Berlusconi, il suo «ghe pensi mi». Di qui la scissione, in due tempi, dei soccorsi/ricoveri e della ricostruzione. Mai avvenuta prima d’ora. Con tutto il denaro, o quasi, concentrato nei MAP e soprattutto nelle cosiddette «new town», alla fine ghetti costati come case di lusso o hotel a 5 stelle. Una mentalità che ha scompaginato, agli inizi, le già disperse comunità locali e che continua a confondere la Chiesa stessa, qui assai meno protagonista, in positivo, dei vescovi friulani o umbro-marchigiani.

La logica del duo di comando ha infatti esaltato il ruolo della Protezione Civile e tagliato fuori il Ministero per i Beni Culturali e le Soprintendenze. Un rovesciamento rivelatosi disastroso. Giuseppe Basile, gran coordinatore dei restauri ad Assisi, si è presentato, fresco di pensione e di assicurazione privata, ma è stato rimandato a casa. Come gli «Amici di Cesare Brandi». Come l’esperto di organi antichi abruzzesi M° Armando Carideo. Mentre le squadre dei volontari, prive del solito esperto del MiBAC, agivano senza guida tecnica. E non si rispondeva nemmeno alle offerte di disponibilità di Dipartimenti universitari specializzati dell’Aquila e di Roma. In Umbria e Marche le operazioni di soccorso erano state accompagnate dal rapido ricovero delle opere d’arte e delle suppellettili in magazzini attrezzati, o dalla «velinatura» degli affreschi, a differenza di quelli della Cappella Branconio a San Silvestro, ancora scoperti dopo 5 mesi. Berlusconi aveva lanciato «l’adozione» di un monumento da parte dei Paesi più ricchi. Semifallita. Dalla logica sbagliata dei due tempi nasce l’anno perduto per i centri storici, Aquila in testa. La «butto in politica»: le pietre di Venzone avevano cominciato subito a numerarle, mentre qui le macerie sono state selezionate da poco o per niente. E adesso Bertolaso denuncia: «Non ci sono progetti per ricostruire».

Ma che dice Roberto Cecchi, già direttore per i beni architettonici ed ora segretario generale del Ministero? A dicembre affermava: 1) «La nostra Direzione generale non ha avuto nessun ruolo nella questione dell’Aquila»; 2) «non credo che il tema sia la ricostruzione, ma la prevenzione» (?); 3) «il Duomo di Venzone è solo una cartolina e il restauro viene evocato come possibilità di tornare taumaturgicamente indietro». Insomma, sta a vedere che la colpa è degli aquilani, degli abruzzesi, dei loro sindaci e di chi, coi badili e con le carriole, «la butta in politica».
L’Unità 06.04.10