attualità, cultura, memoria

«150°, quel filo tra Risorgimento ed Europa. Intervista a Ciampi», di Dino Pesole

«Infandum regina iubes renovare dolorem», «tu mi constringi, regina, a rinnovare un indicibile dolore». Parte dagli amati studi classici, con Enea che risponde così alla regina Didone ansiosa di conoscere la sua lunga, tormentata storia, la nostra conversazione con Carlo Azeglio Ciampi su come il nostro paese si sta attrezzando a celebrare i 150 anni dell’unità nazionale. Già perché è lì, nel patrimonio culturale più antico e consolidato che ancora oggi occorre attingere, per trovare il senso profondo della nostra identità culturale.

Perfettamente d’accordo, presidente, sul valore e l’attualità dei nostri classici. Forse sarebbe il caso di ribadirlo, in una stagione in cui la cultura pare relegata a un ruolo marginale. Negli ultimi cinque anni l’intervento dello Stato è diminuito di oltre il 30% e ora, dulcis in fundo, si prospetta il congelamento di altri 27 milioni di euro del fondo unico per lo spettacolo.
Guardi, ho sempre sostenuto che la cultura è uno dei nostri principali asset strategici. Abbiamo un patrimonio culturale e artistico di straordinario valore, con enormi potenzialità per la crescita del nostro paese. È singolare che, in presenza di pur oggettive difficoltà di bilancio, si riproponga nuovamente il tema dei tagli alla cultura, quasi che la cultura fosse il primo bene cui rinunciare quando occorre tirare la cinghia. Lo ha ricordato di recente il presidente Napolitano, quando ha osservato che dobbiamo aprire una seria discussione e individuare nuove strade per il nostro sviluppo economico e sociale. Ma non le troveremo – cito – attraverso una mortificazione della risorsa di cui l’Italia è più ricca: la risorsa cultura nella sua accezione unitaria.

La lingua è stata indubbiamente un fattore unificante. L’impressione è che anche questa sia una verità che alcuni danno per scontata, e altri perfino ignorano.
Nel corso di alcuni incontri al Quirinale, come ho ricordato in più occasioni anche recenti, provai a leggere di seguito due passi di due poesie. La prima scritta nel Trecento da Petrarca, la seconda nell’Ottocento da Leopardi. Chiesi agli studenti: qual è il Petrarca, qual è il Leopardi? Due opere composte a cinque secoli di distanza, eppure non c’era differenza. Un esempio semplice, se vuole, per dimostrare il valore della nostra lingua quale elemento unificante del paese. Cito Manzoni, che nel 1868 osservava come «dopo l’unità di governo, d’armi e di leggi, l’unità della lingua è quella che serve di più a rendere strettamente sensibile e profittevole l’unità di una nazione». Ecco un modo per far sì che i centocinquanta anni dell’unità contribuiscano ad esaltare i veri fattori della nostra identità nazionale.

Come si appresta a celebrare la festività del 17 marzo?
Se avessi qualche anno e qualche acciacco in meno, mi piacerebbe festeggiare l’anniversario al Vittoriano, in mezzo agli studenti. Bellissime le inaugurazioni dell’anno scolastico in quella splendida piazza. L’ho scritto nella prefazione al volume dell’associazione amici dei Lincei Canti e poesie per un’Italia unita, curato dal professor Pierluigi Ridolfi. Oggi che con un sentimento di distratta condiscendenza, quando non di aperta contrarietà, si guarda da alcuni all’appuntamento del centocinquantenario, e al suo significato, è decisivo riproporre lo spirito degli ideali del Risorgimento in ogni sua espressione. Proprio quegli ideali che vediamo scolpiti nel marmo sul frontone del Vittoriano: all’unità della patria, alla libertà dei cittadini.

Come si evita il rischio di cadere nella retorica, quando si celebrano eventi come questo?
Tornando a spiegare prima di tutto ai giovani che il Risorgimento fu la conquista di una generazione ricca di passione e di ideali. Riscopriamo tutti Goffredo Mameli, che come ha ricordato Roberto Benigni nella sua bellissima esegesi televisiva dell’inno nazionale morì poco più che ventenne. E che dire dei martiri di Belfiore? La passione di quella generazione si arricchiva del senso di responsabilità, formatosi sulla conoscenza della storia e della nostra cultura, come ricordai in un mio intervento a San Martino della Battaglia, nel novembre del 2001. Se il movimento per la libertà italiana non fu mai grettamente nazionalistico – osservai – la ragione va ricercata nella formazione di quei giovani, nel loro bagaglio culturale e morale, che si è espresso nelle opere di uno stuolo di scrittori, letterati, pensatori del calibro di Alfieri, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Pellico, Cattaneo.

Un altro punto fermo delle sue riflessioni è il filo rosso che collega il Risorgimento alla Liberazione e alla Costituzione repubblicana. Temi ripresi in numerose occasioni anche dal presidente Napolitano.
Gli statisti italiani che hanno costruito la nostra repubblica democratica, e contemporaneamente le prime istituzioni dell’Europa unita, agirono come consapevoli continuatori dell’opera dei grandi del Risorgimento, che fecero l’unità d’Italia avendo già nel cuore l’unità europea.
La conversazione volge al termine. Nel congedarci ricordiamo al presidente Ciampi che fu proprio lui, durante l’intero settennato, a riproporre con forza il sentimento di patria. I suoi collaboratori ci consegnano un testo, che risale ai primissimi giorni della presidenza Ciampi. È il 29 giugno 1999. Ciampi è a Lecce e spiega così la sua riscoperta del senso di patria: «Amo menzionare la parola patria, per troppo tempo bandita dai discorsi pubblici, perché ritengo che sia una parola che ci trova tutti uniti nel richiamarci a tradizioni che fanno del nostro popolo un popolo essenziale per l’Europa e per l’intera civiltà del mondo». Parole, che nonostante tutto, sottoscrive ancora oggi.

Cursus honorum
1946
Un uomo di via Nazionale
Carlo Azeglio Ciampi vince il concorso per entrare in Banca d’Italia. Vi resterà 47 anni arrivando alla carica di Governatore nell’ottobre del ’79 (nella foto è con il predecessore Paolo Baffi). Sarà governatore per 14 anni.
1993
Tra Palazzo Chigi e l’Europa È il primo presidente del Consiglio non parlamentare. Sale a Palazzo Chigi in un’Italia sotto shock da Tangentopoli e con un bilancio pubblico disastrato. Resta premier fino al maggio 1994. La sua carriera di governo prosegue negli esecutivi Prodi I e D’Alema I come ministro del Tesoro. È il traghettatore dell’Italia nell’euro.
1999 – 2006
Al Quirinale Il 13 maggio Ciampi viene eletto alla prima votazione – con 707 voti su 1010 – decimo presidente della Repubblica. Alla scadenza, in molti gli chiedono di candidarsi per un secondo mandato. Ma con una nota ufficiale il presidente rifiuta perché «il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato». Lascia dunque il Quirinale il 15 maggio 2006. Gli subentra Giorgio Napolitano.

da www.ilsole24ore.com