attualità, politica italiana

"Ma nell'agenda manca l'Italia", di Massimo Giannini

Datemi il Lodo, e vi solleverò il mondo. Sarebbe il “titolo” migliore, per la due giorni parlamentare che è valsa al presidente del Consiglio la “fiducia avvelenata” con la quale dovrebbe governare fino al termine della legislatura. E a sentire le sue parole di ieri al Senato, sembra davvero che Silvio Berlusconi abbia in mano i destini dell’universo. Forse non ce ne siamo accorti. Ma ha salvato lui le banche americane dal disastro, convincendo Obama a varare il più grande piano di aiuti della storia americana (mentre tutti sanno che il Tarp nasce alla Casa Bianca dalla testa di Lawrence Summers).

Ha salvato lui la Russia, convincendo l’amico Putin a non attaccare la “nemica” Georgia (mentre tutti sanno che a Tbilisi nessuno conosce il Cavaliere). Ha salvato lui il mondo, convincendo Obama a firmare con Putin il trattato sulla riduzione degli arsenali atomici “prima del G8 dell’Aquila” (mentre tutti sanno che a firmare Start 2 è stato Medvedev il 7 aprile di quest’anno, cioè nove mesi dopo il vertice dei Grandi in Abruzzo). L’ultimo stadio del berlusconismo ci precipita dunque in una surreale “terza dimensione”. Tra la meta-storia e la meta-politica. Tra la propaganda velleitaria del salto nel cerchio di fuoco staraciano, e la comicità involontaria del “Grande Dittatore” chapliniano.

Se in questo “tempo sospeso” il premier si fosse occupato anche dell’Italia, magari adesso staremmo tutti un po’ meglio. E invece, a dispetto della tonitruante campagna mediatica di regime, stiamo molto peggio. Peggio nei tassi di crescita, che come si è finalmente accorta anche la leader della Confindustria Marcegaglia ci inchiodano stabilmente agli ultimi posti dell’Eurozona. Peggio nei salari, che come denuncia il segretario della Cgil Epifani ci fotografano storicamente agli ultimi posti dell’area Ocse. In questa lenta accelerazione del declino, l’unica certezza della fase è la strutturale latitanza del governo. L’ultimo provvedimento qualificante varato dall’esecutivo risale al 28 maggio scorso: la manovra economica da 25 miliardi. Da allora, a Palazzo Chigi e in Consiglio dei ministri, più nulla. Il governo è “sede vacante”, come dimostra la vicenda di due istituzioni che aspettano da troppo tempo di tornare alla piena funzionalità gestionale e amministrativa.

Oggi ricorrono i 95 giorni di assenza del presidente della Consob. Da quando ha lasciato il suo incarico Lamberto Cardia, il 28 giugno scorso, il principale organo di vigilanza sul mercato finanziario e sulla Borsa è senza “testa”. È vero che in questi tre mesi i tre commissari che provvisoriamente lo governano (Vittorio Conti, Luca Enriques e Michele Pezzinga) stanno facendo un lavoro egregio e infinitamente migliore di quello che la stessa Commissione ha svolto nei sette anni di gestione Cardia. Questo è un miracolo che ci conforta, ma che non può durare. In Piazza Affari accadono fatti di un qualche rilievo, tra le società quotate sta avvenendo di tutto, dal ribaltone su Unicredit ai movimenti su Premafin. Come si può accettare che l’unica poltrona che interessa alla maggioranza sia quella del quarto commissario (anche quello mancante), sulla quale si allungano ancora una volta i tentacoli della Lega di Bossi, attraverso la candidatura tutt’altro che eccelsa di Carlo Maria Pinardi? Come si può immaginare che un’autorità amministrativa così importante per il controllo dei mercati possa operare a “scartamento ridotto”? Si parla da settimane della probabile nomina dell’attuale viceministro dell’Economia, Giuseppe Vegas. Forse non è la migliore delle scelte possibili, vista la provenienza del candidato da un impegno governativo e da un partito politico (è stato senatore di Forza Italia). Ma potrebbe essere comunque accettabile. Cosa si aspetta a formalizzarla?

Ma oggi si “celebrano” soprattutto i 150 giorni di interim del presidente del Consiglio alla guida del dicastero dello Sviluppo Economico. Da cinque mesi esatti, la quinta potenza economica d’Europa non ha un ministro che si occupa stabilmente e strutturalmente della gestione dei fondi alle imprese. Dei 170 tavoli di crisi aziendali sparse per la penisola. Delle vertenze Fiat di Melfi e Pomigliano. Dei dissesti dell’Eutelia e degli esuberi Telecom. Dei disastri della Glaxo e della chimica in Sardegna. Una “vacatio” inconcepibile, in qualunque altra democrazia industriale, e invece “normale” nell’autocrazia berlusconiana. In compenso, il premier-ministro, in quanto competente “ad interim” anche sulla materia delle telecomunicazioni e del sistema radiotelevisivo, si occupa della distribuzione delle frequenze tv nel “triangolo delle Bermude” Rai-Mediaset-Sky, e del rinnovo del contratto di servizio con la stessa Rai. Un conflitto di interesse intollerabile, in qualunque altra democrazia occidentale, e invece “normale” nell’anomalia berlusconiana.

Da cinque mesi il premier prende in giro gli italiani, le parti sociali e le istituzioni. Al presidente della Repubblica aveva promesso la nomina del successore di Claudio Scajola “la prossima settimana”: era il 28 giugno scorso, e da allora sono passati invano altri tre mesi. Non pago di aver snobbato irresponsabilmente l’invito di Giorgio Napolitano, Berlusconi ha bissato la presa in giro il 3 settembre. “La prossima settimana sottoporrò al capo dello Stato il nome di un nuovo ministro per lo Sviluppo Economico”, ha scritto in un comunicato ufficiale. Quasi quattro settimane dopo, non c’è traccia del nuovo ministro. Il Quirinale aspetta. Gli industriali aspettano. I sindacati aspettano. Per “intrattenerli” ancora un po’, l’altroieri alla Camera, nel suo discorso sulla fiducia il presidente del Consiglio si è lanciato in un’autodifesa appassionata non solo della sua missione di risolutore dei problemi planetari, ma anche del suo lavoro di ministro pro-tempore: “Allo Sviluppo Economico non c’è alcun vuoto di potere: ho lavorato ininterrottamente anche nel mese di agosto, esaminando i dossier di decine di crisi aziendali, intervenendo per la soluzione e firmando più di 300 decisioni per il ministero”.

I risultati pratici di questo “lavoro ininterrotto” non si sono visti. L’unica cosa di cui non dubitiamo è che il premier abbia effettivamente esaminato “decine di dossier”. Ma con tutta evidenza devono aver riguardato “altro”, considerato ciò che nel frattempo ha sfornato la macchina del fango nella battaglia contro Gianfranco Fini. La Consob, il ministero per lo Sviluppo, l’economia italiana: tutto può aspettare. Il presidente del Consiglio ha ben altri impegni. Non possiamo pretendere che trovi anche il tempo per governare l’Italia.

La Repubblica 01.10.10

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“Cinque mesi con il ministro-fantasma stop a incentivi, liberalizzazioni e nucleare”, di Roberto Mania

Tutti gli impegni sospesi e i nodi irrisolti di un dicastero senza guida. Cento giorni bastano per esaurire la luna di miele tra un governo appena insediato e i suoi elettori, in centocinquanta un ministero senza ministro scompare definitivamente dalla planimetria del potere. Diventa un ministero fantasma. Da cinque mesi, cioè ventidue settimane, centocinquanta giorni, appunto, in Italia non c´è il ministro dello Sviluppo economico.
Claudio Scajola, travolto dallo scandalo della casa con vista Colosseo acquistata non si sa da chi, si dimise il 4 maggio: da allora il dicastero è retto ad interim dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Che, in Via Veneto, nell´ex Palazzo delle Corporazioni, sede del ministero si è recato una sola volta, il 6 maggio, giorno del suo insediamento. Da allora mai più. Mai. Il ministro ad interim lo fa il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Ma il Presidente Giorgio Napolitano ha chiesto un ministro a tempo pieno.
Contro Berlusconi ministro ad interim è stata presentata dall´Italia dei valori di Antonio Di Pietro una mozione di sfiducia. La Camera la esaminerà lunedì prossimo e voterà il giorno successivo. Un voto contro un ministro che non c´è, nonostante la Grande Crisi che ha sconvolto il globo, ridisegnato gli equilibri del commercio mondiale, trasformato le strutture produttive, riscritto le regole della competizione. Cose di cui dovrebbe occuparsi anche, se non soprattutto, il ministero dello Sviluppo.
Da cinque mesi la stanza del ministro al primo piano di Via Veneto non viene nemmeno aperta. Si accumulano la polvere e pure i dossier. Nel suo discorso alla Camera dell´altro ieri, il premier Berlusconi ha rilanciato il ritorno all´energia nucleare. Non ha fatto scalpore come la promessa di concludere la Salerno-Reggio Calabria, ma rischia di fare la stessa fine: lettera morta. Perché l´Agenzia per la sicurezza nucleare non è stata ancora costituita. Manca l´accordo sul nome del presidente nonostante la disponibilità dell´oncologo Umberto Veronesi. Senza l´Agenzia non può essere presa alcuna decisione che riguardi il nucleare, a cominciare dalla scelta dei siti sui quali costruire le nuove centrali. Scajola aveva promesso la prima centrale entro la fine della legislatura. Il ritardo accumulato farà slittare tutto alla prossima. I tecnici del ministero hanno anche preparato il dossier sulla strategia nazionale per il nucleare, ma il via libera del Consiglio dei ministri non è ancora arrivato. Tutto fermo.
Ferma anche la legge sulla concorrenza. Per la verità il sottosegretario Stefano Saglia l´ha preparata con qualche timida liberalizzazione in materia di distribuzione dei carburanti e del credito. Poca roba. Comunque rimasta in uno dei cassetti di Palazzo Chigi dove Saglia l´ha portata il 3 luglio.
Gli uffici tecnici del ministero dello Sviluppo, nonostante la frustrazione di realizzare un lavoro senza sbocchi, hanno redatto il disegno di legge annuale per le piccole imprese. Di fatto il recepimento di una direttiva europea (lo “Small business act”) per sostenere le aziende di piccola dimensione. Nessuno l´ha preso in considerazione.
Un ministro serve anche far passare i suoi emendamenti nella Finanziaria (l´ultima per lo Sviluppo è stata una vera Waterloo con perdita di fondi e di competenze) come per “strappare” al Cipe le risorse per i propri progetti. Ma senza ministro e con quello dell´Economia, Giulio Tremonti, che considera superfluo il dicastero di Via Veneto, l´approvazione della delibera per la ripartizione del Fondo (300 milioni) a favore delle aree di crisi continua ad essere rimandata. I tecnici del ministero si sono sentiti dire che non c´erano i dettagli della distribuzione. Alla fine hanno scoperto che poco meno della metà del fondo è andato, per volontà di Tremonti, alla Tirrenia. Per le aree di crisi sono rimasti solo 160 milioni.
La riforma degli incentivi per le imprese è rimasta al palo, la delega scade a febbraio ed è difficile che possano essere rispettati i tempi. Non va avanti nemmeno la riorganizzazione degli enti per l´internazionalizzazione, Ice (Istituto per il commercio estero) in testa. Franco Frattini puntava ad assorbirlo dentro la Farnesina, il sottosegretario Adolfo Urso, finiano, con la delega al commercio estero non ha, per evidenti ragioni, grandi margini di manovra. Per i primi di novembre è prevista la missione di sistema (governo, imprese e banche) nei paesi del Golfo. Lì si fanno gli affari. Senza ministro dello Sviluppo probabilmente ci andrà Frattini che però è il ministro degli Affari esteri. Appunto.

La Repubblica 01.10.10