partito democratico, politica italiana

«Surplace democratica», di Rudy Francesco Calvo

Il Nazareno si unisce e cementa l’asse con i terzopolisti.
Di fronte a un paese che «nella sostanza non ha un governo», inevitabilmente «aumentano le responsabilità del Pd». Su questa linea Pier Luigi Bersani si presenterà lunedì alla direzione del partito, in uno dei momenti più favorevoli della sua segreteria. I numeri restano incerti, anche se un’inversione di tendenza nei sondaggi c’è stata. Non sarà facile nemmeno incassare l’atteggiamento responsabile (e unitario) dimostrato in parlamento sull’intervento militare in Libia, visto che proprio su questo tema l’opinione pubblica si dimostra molto tiepida. Anche per questo, Bersani continua a ribadire la necessità di «restare nel solco della risoluzione già adottata», senza arrivare a un intervento di terra e lasciando spazio appena possibile a un’azione diplomatica.
Il segretario continua a insistere insomma sull’immagine del «partito di governo temporaneamente all’opposizione» e, almeno fino alle elezioni amministrative di maggio, la minoranza non dovrebbe sollevare troppo i toni. Difficilmente lo farà lunedì, anche perché appena una settimana dopo Movimento democratico si ritroverà a Roma per un incontro nazionale, nel quale si proverà «a dare un respiro più ampio alla proposta del partito – spiega un deputato – mentre questo Pd sembra sempre troppo legato alla stretta attualità, non riesce a imporre un’agenda diversa al paese».
A tenere banco nella discussione interna saranno anche, inevitabilmente, gli ultimi annunciati addii al partito, dal consigliere veneto (ed ex componente della segreteria veltroniana) Andrea Causin all’europarlamentare Gianluca Susta. MoDem avverte Bersani di non lasciarsi illudere dalla lieve crescita nei sondaggi: «È normale in una fase in cui sia Fini che Vendola appaiono indeboliti – spiega un esponente di primo piano della minoranza – ma non riusciamo ancora a intercettare i voti in uscita dal Pdl». Il problema di una linea ritenuta debole, insomma, c’è e verrà posto subito dopo il passaggio elettorale. «Dopo le amministrative – getta l’amo Paolo Gentiloni – è chiaro che si parlerà del congresso, ma serve anche un candidato segretario ». Che, per il momento, non c’è. La conferenza nazionale di metà mandato, prevista per l’autunno, servirà a Bersani per fare il punto sulle questioni interne. «Allora – riflettono a voce alta al Nazareno – probabilmente si riparlerà già di elezioni politiche e, con questa legge elettorale, nessuno vorrà creare problemi alla vigilia della compilazione delle liste».
Oggi, intanto, inizia a Cortona il quarto seminario di Area democratica, con ospite d’eccezione proprio il segretario. «Non siamo diventati bersaniani – ci tiene a chiarire Marina Sereni – siamo un’area con un suo profilo e un’identità e siccome consideriamo il Pd un approdo definitivo e irreversibile siamo molto esigenti». Domenica, nelle sue conclusioni, Dario Franceschini ribadirà la necessità di un’alleanza ampia per superare il berlusconismo, con un’attenzione particolare rivolta verso il Terzo polo. La mozione unitaria di tutte le opposizioni approvata ieri alla camera sulla Libia, con il voto quasi unanime dell’aula di Montecitorio, è considerato un ulteriore segnale della bontà di questa linea, nonché della sua praticabilità.
E oggi, a confrontarsi con Franceschini proprio sul post-Berlusconi, ci saranno Pier Ferdinando Casini e Fausto Bertinotti. «Non si può continuare a dire che siamo un partito che perde pezzi e non ha una linea – afferma Ettore Rosato, deputato molto vicino al capogruppo – chi semina pessimismo per provare a trarne vantaggio non fa il bene del Pd».

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TRE SFIDE PER CAMBIARE IL PAESE

Come ridare speranza ad un’Italia impaurita? Una cosa è certa: le responsabilità che il Pd si deve assumere sono grandi. Se ne parla oggi all’incontro di Area democratica. L’incontro di Area Democratica a Cortona si svolge in un quadro internazionale quanto
mai difficile, segnato dalla tragedia del Giappone e dalla crisi della Libia drammaticamente complessa. Una crisi davanti alla quale questo esecutivo ha dimostrato, ancora una volta la sua inconsistenza, dividendo il Parlamento e il Paese con una mozione di maggioranza. Per discutere non soltanto tra noi abbiamo scelto per questa quarta edizione una formula più aperta con contributi di personalità di altre forze politiche e numerose competenze esterne. A tre mesi dal 14 dicembre, quando per due voti il governo Berlusconi ebbe la fiducia alla Camera, la legislatura sembra dunque destinata a proseguire con una maggioranza abborracciata legata soltanto alla concessione di incarichi. Da ministro in giù, indagati o no, non importa. La situazione economica e sociale resta durissima e ci attendono altre manovre finanziarie molto severe, la riforma «epocale» della giustizia resta soltanto una strategia per salvare il premier, i piani dalla casa al Sud, al fisco, sono soltanto annunci…
E il Pd? Noi abbiamo una grande responsabilità: ridare speranza a un Paese impaurito, rendere credibile l’apertura diuna stagionenuova di crescita, di eguaglianza, di coesione. La straordinaria partecipazione popolare alle celebrazioni del 150° anniversario dell’ Unità d’Italia, di cui dobbiamo ringraziare il Presidente Napolitano, ha dimostrato che c’è un Paese che ci crede, che vuole sentirsi unito e guardare con fiducia al futuro. Tre ci sembrano i terreni sui quali il Partito Democratico deve muoversi. Il primo è il «progetto per l’Italia»: abbiamo tenuto tre assemblee nazionali sui principali temi programmatici, ne sono scaturiti documenti e idee, ora si tratta di indicare le priorità. Nel nostro precedente incontro a Cortona, Franceschini nell’introduzione e Fassino nelle conclusioni, si soffermarono su alcune parole: regole, merito, mobilità sociale. Erano i giorni della sfida di Marchionne e noi dicemmo che un partito riformista, proprio per difendere le ragioni dei più deboli, proprio per dare opportunità ai giovani e alle donne di questo
Paese, deve avere il coraggio dell’innovazione, deve saper guardare al mondo con occhiali nuovi. Quel ragionamento è ancora del tutto attuale.
Il Piano Nazionale di Riforme che l’Europa ci chiede è il primo banco di prova per un’opposizione che voglia smentire l’assunto, su cui concretamente si è sin qui fondata l’azione di Tremonti, secondo cui rigore finanziario e crescita non possono stare insieme. Le proposte avanzate dal Pdalle parti sociali sono una buona base di partenza, ma debbono essere selezionate per poter diventare – come è stato in anni altrettanto difficili con i governi Amato, Ciampi e Prodi – la missione condivisa su cui il Paese si rimette in movimento. Il secondo terreno è quello delle alleanze: poiché il voto non sembra più imminente il dialogo tra progressisti e moderati è tramontato? Noi crediamo di no, perché l’eccezionalità di Berlusconi – di cui ci parla Silvio forever, il film di Faenza realizzato da Stella e Rizzo che proietteremo nella serata di sabato – è al tempo stesso specchio e alimento delle debolezze e dei vizi di questo nostro Paese. L’uscita dal berlusconismo richiederà uno scatto collettivo, renderà necessaria un’opera di ricostruzione, per dare all’Italia le condizioni diun bipolarismo normale, in cui anche forze collocate in campi diversi si riconoscono nelle stesse regole e condividono valori comuni. Cominciamo dal lavoro comune in Parlamento: ieri, con la mozione sulla Libia l’abbiamo fatto. Il terzo terreno, non meno importante dei primi due, è quello del partito. Per motivare l’elettorato di centrosinistra, dialogare con il mondo dei lavori e delle imprese, mobilitare le risorse della società civile abbiamo bisogno di un partito organizzato e aperto, capace di attivare un contatto diretto e personale con gli
elettori, di utilizzare davvero i nuovi strumenti che la rete mette a disposizione. Serve un partito che non sia solo di eletti. In fondo il grande successo delle primarie a Torino, al netto delle criticità che pure abbiamo dovuto registrare in altre situazioni, ci dice che c’è una grande voglia di partecipazione, che sta a noi regolare, cogliere e valorizzare. Serve un partito pluralista in cui si discute, in cui tutti ci si sente pienamente a casa propria perché non c’è una storia superiore ad un’altra. In un partito che sa coniugare pluralismo e unità c’è anche la capacità di far avanzare una nuova generazione di dirigenti senza che questo avvenga, o venga minacciato, come fenomeno di disgregazione del tutto disancorato dai contenuti politici. Per noi l’approdo al Pd è irreversibile, ed è per questo che siamo esigenti, che non vogliamo perdere di vista l’ambizione del progetto originario, quell’idea di grande partito progressista moderno, pluralista, che ha spinto tanti di noi a lasciare vecchie appartenenze e tanti altri a scegliere, magari per la prima volta nella loro vita, di aderire a un partito. Ci aiuteranno nella riflessione docenti universitari (Renzo Guolo, Paolo Bellucci, Paolo Segatti, Cristiano Vezzoni), i nostri sindaci (Michele
Emiliano, Graziano Del Rio, Giuseppe Fanfani).
Ne discuteremo insieme ai dirigenti del nostro partito da Dario Franceschini a Piero Fassino al segretario Pierluigi Bersani, ma anche con Fausto Bertinotti, Pierferdinando Casini, il ministro Roberto Maroni. Saranno per tre giorni interessanti, densi, utili. Speriamo non soltanto per noi.

L’Unità 25.03.11