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Per il sapere, nelle università

Viaggio nell’università italiana del PD. Il 10 maggio parte da Napoli e toccherà almeno 12 tappe entro la metà di luglio. L’obiettivo è condividere le nostre proposte sull’università con studenti, ricercatori e docenti. Bersani: “Per cambiare occorre investire. Riforme sì, bidoni no!”
L’università e la sua riforma sono al centro del piano “Italia 2011” presentato dal Partito Democratico. “Una buona riforma è alla base della ripartenza dello sviluppo economico del Paese. Il capitale umano è centrale”, così Enrico Letta, vice segretario del Pd ha introdotto la conferenza stampa alla Camera dei deputati dove sono state presentate le proposte del Pd sulla riforma dell’Università italiana. Queste saranno condivise con gli studenti, i ricercatori e i docenti nel viaggio negli atenei che partendo il 10 maggio da Napoli toccherà almeno 12 tappe entro la metà di luglio.

Mentre il centrodestra è impegnato su diatribe interne relative alle posizioni di Fini e Berlusconi, il Pd pensa che i veri problemi da risolvere per il Paese siano altri e che questi non si affrontano tagliando oltre 1 miliardo di euro per le Università. Molto duro al riguardo è stato il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: “nelle discussioni all’interno del centrodestra spero che almeno si intendano su cosa significhi fare le riforme”. Avere come dominus Tremonti che decide cosa fare non significa riformare. “Anche se la riforma – ha ribadito Bersani – è fatta risparmiando, questa richiede un investimento iniziale. Per cambiare occorre investire”.

Quindi il leader del Pd ha ribadito la posizione dei democratici sul tema delle riforme basato su aperto confronto in Parlamento. Il concetto è molto chiaro: “riforme sì, bidoni no”. Per Bersani la riforma intrapresa dalla Gelmini è “un colossale taglio dell’offerta formativa in termini di qualità e quantità. Noi siamo pronti a prenderci le nostre responsabilità a patto che non si prenda in giro il Paese e che non si concentri la riforma parlando solo di governance delle università”. Molti atenei vivono in uno stato drammatico vicino al fallimento tecnico.

“Come si può parlare di riforma – ha concluso Bersani – quando a fronte di aumento di 12 miliardi di spesa pubblica, un calo di 20 miliardi di Iva (a parità di consumi) incassato con lo scudo fiscale, si tagliano 8 miliardi per la scuola e 1,4 per le università? Questa è una vergogna che non accettiamo”.

Alla conferenza stampa di presentazione delle proposte del Pd sono intervenuti anche la professoressa Maria Chiara Carrozza rettore della Scuola Superio Sant’Anna di Pisa e presidente del Forum università del Pd, Marco Meloni responsabile Università del Pd e i due capigruppo di Camera e Senato, Manuela Ghizzoni e Antonio Rusconi.

A breve il PD presenterà una proposta di legge sulla valutazione. L’obiettivo principale, ha ricordato Meloni di allineare l’Italia alla media dei paesi Ocse per numero di laureati, ricercatori e docenti, per spesa per studente, per capacità. Insomma investire sul capitale umano. Investire sul Sapere.

Le nuovi basi di partenza saranno: regole più chiare, valutazione più severa e ripristino delle risorse tagliate.

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A partire dal 10 maggio il PD inizia un viaggio nell’università italiana del PD, che partirà dalla Campania e toccherà almeno 12 tappe entro la metà di luglio. L’obiettivo è condividere le nostre proposte sull’università con studenti, ricercatori, docenti, usando la rete come strumento di dialogo e partecipazione; ridare un senso alle parole del nostro futuro (istruzione, mobilità sociale), e contribuire così – a partire dai luoghi dello studio – a “pensare insieme” le nuove priorità dell’Italia.
Col Forum Università, saperi e ricerca stiamo affrontando i nodi centrali del sistema: meccanismi di finanziamento e riparto del FFO, valutazione della ricerca, forma di contratto per i ricercatori, diritto allo studio, reclutamento e ruoli di docenza.

1. La situazione dell’università italiana
Lo stato dell’università italiana è molto preoccupante. I dati statistici, riportati anche nel DPEF approvato nel luglio 2009, mostrano che siamo indietro rispetto alla media dei paesi UE/OCSE su molti parametri, quali ad esempio numero dei laureati (12% contro 26%) e dei ricercatori, investimenti per studente (6.900 contro 9.600 €), rapporto docenti/studenti, internazionalizzazione. Investiamo in università circa lo 0,8% del PIL, contro una media dell’1,3%.
Ancor più allarmante è la situazione dei servizi, delle strutture per la didattica e la ricerca: dalle residenze per gli studenti alle biblioteche, dai laboratori alle aule. In molti atenei le carenze si spingono fino alle difficoltà nell’acquisto dei beni più essenziali per il normale funzionamento delle strutture.
D’altra parte, i tagli della legge 133 riducono il Fondo di finanziamento ordinario (FFO) di 1,4 miliardi (su circa 7 in totale) in quattro anni; risorse solo parzialmente rimpiazzate, per il 2010, da 400 milioni derivanti dallo scudo fiscale (mentre il ministro Gelmini nel DPEF ne prevedeva 815). Insieme a quelli alla scuola e alla ricerca, circa 10 miliardi di tagli in tre anni. Nel frattempo la Francia, ad esempio, investe 11 miliardi per l’università e 8 per la ricerca.
Lo ha confermato due giorni fa la Corte dei Conti: le spese fisse per il personale – che per legge non dovrebbero superare il rapporto del 90% – già ora coprono il 100% del Fondo di finanziamento ordinario. In questa situazione molti atenei hanno enormi difficoltà operative, e non saranno in grado di funzionare nel 2011. La protesta dei ricercatori rende difficile per molti atenei formulare l’offerta formativa per il prossimo anno. I ricercatori, lo abbiamo sostenuto, hanno ragione: il governo, cancellando il ruolo dei ricercatori e non offrendo nessuna opportunità di crescita accademica per quanti di loro sono meritevoli, ha trascurato la loro importanza per garantire e sostenere l’offerta didattica. Da una parte ci sono ancora in atto concorsi per l’immissione in ruolo dei ricercatori a tempo determinato, dall’altra il DDL ne cancella l’esistenza. Qual è la ratio, ci chiediamo?
2. La valutazione sul DDL Gelmini
La nostra valutazione sul DDL Gelmini è molto negativa. Le linee-guida del 2008 parevano ben più promettenti: autonomia, responsabilità, promozione del merito. Ma la proposta del governo è assai distante da quegli obiettivi: un disegno iper-centralista, che sottopone a un reticolo inestricabile di norme (oltre 170, cui dovrebbero seguire numerosi decreti legislativi e oltre 500 regolamenti) e al controllo della burocrazia ministeriale ogni passaggio della vita degli atenei. Nessuna risorsa per promuovere gli studenti meritevoli. L’unico obiettivo sembra essere la conferma dei tagli del 2008.
La propaganda del governo ha presentato un DDL “epocale”, ma i contenuti, dunque, si rivelano inadeguati a promuovere una vera riforma dell’università. Non basta certo ritoccare la composizione del Consiglio di Amministrazione o i compiti del Senato Accademico per risolvere i problemi del futuro. C’è bisogno di investimenti, in infrastrutture e in persone. E’ urgente una forte immissione di giovani docenti e ricercatori che siano autonomi e responsabili ma sottoposti a precise regole di valutazione. Siamo l’unico paese che non ha un programma nazionale di finanziamento alla ricerca fondamentale. E’ improcrastinabile la definizione di un modello trasparente e condiviso di finanziamento pubblico degli atenei, che promuova l’equità e la coesione territoriale. La maggior parte del Finanziamento Ordinario deve essere dato a fronte del raggiungimento di obiettivi valutati da un’agenzia terza rispetto al Ministero e alle Università. Sono queste carenze che rendono il DDL del governo poco incisivo rispetto alle necessità reali. Preoccupa altresì che la stessa maggioranza abbia proposto emendamenti al DDL in direzioni varie, segno che manca un filo logico, a parte la precisa determinazione a tenere fermi i tagli.

3. Le proposte del PD.
Investire in università e ricerca è una questione decisiva per il destino dell’Italia, che dovrebbe essere sottratta il più possibile a logiche di propaganda o a interventi di breve respiro. Per questo il PD intende portare il tema della riforma dell’università in testa alle priorità politiche dei prossimi mesi. Chiediamo al Governo di riaprire la discussione, e alle parti economiche e sociali di discutere insieme degli obiettivi che, come paese, dobbiamo darci. Fondare il nostro sviluppo sulla conoscenza e sull’innovazione, fare dell’università un fattore centrale per la mobilità sociale, sono i punti prioritari. Dai quali consegue che dobbiamo puntare ad avere un numero maggiore di laureati e di dottori di ricerca, più ricercatori, una maggiore apertura all’esterno del sistema. E, per conseguire questi obiettivi, regole più efficienti e risorse adeguate.
Il DDL Gelmini non affronta i nodi strutturali del sistema: noi proponiamo un intervento riformatore più coraggioso e lungimirante. Chiediamo un confronto pubblico, nel quale arriviamo con le nostre idee, di cui abbiamo dato una prima interpretazione negli emendamenti presentati al Senato, e che saranno ulteriormente approfondite nel percorso parlamentare.
Si deve partire dagli studenti: orientamento, diritto allo studio, residenze, welfare, promozione del merito. Proposte: finanziare un programma nazionale di borse di studio, norme sul diritto allo studio e sulla ripartizione delle risorse ordinarie per gli atenei finalizzate a migliorare la mobilità geografica e sociale, abbattere gli abbandoni, incentivare il rispetto dei tempi di laurea.
Per i ricercatori: percorsi di carriera rapidi e fondati su regole chiare. Contratto unico di ricerca che unifichi le posizioni di assegnista, borsista e post-doc. Percorsi di carriera per i ricercatori con esito certo in caso di valutazione positiva. Occorre aprire le porte dell’università a una nuova generazione di ricercatori (strutturati e precari); per questo proponiamo 100 milioni all’anno per 8 anni per consentire ai ricercatori di avere reali opportunità (con una giusta selezione) di entrare nei ruoli di docenza. E di entrarci da giovani: l’obiettivo è arrivare a una classe docente che abbia la stessa età media degli altri paesi industrializzati, mentre ora è la più anziana. Per questo proponiamo che, dopo i 65 anni, solo i docenti attivi nella ricerca continuino a svolgere compiti didattici e di ricerca. . È necessario abolire il tetto al turnover stabilito dalla L. 133/08.
Sistema di governo degli atenei (Governance): più efficienza e meno autoreferenzialità, ma separazione di ruoli fra Senato e Consiglio di Amministrazione, e una regola chiara per l’apertura agli esterni. Autonomia vera degli atenei, inserimento in legge di criteri e conseguenze della valutazione (domani sarà presentata al FORUM una proposta del PD in materia), nuove regole trasparenti sulla ripartizione delle risorse tra gli atenei, sulla base di pochi parametri: numero di studenti, valutazione di ricerca e didattica, diritto allo studio e coesione territoriale.
Risorse: è un punto fondamentale. Con regole più solide e una valutazione più severa, si devono ripristinare risorse adeguate. Dunque: eliminare i tagli della Legge 133 e raggiungere in dieci anni la media dei Paesi europei, passando dallo 0,8 attuale all’1,3% del PIL.

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