attualità, politica italiana

"Catalogo degli orrori da Brunetta a Bossi", di Giuseppe Civati e Ernesto Maria Ruffini

Catalogo degli orrori da Brunetta a Bossi. Gli autori del libro sugli attacchi alla Costituzione presentano alcune delle più significative perle. Dai discorsi di Berlusconi e dei suoi fedelissimi. Si fa un gran parlare della necessità e dell’urgenza di riformare la Costituzione, per aggiornarla ai tempi nuovi. La verità è che dalla destra di governo provengono da anni, più che proposte di riforma compiute e ragionevoli, attacchi violentissimi alle ragioni profonde contenute nella Carta.
Partiamo da Tremonti, secondo cui «se non cambi la Costituzione si blocca tutto» (13 giugno 2010), mentre per Sandro Bondi: «rifugiarsi ancora un volta dietro l’idolatria della Costituzione e la propaganda non serve all’Italia» (9 giugno 2010).
Sull’art. 1, Renato Brunetta, con il suo proverbiale equilibrio, ha affermato che «stabilire che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla» ( 2 gennaio 2010).
Sull’art. 3, quello che ci ricorda come tutti i cittadini siano uguali davanti alla legge, l’affermazione di orwelliana memoria con cui Berlusconi ha orgogliosamente rivendicato che «la legge è uguale per tutti, ma per me è più uguale che per gli
altri perché mi ha votato la maggioranza degli italiani» (17 giugno 2003). Affermazione forse superata da quella di Niccolò Ghedini, secondo cui «la legge è uguale per tutti, ma non necessariamente la sua applicazione» (6 ottobre 2009).
Sull’art. 5, quello che ci ricorda come la Repubblica sia una e indivisibile, non poteva mancare Bossi, che afferma: «io conosco un solo Paese, che è la Padania. Dell’Italia non me ne frega niente» (9 dicembre 2007) e ci rassicura affermando che «le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia sembrano le solite cose inutili, un po’ retoriche» (4 maggio 2010). Per quelli che se lo fossero dimenticato, inoltre, ci rammenta che «il vero scopo della Lega è la secessione» (17 agosto 2009). Anche sull’art. 12 della Costituzione, la norma che ha fissato nel tricolore la nostra bandiera, un pensiero dobbiamo riservarlo al solito Bossi, che, rivolgendosi ad una signora che lo aveva esposto alla propria finestra, affermava: «Il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il culo» (23 gennaio 2002).
Non poteva mancare qualcosa sulla scuola pubblica e sugli articoli 33 e 34 della Costituzione. In questo caso, l’instancabile Mariastella Gelmini è riuscita a superare ogni aspettativa, affermando che «l’istruzione è pubblica sempre, anche quando è svolta dalle scuole paritarie» (10 giugno 2008).
Sull’art. 53 ̧quello sulle tasse e sulla capacità contributiva, Berlusconi ha ipotizzato che se lo Stato chiede ai contribuenti più di «un terzo di quello che con tanta fatica hai guadagnato (…) c’è una sopraffazione dello Stato nei tuoi confronti e allora ti ingegni per trovare dei sistemi elusivi o addirittura evasivi che senti in sintonia con il tuo intimo sentimento di moralità che non ti fanno sentire colpevole» (11 novembre 2004), mentre, nell’ipotesi in cui il prelievo fiscale superi il 50 per cento, sarebbe proprio «giustificato mettere in atto l’elusione o l’evasione» (1 ̊ aprile 2008). Poi c’è uno strano articolo della nostra Costituzione, l’art. 93 che prevede il giuramento di fedeltà dei ministri e del premier. Un articolo forse dimenticato da quei ministri leghisti che da venti anni si riuniscono a Pontida per recitare un altro giuramento. Anche sui giudici e sull’art. 104 della Costituzione non si sono risparmiati. Secondo Berlusconi: «questi giudici sono doppiamente matti! Per prima cosa, perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana» (4 settembre 2003). Poi ci è andato giù pesante, definendoli «metastasi della democrazia» (25 giugno 2008).

L’Unità 12.03.11