economia, politica italiana

«Manovra senza soldi. La vota mezzo governo», di Bianca Di Giovanni

Il governo vara la legge di stabilità: un solo articolo e le tabelle. Tremonti annuncia nuovi fondi all’Università nel decreto di fine anno. Molti ministri assenti: i più critici Bondi e Galan.

Arriva la nuova legge Finanziaria, ribattezzata di «stabilità»: un solo articolo e molte tabelle già scritte con la manovra di metà anno. Nulla di nuovo: ancora solo tagli e investimenti zero sullo sviluppo. L’Italia resta ferma, paralizzata sotto la scure dell’ultima manovra, che prevedeva 12 miliardi di risparmi l’anno prossimo e 24 quello successivo. In gran parte a carico degli enti locali.
Un vero salasso. Ma accanto all’allarme conti stavolta c’è anche la forte instabilità politica a pesare, con un fronte anti-Tremonti che si concretizza in consiglio dei ministri.
Per di più c’è anche l’ultimo incidente diplomatico che fa infuriare i parlamentari.
La manovra viene varata prima che il Senato abbia dato il suo ok al Dpef (oggi chiamato Dfp), documento propedeutico alla Finanziaria.
Insomma, un pasticcio politico-istituzionale, con pochi soldi e molta tensione. Giulio Tremonti prova ad allargare l’orizzonte: annuncia da subito una sessione per lo sviluppo, con l’avvio della riforma fiscale (mercoledì il primo tavolo) e promette a fine anno «il massimo stanziamento possibile per l’università nel decreto di fine anno».
Ma fuori dal Palazzo la realtà è un’altra: precari sul piede di guerra e possibile fuoco amico in Parlamento. L’Università resta un nodo politico molto difficile da sciogliere. A questo servirà la fiducia già concessa ieri in consiglio.
Il titolare del Tesoro si presenta alla stampa attorniato da cinque colleghi ministri, per dare almeno un segno di collegialità. Dichiara che nella serata precedente c’è stata «un’ottima riunione in cui è stato chiarito tutto », e che il consiglio ha votato all’unanimità dopo appena mezz’ora di discussione «estremamente responsabile».
COLLEGIALITÀ
Ancora una volta la favola bella del governo del fare. Eppure le liti ci sono state, eccome. Tanto che Mariastella Gelmini non si presenta in conferenza (pare avesse un altro impegno), Sandro Bondi non va neppure al consiglio (pare proprio in polemica con Tremonti), così come Roberto Maroni, che però si dichiara certo che non ci saranno nuovi tagli al suo ministero. Quanto al ministro Giancarlo Galan, non solo non partecipa, ma fa dichiarazioni al calor bianco. «È una tragedia – dichiara – Il problema è che non ci sono soldi». Questa è l’unanimità vantata dal titolare del Tesoro. Il quale rivela anche che il consiglio (assente il premier per motivi di salute) ha già varato anche la fiducia.Eil cerchio si chiude: di stabile a questo punto non c’è nulla, né i conti, né la politica.
È il finiano Italo Bocchino a dipingere un quadro a tinte fosche. «Mi sembra inevitabile che il governo sia costretto a mettere la fiducia in Parlamento perché le divisioni all’interno del Consiglio dei ministri sono evidenti – dichiara – la fiducia è lo strumento più agevole per Berlusconi per risolvere i problemi di un fronte ampio di ministri che non condivide le scelte di Tremonti». In effetti soltanto Umberto Bossi si è schierato a difesa del superministro: «Lui è come von Bismarck, il cancelliere di ferro».
TAGLI E ANNUNCI
Dai banchi dell’opposizione è partito un fuoco di fila. Anna Finocchiaro ha scritto a Renato Schifani, chiedendo il rispetto istituzionale che il Parlamento merita. Cesare Damiano ironizza: «Fase due? Dopo i tagli ancora tagli». «Il governa umilia il Parlamento », attacca Stefano Fassina (Pd). Sotto la coltre della polemica politica restano pochi numeri legati alla manovra.
Per il 2011 c’è una manovra di unmiliardo, di tre miliardi nel 2012 e di 9,5 miliardi nel 2013. Ancora presto per valutare gli interventi: nessun documento cartaceo è stato fornito.
Per ora siamo agli annunci. Tremonti promette una fase nuova di sviluppo, di cui discutere in Europa, concentrata su nucleare, Sud, pubblica amministrazione, sociale e riforma fiscale.
Per ora, tuttavia, si comincia dai tagli

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«Berlusconi furioso: Giulio provoca, punta al governo tecnico», di Federica Fantozzi
Il premier e Letta chiedono ai ministri di non parlare nellariunione per non dare «alibi». Ma con Tremonti è gelo: «Poteva dire queste cose mesi fa, così massacra i ministeri»

Perché Giulio queste cose non le ha dette 4 mesi fa? Alcuni ministeri sono letteralmente massacrati. Così si distrugge l’azione di governo. Ho passato la notte a mediare ma non credo sia possibile continuare a farlo».
Raccontano di un Berlusconi (assente alla riunione per i postumi operatori) fuori dalla grazia divina, accerchiato dalla rivolta dei ministri, consapevole che sulla finanziaria il governo può davvero cadere, irritato con l’atteggiamento «provocatorio» del Superministro dell’Economia sospettato, per l’ennesima volta, di giocare una partita in proprio. Il premier ha telefonato ai suoi ministri chiedendo loro di non parlare (linea ribadita al tavolo da Letta) per non dare «alibi», ma con i fedelissimi si è sfogato: «Vedo manovre che non mi piacciono, se Tremonti fa così allora vuole un governo tecnico».
Aspese di quello attuale. Bondi ad esempio:sarà pure l’«anti-effimero» come ha puntualizzato, ma è un ministro sempre più evanescente. Già aveva disertato il red carpet di Cannes in polemica contro Draquila, pellicola «di propaganda che offende la verità e il popolo italiano». Probabilmente per gli stessi motivi, ieri non si è fatto vivo al consiglio dei ministri.Cupa riunione. Rea di tagliare brutalmente i suoi sogni di gloria, insieme al futuro di teatri, cinema, enti lirici, monumenti, siti archeologici, musei. Non è l’unico a friggere. Gelmini ha le lacrime agli occhi, Prestigiacomo rischia di passare alla storia come il ministro dell’Ambiente che ha chiuso i parchi.
L’ultimo scontro bondiano con Tremonti risale a una settimana fa sulla «commestibilità» della cultura, ma il disagio dell’uomo – che non si sente titolare della cultura bensì parafulmine – va avanti da mesi. Amaggio già si lamentava, stufo di «essere fischiato per coprire decisioni altrui», di chiudere sedi all’estero, di scoprire a babbo morto che il governo gli sopprime 232 istituti «inutili». Esautorato, commissariato, smentito, inadeguato fino all’inconsistenza: gli epiteti si sprecano.
Comele richieste di dimissioni: ultima l’Anac, imbufalita per il quasi requiem per il Fus, il tax credit, i finanziamenti alle piccole produzioni. Per l’ombra affettuosa del Cavaliere, effigiata da Disegni come poeta di corte, è un momento gramo. Sul fronte partito il triumvirato è morituro (e, peggio, Berlusconi se ne è pubblicamente lamentato). Sul fronte finanziaria, è appunto una tragedia. Ad Arcore, in qualità di segretario, Bondi rispondeva alle lettere: «Casi umani, richieste pietose». Adesso gli tocca farle lui. L’Espresso ha disegnato una mappa impietosa delle italiche rovine, dagli irrinunciabili maxicartelloni degli sponsor al Colosseo che cade a pezzi, dal 90% delle entrate museali sfumate alla sorpresa della prossima stagione teatrale: soldi per tutto il cast non ci sono, ognuno dovrà fare più parti in commedia. Un po’ come succede nel governo.
Tremonti si fa forte dello stallo e sdrammatizza mangiando un panino alla Dante Alighieri. Bondi anziché le facce dei colleghi a Palazzo Chigi preferisce ammirare i capolavori della Galleria Borghese con il suo omologo tedesco. Berlusconi si riposa a Villa Certosa, dove rimuginerà tradimenti veri e immaginari dando udienza soltanto a Letta e Alfano. Fino al prossimo spettacolo. Magari pirotecnico.

da www.unita.it

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«E intanto il premier placa i suoi ministri», di Amedeo La Mattina
Serie di telefonate: calma e prudenza, il momento è delicato

Lo sbandamento nella maggioranza e nel governo ha vissuto ieri un altro giorno drammatico. E non per colpa di Giulio Tremonti che ha rinviato la copertura della riforma universitaria a dicembre. «Lui fa il Cancelliere di ferro, come ha detto Bossi, per tenere in ordine i conti e costruirsi la successione a Palazzo Chigi. Il problema – spiega un ministro – è Berlusconi, l’assenza di indirizzo: non ha più la forza di imporre un euro di spesa. Il vero premier sembra Tremonti». Il ragionamento è che in questo momento di difficoltà politica, Giulio von Bismarck riempie gli spazi lasciati dal Cavaliere. Del resto è quello che ha spiegato lo stesso leader della Lega e cioè «chi tiene stretta la borsa, tiene stretto il potere».

Al presidente del Consiglio non rimane che consigliare calma e prudenza. Ieri al telefono con la Gelmini ha chiesto di pazientare, di non creare problemi, di non aggiungere altre fibrillazioni a quelle che già ci sono. Il Pdl è attraversato dalla sindrome di balcanizzazione. La maggioranza è appesa a un filo, è assediata dall’interno dai finiani e dall’esterno da manovre per un governo tecnico. E ora Berlusconi non rischia più con il pallottoliere, sente i rumori di fondo che salgono dai suoi gruppi parlamentari, sa che ci sono i numeri per un ribaltone anche in quel Senato in cui la maggioranza sembrava più salda. Certo, ripete (lo ha fatto anche ieri con alcuni suoi interlocutori telefonici dalla Sardegna) che se cade lui cadono tutti. Per cui nessuno può pensare di tagliare il ramo dove è seduto. E’ un messaggio rivolto pure a Tremonti, perché tenere i cordoni della borsa così chiusi indebolisce il governo. Ma per il premier non bisogna farsi tentare dalle urne. «Bisogna invece andare avanti, non moltiplicare le difficoltà». E’ questo l’input che ha dato a Gianni Letta. Il quale ieri al Cdm ha detto: «Dobbiamo approvare questa legge di stabilità senza polemiche».

«Questa non è la sede per discutere di numeri», ha osservato Matteoli che, in qualità di ministro più anziano, ha presieduto il Consiglio dei ministri al posto di Berlusconi convalescente.

Già, l’assenza di Berlusconi. Viene vista come una prova di debolezza e dello strapotere di Tremonti dimostrato dal fatto che il Cdm di ieri è stato convocato improvvisamente il giorno prima e le tabelle con le voci di spesa diffuse ai ministri solo la sera prima la riunione a Palazzo Chigi. «Perché – si è sono chiesti alcuni ministri – Berlusconi non ha rinviato il via libera alla finanziaria? Che fretta c’era? Si poteva aspettare la prossima settimana visto che Berlusconi ha disdetto il suo viaggio ad Algeri». Assente anche il ministro della Cultura Bondi: ha preferito partecipare ad una conferenza stampa alla Galleria Borghese con il suo omologo tedesco Bernd Neumann. Il suo messaggio è chiaro ed è legato ad uno scontro andato in scena in un recente Cdm. Tremonti disse al suo collega che «con la cultura non si mangia» e che in Europa tutti i governi tagliano le spese in questo settore. «Non è vero – insorse Bondi – in Europa, in Francia e in Germania, i governi stanno investendo milioni di euro sui Beni culturali». Ecco, Bondi era accanto al suo collega tedesco – e non a Palazzo Chigi – proprio per sottolineare ciò che accade all’estero: «Non vado lì a chiedergli l’elemosina».

Tremonti non si è mosso di un millimetro. Continua a ripetere che la crisi economica non è finita, ci possono essere colpi di coda e l’Italia deve tenersi sempre al riparo, avere le risorse necessarie all’emergenza. Lo ha ripetuto prima del Cdm alla Gelmini che ha incontrato insieme a Letta e Sacconi. Le ha rinfacciato di avere presentato un emendamento per assumere 9 mila ricercatori senza avere concordato con lui l’aggravio di spesa. «Ma tu – ha replicato il ministro della Pubblica Istruzione – non ti rendi conto delle pressioni che ricevo io tutti i giorni, con le università che ribollono, con le pressioni che vengono dal Parlamento. Qui salta tutto e tu non puoi sempre disporre per gli altri». Tremonti non si è fatto intenerire. Ha ricordato che l’accordo era che i soldi sarebbero arrivati con il decreto milleproroghe. Ma sarà così? Ci credono poco Gelmini, Bondi e Prestigiacomo (anche il ministro dell’Ambiente è sul piede di guerra: «Si rischia di non poter più pagare la luce e gli stipendi di chi lavora nei Parchi»).

da www.lastampa.it

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Il presidente inesistente
Esattamente come lo scorso anno, la legge di bilancio dello Stato viene varata dopo pochi minuti di discussione nel consiglio dei ministri. Assente il capo del governo. Un voto rapido. Una sola persona a fare e a decidere tutto, cioè il ministro Tremonti. L’inesistenza di una autentica leadership politica è plasticamente raffigurata da Berlusconi costretto a casa dall’ennesima terapia medica.
Non sarà dispiaciuto per la forzata assenza, Berlusconi. Anzi, si può ipotizzare che la data dell’operazione alla mano sia stata scelta per evitare al teorico capo del governo l’umiliazione subìta anche da lui lo scorso anno, inflitta stavolta solo ai ministri: un ministro dell’economia che si presenta con i tagli già decisi, impossibili da modificare, troncando progetti, ambizioni, riforme. Si lamenta solo Galan (che nel 2009 non c’era), gli altri chinano il capo, meditano vendetta, non si fanno vedere, hanno scatti d’orgoglio come Bondi.
Lo scorso anno, di questi tempi, la rivolta aperta contro Tremonti indusse qualcuno a scrivere che il ministro non sarebbe durato. E che Berlusconi meditava un secondo tempo della legislatura, liberato dalla «avarizia» del superministro (copyright del Foglio, ma di questi giorni) e proiettato verso riduzione delle tasse, investimenti in opere pubbliche, aiuti alle imprese.
Oggi siamo allo stesso scenario del 2009, peggiorato dal ritardo che l’Italia ha nel frattempo accumulato rispetto ai paesi che cercano di intercettare la debole ripresa.
Nessuno però oserebbe più scrivere che Berlusconi è sul punto di licenziare il ministro avaro. Perché è di gran lunga più probabile il contrario, sia pure per vie traverse. E comunque Tremonti è sulla scena, con le mani sulla valigetta del budget (come fosse il Cancelliere dello scacchiere), sperando di afferrare presto tutto il bastone del comando. Berlusconi è fuori scena.
Come avevamo scritto, facile profezia, la dipartita di Fini ha lasciato un Pdl non più coeso, ma ridotto in brandelli. Tutti si attrezzano a fare come se il capo non ci fosse più, o non potesse più esercitare il ruolo. Altro che Tea party berlusconiani, di cui scriveva ieri qualcuno: il presidente del consiglio deve stare attento a non finirci lui, in fondo alla baia di Boston.

da www.europaquotidiano.it

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