Chi sono gli uomini di Napolitano e perchè non piacciono al premier. Quando parla di Quirinale, l’incubo di Silvio Berlusconi ha ancora il volto e il sorriso suadente di Gaetano Gifuni, l’indimenticabile braccio destro di due Capi dello Stato come Scalfaro e Ciampi, uscito dalla prima linea e divenuto oggi, con Napolitano, segretario generale onorario. Un ruolo più appartato, anche se solo apparentemente, dato che il suo compito è anche quello di fornire consigli nei momenti più delicati: e per come vanno le cose in Italia di questi tempi ciò vuol dire intervenire ogni giorno che Dio manda in terra. Adesso che il suo ufficio è nel palazzo di fronte alla Presidenza della Repubblica, don Gaetano, l’indimenticabile «Prudenziano» (questo il suo nome di battaglia), con chiunque glielo chieda minimizza, accenna alla scrivania sgombra di pratiche e dossier, divaga su certe ricerche storiche a cui il maggior tempo a disposizione gli consente di dedicarsi, e si guarda bene dal commentare in qualsiasi modo la gran confusione politica che non trova pace e la guerra istituzionale che quasi quotidianamente oppone Palazzo Chigi al Quirinale, alla Corte Costituzionale e alla presidenza della Camera.
Ma appunto, che in un momento come questo un uomo come Gifuni possa dedicarsi solo ai suoi studi e alle sue amate riflessioni, non ci crede nessuno. Don Gaetano è infatti la memoria vivente delle due Repubbliche, la Prima e la Seconda, e l’archivio pulsante di una materia specifica, come i precedenti giuridici e di principio, che nessun computer e nessun motore di ricerca è in grado di consultare meglio di lui. Così, per Berlusconi, Prudenziano non incarna soltanto il ricordo terribile di quel Natale di sedici anni fa in cui il ribaltone, ordito ai suoi occhi con la promessa mancata di elezioni anticipate che non ci furono, dall’inflessibile segretario generale che allora affiancava Scalfaro, lo precipitò di colpo da Palazzo Chigi all’opposizione e alle aule dei tribunali in cui i magistrati lo aspettavano per cucinarselo.
Gifuni rappresenta anche la serie infinita dei più delicati frangenti in cui le soluzioni escogitate dal Cavaliere per risolvere i suoi problemi venivano demolite passo dopo passo e punto per punto dalle corrosive obiezioni di don Gaetano: leggi decisive come quelle sulla tv, lodi indispensabili, norme ad personam, pensate per sfuggire alle tagliole della magistratura, venivano vanificate orestavano impigliate nella fitta rete burocratica stesa dal Colle. Conseguentemente, nell’immaginario berlusconiano, l’idea che il potente avversario si sia fatto da parte è incredibile, è solo apparenza, riconoscendosi facilmente in tutto ciò che accade tra Palazzo Chigi e il Quirinale la traccia evidente del suo metodo infallibile e della sua testarda volontà. Berlusconi, si sa, si fida solo di se stesso e del suo intuito.
Ma non a caso negli ultimi tempi, quando i suoi consiglieri più stretti hanno ricominciato ad insistere con lui per convincerlo a moderare i toni almeno su Napolitano, lui ha promesso di trattenersi, anche se poi non c’è riuscito, spiegando che non ce l’aveva con il Presidente ma con i suoi suggeritori. La sortita contro il cavilloso staff del Quirinale «che interviene puntigliosamente su tutto» è nata di qui. Per Berlusconi non conta il fatto che in tutti i Paesi evoluti del mondo lo Stato sia composto anche di funzionari e di organi che esercitano i dovuti controlli sulle decisioni del governo, né il principio che ogni potere, secondo la Costituzione, sia bilanciato da un contropotere e ad ogni peso debba necessariamente corrispondere un contrappeso.
Il Cavaliere vede piuttosto se stesso come unico rappresentante della spinta che viene dal basso, appunto la volontà dei cittadini, e tutti gli altri come suoi nemici impegnati attivamente – e abusivamente – ad impedirgli di fare quel che vuole. In cima alla lista degli autocrati mette naturalmente lo staff del Quirinale. Non il Presidente, del quale anzi, anche in conciliaboli privati, parla bene, ricordando di aver fatto di tutto in ogni occasione per mantenere inalterati i rapporti personali. Ma i suoi pignoli funzionari, quegli occhi cerchiati di doppie lenti con i loro polverosi scartafacci, per il Cavaliere sono la zavorra che rende impossibile il cambiamento in questo Paese. Invano gli uomini di Palazzo Chigi, in testa l’instancabile Gianni Letta, cercano di convincerlo che non è così, lo frenano, lo trattengono, gli spiegano a tutte le ore che da una guerra con il Quirinale il governo non ha nulla da guadagnare.
Per Berlusconi la fila di quei grand commis, vestiti tutti uguali, che formano il seguito del Presidente, non rispondono al Capo dello Stato ma a loro stessi e forse ancora perfino al loro vecchio capo Gifuni. Con gli attuali membri dello staff, Berlusconi si vanta di non aver alcun rapporto. Con il segretario generale Donato Marra, con il capo della segreteria Carlo Guelfi, che assistono Napolitano nei suoi incontri ufficiali, il premier è orgoglioso di aver scambiato sì e no qualche saluto. Buongiorno e buonasera, e così con quasi tutti gli altri, di cui ignora anche i nomi. Nelle inquietudini del Cavaliere, oltre al già temuto Prudenziano, alla fine sono in due quelli da tener d’occhio. Uno è il consigliere per gli affari dell’ amministrazione della giustizia Loris D’Ambrosio, magistrato di grande esperienza già al vertice del ministero della giustizia prima di salire sul Colle: passeranno per le sue mani le nuove leggi ad personam in preparazione a Palazzo Chigi per limitare l’impatto dei processi ripresi a Milano.
L’altro è il consigliere per gli affari finanziari Giuseppe Fotia, il «signor No» della copertura finanziaria delle leggi, secondo solo a Tremonti e ai funzionari della Ragioneria nel bloccare le riforme più agognate dal Cavaliere. In questo senso l’avvertimento di Berlusconi contro lo staff è da intendersi preventivo, generale e particolare, ma soprattutto, non c’è neppure bisogno di dirlo alla vigilia di una stagione come quella appena cominciata, rivolto direttamente a Napolitano. Lui che è un politico – il premier parla a suocera perché nuora intenda – pensi a tenere a bada la carica dei burocrati che vogliono bloccare il governo. Altrimenti, la guerra tra i palazzi e tra le istituzioni non finirà. E potrebbe anche inasprirsi.
La Stampa 01.03.11