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"Fabbrica Italia: Dopo 6 mesi non c'è nulla", di Rinaldo Gianola

Sono passati quasi sei mesi da quando Sergio Marchionne annunciò a Torino il lancio dell’ambizioso progetto “Fabbrica Italia”. Un piano che prevedeva, entro il 2014, la realizzazione di investimenti per 20 miliardi di euro in Italia, il raddoppio della produzione nazionale da 650mila a 1,4 milioni di vetture, 10 nuovi modelli e il restyling di altri 6 vetture. Ad oggi “Fabbrica Italia” è ferma, non è stato investito un euro. Governo, sindacati e dipendenti non sono a conoscenza di quali modelli saranno prodotti nei vari stabilimenti italiani, nè sanno quando il piano vero e proprio potrà partire. Questa situazione di stallo è preoccupante e delude anche quei sindacati che più si erano spesi per comprendere e raccogliere le esigenze organizzative e produttive del gruppo. Ieri, dopo l’incontro tra la Fiat e i sindacati dei metalmeccanici, persino il segretario della Uilm, Rocco Palombella, ha ammesso la sua delusione perchè «la Fiat non ha presentato il piano di investimenti stabilimento per stabilimento». Anche ieri la Fiat invece di mettere sul tavolo modelli, fabbriche, numeri, ha usato le parole e lo stile già impiegati nei mesi scorsi per mettere i sindacati con le spalle al muro, anche se alcuni sono in questa posizione già da tempo. Il Lingotto ha detto che “Fabbrica Italia” «non partirà se non ci sarà l’impegno formale delle organizzazioni sindacali ad assumersi precise responsabilità del progetto». La Fiat vuole garanzie sulla governabilità delle fabbriche, e i sindacati sono pronti a negoziare. Di più, il tavolo di ieri poteva essere l’occasione per aprire un confronto più ampio, per avviare un percorso chiaro e cercare di superare anche le resistenze della Fiom, in un disegno complessivo finalizzato a garantire investimenti e occupazione nel gruppo. Ma, a questo punto, dopo lo strappo di Pomigliano d’Arco, dopo la vittoria del sì al referendum nella fabbrica campana, dopo la disdetta del contratto dei metalmeccanici, dopo le deroghe immaginate per andare incontro alle esigenze della Fiat, che cosa vuole ancora Marchionne? Quali altre garanzie desidera? Ieri si è parlato dell’ipotesi di «andare oltre Pomigliano», come se le condizioni di lavoro stabilite per quell’impianto, con una chiara compressione dei diritti e delle garanzie dei lavoratori, non fossero sufficienti e avessero bisogno di ulteriori ritocchi o inasprimenti. Forse Marchionne, di cui sono note le capacità di contrattare fino al limite, desidera la totale capitolazione dei sindacati, la piena adesione di tutti, compresa la Fiom, al suo disegno? Magari si è accorto che non si governano le fabbriche escludendo il sindacato più grande? Oppure le crescenti difficoltà del mercato europeo dell’auto, la sfida di riportare presto in Borsa la Chrysler in America e la scissione di Fiat Industrial sono argomenti talmente forti e impegnativi che spingono Marchione a spostare in avanti, e a chiedere un prezzo sempre più alto ai sindacati, il piano di investimenti in Italia? Quale che sia la ragione autentica, di fondo, di questa strategia del rinvio da parte della Fiat appare chiaro che fino a quando non si entrerà nel merito del piano industriale, fino a quando non saranno comunicati quali modelli saranno prodotti nei vari stabilimenti italiani, con quale organizzazione, con quanti turni, con quanti lavoratori, l’intero progetto “Fabbrica Italia” non sarà credibile. L’impressione è che Marchionne, pur mantenendo fermo l’impegno a investire in Italia e volendo anche recuperare un rapporto costruttivo con la Cgil, si trovi oggi in una situazione di grande difficoltà in larga misura determinata dal crollo del mercato in Italia e in Europa, e dalla necessità di finanziare un piano di investimenti di 20 miliardi di euro. Va escluso, come sempre, che gli azionisti Agnelli possano mettere mano al portafogli per pagare gli investimenti in Italia. Questi problemi di mercato e industriali sono confermati dalle notizie che parlano di un altro slittamento del lancio della Nuova Panda, il modello destinato a Pomigliano d’Arco. Il lancio già previsto per l’estate 2011, poi spostato a settembre dello stesso anno, adesso verrebbe rinviato all’inizio del 2012, nella speranza di un netto miglioramento delle condizioni di mercato. Ma se il progetto della Nuova Panda viene spostato in avanti, allora Marchionne può forse permettersi qualche settimana in più di confronto con il sindacato per spuntare condizioni ancora migliori (per la Fiat) nelle fabbriche italiane. Perònon bisogna esagerare, perchè la corda rischia di rompersi

L’Unità 06.10.10

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“Fiat-Fiom, solo i toni sono diversi”, di Raffaella Cascioli

Marchionne non spiega gli investimenti di Fabbrica Italia e pone nuove condizioni.
I toni sono meno duri, le parole più smussate, nessuno scontro cercato a tutti i costi. Detto questo, però, la Fiat non cala le carte, non fornisce molti elementi sul progetto Fabbrica Italia, non declina gli investimenti che pure conferma essere dell’ordine di 20 miliardi di euro. Un impegno a investire che, fa sapere il Lingotto, «non partirà se non ci sarà l’impegno formale delle organizzazioni sindacali ad assumersi precise responsabilità del progetto».
Nell’incontro con tutte le sigle sindacali dei metalmeccanici (Fiom compresa) – il primo a ridosso del tavolo sulla produttività che si è aperto ieri a cui era presente la Cgil – il Lingotto ha chiarito «come l’importanza delle scelte di destinazione dei nuovi modelli e il volume degli investimenti previsti richiedono un elevato livello di garanzia in termini di governabilità degli stabilimenti e di utilizzo degli impianti». E se Fiat insiste sulle condizioni preliminari «che assicurino il quadro di certezze», anche i sindacati misurano le parole ma chiedono chiarezza. Tutti spiegano che Pomigliano non può essere un modello, insistono sul fatto che l’incontro non è stato distensivo e ribadiscono che non ci saranno deleghe in bianco.
La presenza della Fiom al tavolo avrebbe potuto imporre una maggiore disponibilità al momento rinviata a prossimi incontri. Quindi le posizioni restano invariate. La Fiom pone paletti, eppure si tiene alla larga da toni ultimativi. C’è quasi il timore di rompere il fragile vetro del dialogo nonostante le posizioni sono e restano lontane. Fors’anche incolmabili se si parla di deroghe al contratto. In ogni caso il Lingotto ha assicurato che intende restare dentro Confindustria e dentro Federmeccanica dicendosi disponibile dunque a risolvere i problemi all’interno del sistema contrattuale. Sbaglierebbe chi pensasse che si tratti di un problema semantico tanto più quando, dall’altra parte del tavolo, non ci sono solo le sigle sindacali che hanno firmato l’accordo di Pomigliano ma anche la Fiom. Fiom che, pur dicendosi disponibile a un confronto su Fabbrica Italia, ha posto alcune condizioni. Se è certamente positivo il fatto che Landini & co. siano tornati a sedersi intorno a un tavolo con Fiat e le altre sigle sindacali, i paletti posti ieri dalle tute blu della Cgil sono ben piantati così come lo erano una settimana fa. Disponibilità a trattare all’interno del contratto, soluzioni positive su Termini Imerese, niet sulle deroghe, superamento dei licenziamenti e, soprattutto il coinvolgimento dei lavoratori. La posizione della Fiom non è cambiata, i toni sì. A pesare non è tanto l’isolamento nel panorama sindacale, quanto piuttosto un nuovo corso nel sindacato di Corso Italia al quale non è estraneo il prossimo cambio alla segreteria tra Guglielmo Epifani e Susanna Camusso e il tavolo sulla crescita apertosi lunedì con le altri parti sociali. Tuttavia le distanze tra Fiom e le altre sigle sindacali si avvertono sebbene tutti ieri abbiano chiesto a Fiat di calare le carte. Il leader della Fim Beppe Farina ha chiarito «non ci sarà una Pomigliano dappertutto» e che eventuali accordi saranno legati alle esigenze di stabilimenti e prodotti: «In ogni sito si partirà da prodotto e investimenti: solo dopo ci sarà la disponibilità alla flessibilità e alle esigenze poste dell’azienda». E se la Fim si dice disponibile a flessibilità insiste su accordi diversi per stabilimenti diversi. Chi dà un giudizio negativo dell’incontro è il segretario della Uilm, Rocco Palombella, secondo cui «la Fiat non ha scoperto le carte perché vuole verificare la nostra determinazione ad andare avanti. Noi ci siamo, ma prima di dare la disponibilità a realizzare certi percorsi vogliamo conoscere il progetto con i relativi investimenti». Tanto più che – come spiegano in una nota Fim, Uilm e Fismic – non è più procrastinabile l’avvio di Fabbrica Italia così da dare certezze sul futuro e sul reddito di migliaia di lavoratori.

da Europa Quotidiano 06.10.10