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«Meritiamo rispetto, pretendiamolo», di Sofia Toselli

Adesione del Cidi alla manifestazione del 12 marzo

Non c’è democrazia senza uomini e donne in grado di farla vivere e crescere. Questo è il compito prioritario della scuola pubblica. Per questo Berlusconi l’attacca.
Sono tre anni che la scuola è tagliata, mortificata, ridotta al minimo del suo funzionamento. Con provvedimenti di discutibile legittimità questo governo ha operato intenzionalmente per rendere la scuola dello Stato, la scuola dell’art. 3, comma 2 della Costituzione, un luogo inefficiente, inospitale, selettivo, dove si farà sempre più fatica a insegnare e apprendere.
Il momento è difficile e il malessere degli insegnanti si taglia a fette. In una situazione così, se arriva alla scuola un’offesa ingiusta e spregevole da chi avrebbe, per responsabilità istituzionali, il compito di salvaguardarla, il malessere aumenta, l’irritazione esplode.

Gli insegnanti “inculcano” le loro idee agli alunni, è stato detto, sottintendendo che la scuola dello Stato sia un luogo pericoloso, da cui le famiglie si debbono guardare. In realtà si attacca la scuola pubblica, la scuola dello Stato, per quello che essa rappresenta, un luogo dove si cresce e si impara tutti insieme, dove non si fa differenza tra il ricco e il povero, tra chi è italiano e chi non lo è, tra il bianco e il nero, tra chi è credente e chi no. Tutti i giorni gli insegnanti sono impegnati, attraverso il confronto delle idee, nello sforzo di istruire ed educare cittadini liberi, colti, capaci di pensiero autonomo. La fatica di insegnare e apprendere merita rispetto, attenzione e cura. E una classe politica che non è capace di capire questa verità elementare e offende e mortifica quanti la scuola, malgrado le difficoltà, ogni giorno la fanno funzionare, fa al paese l’offesa più grande.

Certo, ogni generalizzazione è sbagliata: perciò non ci nascondiamo le zone d’ombra, le inadempienze, le posizioni di comodo presenti in questa come in altre categorie. Ma è spregiudicata irresponsabilità la delegittimazione degli insegnanti.
A chi giova allora questo gettare fango sfruttando la possibilità di utilizzare mezzi di informazione che alla scuola non sono accessibili? A chi torna utile il qualunquismo di chi parla della scuola come di un fenomeno di degenerazione sociale e culturale, con l’approssimazione superba e acritica di chi pensa che poiché la scuola è di tutti, tutti ne possano parlare?

E soprattutto, colleghi, dove siamo noi, insegnanti consapevoli, democratici, responsabili, vincolati indissolubilmente all’etica della nostra professione? Abbiamo maturato anticorpi tali che ci proteggono dalla delegittimazione e dalla ipocrisia di chi usa la menzogna per esprimere un’idea di scuola che non vogliamo e non possiamo condividere?
E’ utile questa nostra rassegnazione? E’ socialmente produttiva l’idea che sarà solo l’esempio del nostro lavoro a far giustizia di ogni informazione tendenziosa, di ogni mortificazione subita? Sarà la nostra serietà a prevalere sulla delegittimazione?
Io credo di no, che non sia sufficiente. Credo che occorrano risposte altrettanto penetranti e potenti.
Ma per fornire queste risposte abbiamo bisogno che il nostro malessere e la nostra indignazione diventino visibili, palpabili.

Testimoniamo perciò con la nostra presenza il 12 marzo l’importanza straordinaria del lavoro che facciamo. Meritiamo rispetto, pretendiamolo.