scuola | formazione, università | ricerca

"Mariastella delle gaffe. Il ministro senza fondi che Tremonti snobba", di Federica Fantozzi

“Pregiudizi contro chi, come me, ha gli occhi a fessuretta» si difendeva la vaporosa Caterina Guzzanti-Mariastella Gelmini a Parla con me. Chissà se, in consiglio dei ministri, la vera titolare dell’Istruzione ha opposto lo stesso argomento allo sferzante sarcasmo di Giulio Tremonti con le forbici in mano.
In fondo, il mite collega Bondi, che ha minacciato dimissioni dalla Cultura stanco di fronteggiare la rivolta di teatri, musei, fondazioni, enti lirici, siti archeologici, etc, ha incassato non soldi ma almeno umana solidarietà. Lei, invece, tutti si chiedono se sia cattiva o la disegnino così. L’avvocato dalle mise grigio acciaio, i lineamenti appuntiti e gli occhiali aguzzi; il ministro ribattezzato dall’Onda «della Pubblica Distruzione»; la cattolica ritratta come Beata Ignoranza in irridenti santini; la neo-mamma che ha fatto imbufalire mezza Italia dichiarando che «il congedo di maternità è un privilegio, tutte dovrebbero tornare subito a lavorare come me».
37 anni, liceo a Desenzano del Garda, laurea a Brescia, praticantato ed esame da avvocato a Reggio Calabria (trasloco foriero di molte illazioni), sposata a Sirmione con un aitante immobiliarista bergamasco (abito avorio, Berlusconi presente, servizio fotografico esclusivo con parenti e affini in posa per Chi). Forzista della prima ora, consigliere regionale lombarda e coordinatrice locale del partito. Nordista fino al midollo. Al punto che, a voler credere al Cavaliere, chiamò la bimba Emma su sua «imposizione» in onore della Marcegaglia: decisamente erano altri tempi, adesso alla presidente di Confindustria il Giornale del premier intitola dossier. Così nordista la Gelmini che quando Bossi se la prese con gli insegnanti del Sud dopo la bocciatura del figliolo, da Cortina d’Ampezzo batté un colpo: «Nel Sud alcune scuole abbassano la qualità. In Sicilia, Puglia, Calabria (che ingratitudine, avranno pensato laggiù, ndr) e Basilicata organizzeremo corsi intensivi».
Il ministro ha dato nome a due fatti epocali. La Riforma Gelmini (work in progress) di scuola e università. E il No Gelmini Day, punto culminante di una stagione di manifestazioni di genitori, maestri, professori, precari, cobas. Migliaia di caschetti gialli con il suo volto incorniciato da un segnale di senso vietato. Slogan socratici «Come nasce la dittatura? Con i tagli alla cultura» o pragmatici «Silvio, il viagra nasce dalla ricerca».
Gelmini difende la sua multiforme creatura: «meritocrazia, trasparenza e competitività internazionale», addio a baronie e incrostazioni corporative, razionalizzazione degli atenei inutili, rettori a tempo, maestro unico, liceo musicale-coreutico, ritorno ai voti. Plaude alla alla bocciatura per voto di condotta e al grembiule anti-griffe e anti-bullismo. Ma anche ai libri di testo digitali e alle lavagne interattive multimediali. Sul canale dedicato su YouTube illustra gli estimi, la figura disegnata, le tecniche di ristorazione.
Non incontra i precari «perché sono militanti politici». Non riceve gli studenti perché «dà fastidio che la scuola non sia più proprietà privata della sinistra». Quella di Adro, in realtà, è quantomeno affittata alla Lega, e nonostante la lettera con cui lei invitava il sindaco «ad adoperarsi per toglierlo» il Sole delle Alpi è ancora lì.
Il ferreo universo gelminiano mostra due sole crepe. La prima è la scelta del pirotecnico Giorgio Stracquadanio come consigliere politico. La seconda è l’assoluta mancanza di fondi per realizzare la rivoluzione dell’italica istruzione. Mancherebbero parole sue decine di milioni di euro. Copertura zero per ricercatori, associati, precari (pochi) da regolarizzare. Atenei di buon livello al collasso, incapaci di rispettare l’offerta programmatica promessa al momento delle iscrizioni. Le scuole vivono i momenti bui dei tribunali, tocca portarsi da casa il materiale di prima necessità. E Tremonti, slot machine dei dicasteri altrui, si gira dall’altra parte. Quella leghista.

L’Unità 09.10.10

******

Il testo Gelmini viola le leggi sulla sicurezza nelle aule

Il Movimento per la Difesa della Scuola Pubblica denuncia che la riforma Gelmini va contro le leggi sulla sicurezza. «Basterebbe appendere nelle porte delle aule dei cartelli indicanti capienza e numero massimo di alunni per le relative classi, in base a un numero massimo di 26 persone per aula e di circa due metri quadri di spazio a testa per spronare gli stessi studenti o genitori a segnalare i casi di sovraffollamento, chiedendo lo sdoppiamento delle classi, con le conseguenti ricadute positive date da lezioni con meno alunni.
Molte classi non si formano o gli alunni abbandonano o vengono inseriti nell’apprendistato o nella formazione professionale. Il risultato è calo dei diplomati, che incide considerevolmente sul calo degli iscritti nelle università. Un vero crimine, visto che in Italia dal 2003, e in Sardegna da 2 anni, gli alunni delle scuole inferiori aumentano».

******

“Solo i tagli sul personale ammontano a quasi 8 miliardi di euro, pari a 130mila posti di lavoro”, di Luigina Venturelli

Ma la lista è lunga e articolata: offerta formativa, cancelleria, edilizia scolastica, crediti inevasi.
La scuola, vittima prediletta dal governo per fare cassa
L’impossibile conteggio dei tagli alla scuola inflitti dal governo: 8 miliardi sul personale, 1,6 miliardi di crediti non pagati, 73 milioni sulla cancelleria, 10 milioni sull’offerta formativa. Ma la lista è ancora lunga. Ci sono i tagli al personale, quelli all’ampliamento dell’offerta formativa, quelli per il funzionamento ordinario amministrativo. Poi ci sono i crediti che gli istituti vantano nei confronti del Ministero ma che vengono pagati con anni di ritardo, i fondi per l’edilizia scolastica che non si trovano mai, e le risorse che stanziavano gli enti locali prima di essere strozzati dalla manovra d’estate di Tremonti. Impossibile fare una somma esaustiva dei tagli che questo governo ha inflitto e continua ad infliggere alle scuole italiane: il salasso arriva da più parti e spesso sotto mentite spoglie.
LA RIDUZIONE DEL PERSONALE
Un dato acclarato è quello relativo al piano triennale di riduzione del personale che ha preso avvio nel 2009: quasi 8 miliardi di euro in meno, equivalenti ad oltre 130 mila posti di lavoro in corso di cancellazione, 87mila docenti e 45mila ausiliari. «Ma i tagli effettivi sono superiori» sottolineano Gianna Fracassi e Annamaria Santoro dell’Flc Cgil, «perchè il conto finale non considera la soppressione quasi totale dei corsi serali per adulti». Sono infatti sparite quasi del tutto le classi riservate agli studenti lavoratori, quelle allestite negli istituti penitenziari, quelle per persone in età matura: un’utenza debole che non ha avuto modo di alzare la voce e di venir considerata nell’elenco dei danneggiati dalla Gelmini. I numeri sono comunque previsionali, quelli reali potrebbero presto rivelarsi peggiori: la perdita dei posti di lavoro, infatti, considera il licenziamento di 17mila precari all’anno, ma la cifra è destinata a salire man mano che docenti e ausiliari a fine carriera decideranno di ritardare la pensione per non rimetterci in termini economici.
LA VTTIMA PRESCELTA
Quando c’è da recuperare risorse per aggiustare i conti pubblici, la scuola si rivela spesso la vittima prescelta: certo la manovra di luglio ha bloccato i rinnovi contrattuali per tutti i pubblici dipendenti, ma il grosso del risparmio è arrivato dal blocco delle anzianità tra il personale scolastico. E non stupisce il risparmio di 73 milioni di euro attuato sul funzionamento ordinario amministrativo, ovvero sulle spese per la carta, i toner e la cancelleria in generale: lo sanno bene le famiglie degli studenti, a cui gli insegnanti chiedo-
no di farsi carico delle fotocopie necessarie all’attività didattica.
Ancora più odioso il salasso ai fondi per la legge 440 sull’offerta formativa, vale a dire corsi aggiuntivi e sperimentali, sostegno all’innovazione, scuola digitale, integrazione degli alunni in situazione di handicap. Quelli per il 2010 ammontano a 129 milioni di euro, 10,5 milioni in meno rispetto al 2009 e la metà dei 260 milioni che erano disponibili dieci anni fa. Ma la lista non è ancora finita: ci sono i 350 milioni di euro stanziati per l’edilizia scolastica che invece, secondo le stime della Protezione civile, ne richiederebbe 13 miliardi. I crediti per 1,6 miliardi che le scuole vantano nei confronti del Miur e che hanno convinto la Cgil scuola e le associazioni dei genitori a presentare una class action nei confronti del Ministero. E i tagli per ora non quantificabili che gli enti locali saranno costretti a fare sui servizi scolastici dopo la stretta finanziaria della scorsa estate.
«Si tratta di tagli orizzontali che non eliminano gli sprechi per reinvestire in qualità, ma che impoveriscono il sistema dell’istruzione con una operazione di bilancio» spiega il segretario generale della Flc, Domenico Pantaleo. «Eppure l’Italia spende già molto meno degli altri paesi Ocse nella scuola e nell’università: solo il 4,5% della spesa pubblica a fronte di una media europea del 5,7%».

L’Unità 09.10.10