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Bersani: sì alla tassa sulla finanza, paghi la crisi chi l'ha creata

Bersani: sì alla tassa sulla finanza, paghi la crisi chi l’ha creata

«Paghi la finanza quello che ha determinato la finanza: si metta tassa sulle transazioni finanziarie». Pier Luigi Bersani parla chiaro e forte nel suo intervento all’Assemblea nazionale del Pd e aderisce con queste parole alla campagna del Partito Socialista europeo sposata dall’Unità nei giorni scorsi (e sostenuta dalla coalizione Europeans for financial reform, dal Global Progressive Forum e da numerose associazioni e organizzazioni sindacali, sociali e culturali europee, e sostenuta in Italia da Cgil, Cisl Uil, Acli, Azione cattolica, Arci e da tanti altri soggetti). Il segretario Pd ha poi spiegato che invece «non è giusto invece tassare le banche perché si ha solo il risultato di aumentare i costi sui clienti». Le parole di Bersani hanno fatto seguito al voto dell’Assemblea nazionale Pd che ha votato l’ordine del giorno per la Ftt (tassazione delle transazioni finanziarie) a livello nazionale.

Leonardo Domenici, deputato al Parlamento Europeo, è il primo a commentare con entusiasmo la decisione dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico di aderire alla grande campagna a livello europeo in favore della FTT, la tassa sulle transazioni finanziarie, che prevede una presentazione coordinata di proposte di legge per l’istituzione della tassa sulle transazioni nei parlamenti nazionali dei paesi membri dell’Unione europea.

«Sono felice che l’Assemblea abbia aderito all’invito che avevo formulato con una lettera aperta ai vertici del PD nei giorni scorsi. Come ha detto il segretario Bersani – ha aggiunto l’On. Domenici – questa tassa sulle transazioni finanziarie serve ‘per assorbire surplus di debito’. C’è infatti bisogno di una politica che riesca a combinare crescita sostenibile, risanamento dei bilanci pubblici e regolazione dei mercati finanziari, anche attraverso il reperimento di nuove risorse. La FTT risponde a queste esigenze perchè può contribuire a sostenere piani di investimento nell’ambito della strategia di sviluppo “Europa 2020” per l’occupazione, la formazione, la ricerca e nuove infrastrutture. Inoltre può essere utilizzata per finanziare attività finalizzate alla riduzione del debito pubblico nei paesi dell’UE e può rendere i mercati finanziari più trasparenti e ridurre i fenomeni speculativi in essi ampiamente diffusi. Bisogna uscire da questa crisi risanando i conti ma non facendo pagare il prezzo ai lavoratori ed ai contribuenti o cancellando il welfare. Deve pagare chi non ha mai pagato e chi con le sue sregolatezze ha creato la crisi economica».

«Non dobbiamo essere timidi quando proponiamo il 20% di tasse sulle transazioni finanziarie, quando proponiamo di detassare il lavoro femminile e giovanile. Dobbiamo poi chiedere una legge elettorale che abbia dentro uguale rappresentanza di uomini e di donne, su questo dobbiamo essere coerenti. Dobbiamo poi essere chiari sul fatto che il nostro nemico non è Berlusconi, sono i mali dell’Italia causati da Berlusconi. Lui se ne deve andare perché ha aggravato questi mali. Non dobbiamo passare da conservatori» aveva detto qualche ora prima il capogruppo al Senato del partito democratico, Anna Finocchiaro.

E alla proposta arriva anche il sostegno del segretario Uil Luigi Angeletti: «Basta ridurre del 10% l’evasione per avere le risorse necessarie ad avviare la riforma fiscale. Occorre spostare il carico dal lavoro a coloro che hanno rendite finanziare, non tassare bot e cct, un alibi, noi non vogliamo tassare i risparmi ma i profitti derivanti dalle transazioni finanziare una richiesta che oggi si fa in tutto il mondo».

da www.unita.it

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“Bersani dal profondo Nord: più tasse alla finanza meno a imprese e famiglie. Ecco il progetto del Pd per l’Italia”, dall’inviato Sara Bianchi

BUSTO ARSIZIO – Pier Luigi Bersani parla dal profondo Nord, per dire senza giri di parole che qui il Pd «Non è straniero». È vero, ammette, «c’è stata una grande prevalenza di Berlusconi e Bossi» che però «partendo dal Nord hanno prodotto un grande danno per l’Italia». Perché il loro sogno di «liberare energie dal settentrione per ridare slancio al paese è fallito. Anzi, ci sta portando fuori dall’Europa».

È da Malpensa Fiere che il segretario Pd guarda al futuro per lanciare le due priorità del partito: «impedire la deriva plebiscitaria-populista di Berlusconi, mettendo in sicurezza la democrazia e predisporre un’alternativa di governo capace di suscitare il risveglio italiano». Ribadisce che la crisi di governo c’è, eccome e che il Pd è pronto a un breve governo di transizione che abbia come primo punto del programma una nuova legge elettorale. Solo più in là vede nuove elezioni Bersani, che si appella «a tutte le forze interessate a mettere in sicurezza democrazia, capaci di riunirsi attorno ad una proposta di legge elettorale ma alla ricerca anche di altre convergenze possibili».

Chi ci sarà nel nuovo Ulivo? «Tutte le forze di centrosinistra – dice il segretario Pd – che hanno attitudine di governo». Una coalizione, torna a chiarire che «non si rifà all’Unione, perché comprende chi è disposto discutere anche di ristrutturazione» E l’Udc? «E’ una forza di opposizione e non di sinistra», chiarisce Bersani, e il nuovo Ulivo «discute con tutte forze opposizione».

Nessuna illusione, dice il segretario ai suoi, sulla fase attuale perché «siamo al secondo tempo di Berlusconi, che è forse il più pericoloso. La promessa non c’è più, resta la forza ideologica, oltre a quella economica e mediatica». E poi «c’è la forza del ricatto». Pier Luigi Bersani vede molta paura in giro, ma assicura «io non ne ho».

Ma Berlusconi, il leader Pd ne è convinto, «Non se ne andrà sorseggiando un tè. Rilancerà fino a far traballare qualche nostro pilastro costituzionale». E senza Pd non c’è alternativa. Perciò, dice Bersani «rifletta chi maltratta il partito». Destinatari del messaggio? Antonio Di Pietro e Nichi Vendola, forse. E ancora: «il Pd discute con tutti ma non facciamo gli utili idioti di qualcos’altro».

Insomma il progetto per l’Italia il Pd ce l’ha e parte da Busto Arsizio. A cominciare dalla proposta Visco sulla tassazione delle transazioni finanziarie, perché deve essere «la finanza a pagare i danni che ha creato». Sul lavoro servono investimenti, innovazione, stimolo all’economia, «mentre si sono peggiorati i sistemi di distribuzione del reddito», dice Bersani che accusa il governo di avere «azzoppato il futuro», con il taglio di investimenti a Università e scuola. La critica è pesante: «hanno sbagliato tutto».

Il fisco, sottolinea il segretario è il «punto centrale della nostra operazione», con l’alleggerimento della pressione fiscale su lavoro e impresa e sulle famiglie con figli. La riforma fiscale resta un’urgenza. «Vogliamo bene alla piccola impresa, ai professionisti che lavorano e stanno nelle regole. Non siamo riusciti a farlo capire». Sul federalismo Bersani rimprovera al governo di volerlo utilizzare «per raddrizzare una gamba storta». Invece dovrebbe essere «la via più efficiente per arrivare a conquistare livelli comuni di servizi essenziali».

Nessuno sconto alla Lega: «37 leggi ad personam approvate, ruberie coperte. Ora si prenda il suo, noi lo mettiamo sui manifesti».Ai suoi l’invito a non far polemiche e a far vedere «la bella gente che abbiamo», alcuni dei quali in Sicilia e Campania minacciati dalla criminalità ogni giorno. «Non possiamo lasciarli soli». Walter Veltroni apprezza «molto» il discorso conclusivo del segretario. E definisce «giusto» il metodo di discussione interna adottato nella due giorni, «un passo avanti importante nel profilo di un partito riformista che mette alle spalle culture del passato».

da www.ilsole24ore.com

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“Rasmussen a l’Unità: tassiamo chi specula”, di Luca Landò
Una tassa s’aggira per l’Europa. Piccola, anzi minuscola. Ma come la talpa evocata da Marx ed Engels preoccuopa, fa paura ma soprattutto non si ferma. Si chiama Financial Transaction Tax (Ftt per farla breve) e prevede che per ogni transazione finanziaria lo 0,05% del valore trattato vada nelle casse dello Stato.

Per il momento è solo un progetto, un’ipotesi di cui l’Unità ha parlato mercoledì scorso dedicandovi la prima pagina e sulla quale è tonato ieri Bersani nel suo discorso a Varese. Non solo, ma Sarkozy l’ha benedetta durante il suo intervento all’Assemblea generale dell’Onu e lo stesso hanno fatto la Merkel, Zapatero e persino Barroso, confermando che l’Europa, tanto per cambiare, è di nuovo divisa. Già, perché mentre il presidente della Commissione, Barroso appunto, fa cenno di sì con la testa, il resto della Commissione e il presidente della Banca Europea, Jean-Claude Trichet, muovono il capo nella direzione opposta. Tanti elogi e molte frenate, dunque. Al punto che non si capisce se la piccola tassa stia andando avanti o non stia correndo il rischio di finire come la vecchia Tobin, molto citata ma per niente applicata. Lo abbiamo chiesto a Poul Nyrup Rasmussen, presidente del Partito socialista europeo che si è fatto promotore di una forte campagna per l’approvazione in Europa della nuova piccola tassa.

Presidente Rasmussen, qual è l’obiettivo della Ftt: ripianare i debiti esplosi con la crisi o frenare chi gioca sul mercato finanziario?
«Entrambi. Quest’anno in Europa, a causa della crisi, dobbiamo fare i conti con un buco di 900 miliardi di euro nei nostri conti pubblici. Abbiamo bisogno di nuove entrate e non possiamo chiedere alla gente di pagare una seconda volta per un guaio combinato da altri. Una tassa dello 0,05% sulle transazioni finanziarie può raccogliere 200 miliardi di euro a livello europeo, di cui 25 miliardi soltanto per l’Italia. Come tasse, oggi, il settore finanziario non paga praticamente niente: quando i vostri lettori comprano l’Unità pagano l’Iva su ogni copia acquistata; quando un trader compra un prodotto finanziario non paga nulla. È arrivato il momento che nel fisco vengano introdotti elementi di correttezza e riequilibrio.
La tassa sulle speculazioni finanziarie, però, agisce anche contro la speculazione, ad esempio colpendo le transazioni automatiche via computer o l’acquisto di prodotti come i “credit default swap che sono stati usati per speculare ai danni della Grecia. Per una volta, siamo nella fortunata situazione di poter affrontare due problemi diversi con lo stesso strumento o, come dite voi, prendere due piccioni… È un’occasione da non sprecare».

Però la Commissione europea ha appena bocciato la proposta ribadendo quanto detto dal presidente della Banca europa Trichet: che può essere efficace solo se presa globalmente mentre se applicata solamente a livello europeo finirà per spingere le transazioni verso altre aree.
«La Commissione, in realtà, non ha bocciato l’ipotesi di una Ftt: per farlo avrebbe dovuto dire espressamente: “quella proposta non ci piace”. Poiché non possono o non vogliono dire una cosa del genere, aggirano il problema nascondendosi dietro alcuni aspetti tecnici. È semplicemente inaccettabile. Sostenere, come hanno fatto, che con la Ftt le transazioni si sposterebbero fuori dall’Europa fa parte di quell’atteggiamento, come dire, falsificatorio che la Destra sta mettendo in atto da tempo. Quella tassa è stata fissata a un livello così basso – stiamo parlando di mezzo decimo di punto percentuale – proprio per evitare che qualcosa del genere possa accadere. Non solo, ma tasse simili esistono già in altri Paesi, in Inghilterra ad esempio. C’è qualcuno che può seriamente sostenere che la “stamp duty” inglese abbia portato a una massiccia fuga di transazioni finanziarie dalla Gran Bretagna ad altri Paesi? Quando parliamo a favore della Ftt, lo facciamo sempre e solo sulla base di fatti concreti: quando la commissione europea parla contro, lo fa senza portare argomenti solidi».

La Commissione propone comunque di tassare gli utili e i compensi delle società del settore finanziario.
«La differenza tra quello che la gente normale versa nelle casse pubbliche e quello che il settore finanziario paga è talmente ampia che ci vorrebbero ben altri strumenti per riportare i due settori su un livello di parità. Noi oggi abbiamo bisogno di una tassa sulle transazioni finanziarie, ma abbiamo anche la necessità di rivedere in modo adeguato le tasse sui bonus e sui compensi nelle società finanziarie e, in genere, sui profitti dell’intero settore. Da questo punto di vista, la proposta della Commissione è positiva, ma a una condizione: che sia in aggiunta alla Ftt, non in alternativa».

Rispetto agli anni passati, questa tassa sta raccogliendo consensi bipartisan: ha fatto scalpore il sì di Sarkozy a cui si è aggiunto quello del conservatore Barroso presidente della Commissione europea, della Merkel e di Zapatero. Come spiega questo fronte trasversale?
«Quando dalle parole si passa fatti, questo fronte non esiste. Il Pse dice sempre quello che pensa e agisce di conseguenza. I governi conservatori si comportanto diversamente: giocano con la proposta di una Ftt globale perché è un argomento che piace agli elettori, ma poi non fanno nulla di concreto per realizzarla. È un tipico esempio di demagogia applicata, roba da manuale. La nostra proposta di una tassa a livello europeo è la sola realmente concreta».

Berlusconi ha definito questa tassa “ridicola”.
«Credo che Berlusconi abbia perso da molto tempo il diritto di spiegare cosa sia ridicolo e cosa no».

In America è partita una forte mobilitazione che coinvolge premi Nobel come Paul Krugman e Joseph Stiglitz. Come pensate di muovervi in Europa? Non ritiene che accanto alla proposta politica sia necessaria, nei singoli paesi, una forte pressione popolare?
«Questa iniziativa può avere successo solo se parte dal basso. I governi e i centri di potere puntano a far cadere il tutto: per questo è indispensabile che la nostra voce arrivi forte alle loro orecchie. Finora abbiamo fatto molto, perché siamo riusciti a far comparire la Ftt sugli schermi radar delle sale di comando, di chi decide. Ora dobbiamo andare oltre e fare in modo che una Ftt europea diventi una strada davvero percorribile. È quello che stiamo facendo con tutti i partiti europei che fanno capo al Pse. Molti sono all’opposizione, ma questo non ci impedisce di preparare proposte di legge da presentare in tutti i 27 Parlamenti dell’Unione europea».

da www.unita.it

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“Se non ora quando?”, di Stefano Fassina

Torniamo alla realtà. Lavoro che manca ed imprese in sofferenza. Viaggio di sola andata dalla precarietà alla disoccupazione per troppi giovani. Esodo di braccia abili e cervelli freschi dal Mezzogiorno. Metà delle donne, soprattutto madri, fuori dal mercato del lavoro. Una quarta settimana sempre più lunga e sempre più vuota per milioni di famiglie. Redditi e ricchezze immense in sempre meno mani, sempre più potenti nella finanza, nell’economia, nei media, nella politica. Furti di futuro per i figli del popolo, in una scuola pubblica umiliata dal Ministro Gelmini, braccio operativo del mitico Tremonti. E poi, smarrimento dell’Europa, guidata da una destra miope, lontana dai padri fondatori, prigioniera di una “cultura della stabilità” ottusa ed autolesionista in quanto priva di una strategia per la crescita ed il lavoro. Quindi, regressione del lavoro in nome della modernità, più lavoro, meno diritti, la linea del Ministro Sacconi nell’epoca Dopo Cristo. Fabbrica Italia non partirà se non ci sarà l’impegno formale delle organizzazioni sindacali ad assumersi precise responsabilità del progetto: ma quale progetto, quali responsabilità dott. Marchionne?

Il più grande ostacolo per l’uscita dalla crisi è di ordine culturale: siamo da quattro anni nel tunnel, sempre più nubi si vedono all’orizzonte, ma il pensiero diffuso non si è svegliato dal “sonno dogmatico”. Dobbiamo guardare alla logica di funzionamento del sistema, indicano Böckenförde e Bazoli in Chiesa e capitalismo. Invece, per inerzia intellettuale e corporativismo cieco, si continuano a riproporre le ricette fallite della crescita bugiarda. È necessaria una svolta culturale, prima che politica, per rimettere a posto un ordine economico e sociale insostenibile, per rianimare la voglia di futuro. «La radicalità non è in noi, ma nella realtà di fronte a noi». Ha ragione Alfredo Reichlin.

Allora, incominciamo ad affrontare la causa di fondo dell’afasia dei riformisti: lo scarto tra la forza dell’economia globale e la triste anemia della politica locale. Proviamo a costruire un’offensiva per riportare la politica a dimensione dell’economia. Al di là dei tecnicismi, ecco il senso della proposta di tassa sulle transazioni finanziarie, una piccola tassa sulla compravendita di derivati ed altri prodotti scambiati a fini meramente speculativi. Certo, c’è bisogno di coordinamento internazionale. Ma, l’Unione Europea può far da apripista per mettere al centro del G20 di Seul a Novembre una tassa sulle transazioni finanziarie dello 0,05%. Si rallentano le speculazioni di brevissimo periodo e si raccolgono risorse per gli investimenti produttivi. Il Global Progressive Forum, partecipato da tutti i partiti democratici e socialisti del mondo, da oltre un anno è impegnato, insieme a mille sindacati, associazioni e movimenti, in Italia zerozerocinque.it, a portare avanti l’iniziativa.

Secondo i calcoli della “Foundation for European Progressive Studies”, nel 2011, con l’aliquota dello 0,05%, si possono raccogliere nella UE quasi 200 miliardi di euro, l’1,5 del Pil. In Italia, si può arrivare a quasi 4 miliardi, l’equivalente di un anno di tagli alla scuola pubblica.

Alziamo lo sguardo. Se non ora, quando?

da www.unita.it