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Costituzione, addio «Si viola il principio costituzionale di eguaglianza», di Felice Diotallevi

Già oggi 150 mila processi evaporano «Sarà un disastro». Situazione drammatica a Roma. L’allarme dei magistrati: «Colpo mortale per la giustizia»
La reazione dei magistrati è stata immediata: «Così si uccide la giustizia». A rischio piccoli e grandi processi, come quello per i morti a Viareggio per l’esplosione del vagone del treno cisterna: furono 31 morti. L’Associazione nazionale magistrati contesta duramente la legge sulla prescrizione breve: «È un colpo mortale inferto al funzionamento della giustizia penale in Italia. Con la riforma oggi in discussione aumenterà a dismisura il numero di casi di denegata giustizia e di impunità per gli autori di gravi reati». «L’ Europa si legge in una nota del sindacato delle toghe ci chiede invano da tempo interventi per assicurare un’effettiva ragionevole durata dei processi e di evitare che i processi si concludano con la prescrizione. La prescrizione breve non riduce la durata dei processi, ma è un incentivo per gli imputati a cercare di far durare più a lungo il processo».
L’allarme dei magistrati è circostanziato da fatti e numeri che il governo finge di non sapere. «Oggi, dopo la riforma del 2005, sono già circa 150mila l’anno prosegue il comunicato i processi che si chiudono con la prescrizione, senza un accertamento della responsabilità dell’imputato e senza una risposta di giustizia alle istanze di chi ha subito un danno dal reato. La prescrizione breve contrasta con le previsioni delle convenzioni internazionali in materia di lotta alla corruzione sottoscritte e ratificate dall’Italia». A giudizio dell’Anm «la prescrizione breve per gli incensurati viola il principio costituzionale di eguaglianza. I cittadini italiani chiedono un processo che si svolga in tempi ragionevoli, ma anche efficacia ed effettività delle decisioni e non vogliono l’impunità dei responsabili dei reati».
FUORI STRUPATORI E RAPINATORI Anche la corrente di sinistra della magistratura, Md, non si sottrae al commento: «Quella sulla prescrizione breve è una norma che invita l’imputato potente a esercitare ogni forma di ostruzionismo per non arrivare alla decisione del processo;per questo motivo la prescrizione breve si muove in direzione ostinata e contraria rispetto al processo europeo». Magistratura democratica, replica così alle affermazioni del presidente del Consiglio sul provvedimento. «È un qualcosa di tecnicamente incomprensibile e di sostanzialmente iniquo», dice il presidente, il gip di Palermo Piergiorgio Morosini. La questione ha subito avuto anche un ricasco nel territorio. L’opposizione ha messo il dito particolarmente sulla questione romana, dato lo stato della procura della Capitale. Sia il “reggente” del Pd regionale, Vannino Chiti che il consigliere comunale Dario Nanni notano come «la prescrizione abbreviata, favorirà anche gli autori di reati gravi, come stupri, aggressioni, rapine e rapimenti. Molti delinquenti, autori di efferati delitti, di cui numerosi registrati a Roma negli ultimi mesi, potranno non essere giudicati in quanto beneficiari di questo provvedimento».
A livello nazionale, il parlamentari Andrea Marcucci e Raffaella Mariani mettono in evidenza come «la prescrizione sarà a beneficio degli incensurati, che potranno essere esclusi dai dibattimenti. Una situazione che riguarda i 38 indagati, tra cui l’ad di Fs Mauro Moretti, per la strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno del 2009».

L’Unità 31.03.11

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“Salvi colletti bianchi e criminali comuni. Così vanno a rischio 150mila cause”, di WALTER GALBIATI

Una miscela esplosiva in grado di distruggere la macchina della giustizia. Il combinato tra prescrizione breve e processo breve, gli ultimi due conigli estratti dal cilindro magico del legislatore italiano, sono un capolavoro a favore di chi è incensurato e dei colletti bianchi che in genere si macchiano di quei reati i cui tempi di prescrizione sono in media al di sotto dei dieci anni, ma i cui effetti sono tra i più odiosi per la comunità. Un popolo vasto che vede tra i suoi componenti soprattutto politici, faccendieri, truffatori, in genere chi dilapida il denaro pubblico, svena le aziende e lascia in braghe di tela i consumatori.
La prescrizione, che colpisce secondo l’Anm 150 mila processi l’anno (e con la riforma questa cifra rischia di raddoppiare), oggi si calcola aggiungendo alla pena massima un ulteriore quarto, per cui se la pena è di otto anni, più un quarto diventa 10 anni. Con il nuovo testo, invece di un quarto si deve aggiungere un sesto. Il che significa che per quei reati la cui prescrizione è già breve, lo sconto sarà minimo, mentre aumenterà per quei reati la cui pena è maggiore. Sconto che ovviamente verrà concesso a tutti gli incensurati dall’entrata in vigore del testo. Ne beneficeranno quindi dallo stupratore, preso per la prima volta, che con gli aggravanti può arrivare fino a 10 anni al rapinatore che usa le armi (fino a 20 anni), ma anche il bancarottiere (fino a 15 anni) o chi turba i mercati finanziari (12 anni).

Il processo breve, invece, rischia di passare, sotto le mentite spoglie di una necessità europea, come la più grande depenalizzazione della storia italiana. Per molti esperti non sarebbe nient’altro che un nuovo colpo di spugna su quelli che si classificano come i reati dei colletti bianchi, in genere puniti con pene inferiori ai dieci anni. Si tratta di truffe, corruzioni, reati ambientali, tutti i reati societari, come il falso in bilancio e il falso in prospetto, quelli tributari, diventati tanto di moda con lo scudo fiscale, la bancarotta preferenziale, la corruzione, l’appropriazione indebita. Si salvano l’aggiotaggio e l’insider trading perché le pene previste superano i dieci anni.

Il processo breve, infatti, si applica quando in dibattimento vengono trattati reati con pene inferiori ai dieci anni. In questi casi il giudizio di primo grado deve arrivare entro tre anni, l’appello entro due e l’eventuale ricorso in Cassazione entro 18 mesi. “Impossibile” dicono in coro magistrati e avvocati, che ogni giorno bazzicano le aule dei Tribunali. Il principale ostacolo alla realizzazione di questi processi sono i tempi ristretti: è difficilissimo, partendo dalla richiesta di rinvio a giudizio, fissare l’udienza preliminare, svolgerla e concludere il dibattimento entro tre anni. A volte passano diversi mesi dal solo rinvio a giudizio alla prima udienza. A Milano, per condannare Calisto Tanzi in primo grado per aggiotaggio, ci sono voluti più di tre anni, da settembre 2005 a dicembre 2008, mentre il parallelo processo alle banche partito nel 2006 arriverà a giudizio non prima di aprile di quest’anno.

Salvo sorprese dell’ultimo minuto, tuttavia il processo breve non verrà applicato ai processi in corso, altrimenti si vedrebbero cancellati dalla storia della giustizia capitoli come quelli della Cirio, Antonveneta, Enelpower, Thyssen, Eternit e lo scandalo rifiuti della Regione Campania. Ma non solo. Si sarebbero trasformati in una bolla di sapone anche tutti i principali processi per i crimini ambientali da quello dell’Ilva di Taranto a quello per la più grande discarica abusiva di rifiuti tossici a Bussi sul Tirino (Pescara). E come in una roulette, sarebbero stati depotenziati, per la prescrizione dei reati con pene inferiori ai dieci anni, i processi della “Clinica degli orrori”, la Santa Rita di Milano, o il processo sui dossieraggi illeciti di Giuliano Tavaroli. Salvati quelli in corso, però, i guai restano per i processi futuri.

La Repubblica 31.03.11

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“Vogliono una giustizia malata”, di Gian Carlo Caselli

L’inefficienza efficiente. Non è un trucco verbale (tipo “processo breve” e altre simili amenità) escogitato per puntellare obiettivi impresentabili. È la chiave di lettura dello stato della giustizia italiana: un malato-cronico, che agonizza da anni, con una folla di medici intorno al suo capezzale, ma nessuna cura adeguata. Nei paesi a noi vicini le cose vanno decisamente meglio. Dovendo escludere l’ipotesi fantasiosa di una damnatio Italiae o di una combinazione astrale mefitica, è impresa davvero ardua spiegare perché soltanto da noi si debba tollerare una situazione di sostanziale denegata giustizia, senza che si faccia nulla o quasi per rimediare allo sfascio. Ci sono riforme a costo zero che produrrebbero immediatamente effetti positivi di grande spessore. Per esempio la revisione della “geografia giudiziaria”, cioè della distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio nazionale. Una distribuzione da rottamare, perché pensata quando invece delle auto e dei treni c’erano le diligenze e spostarsi da Pinerolo o Ivrea a Torino era un’impresa complicata.
UNA NUOVA “geografia giudiziaria” consentirebbe di abolire un consistente “pacchetto” di Tribunali oggi inutili, con conseguente recupero di un bel po’ di magistrati e di personale amministrativo da dirottare verso le sedi bisognose di rinforzi. Un’altra riforma a costo zero si potrebbe realizzare intervenendo sulle procedure, oggi afflitte da un bizantinismo barocco che allunga i tempi del processo all’infinito. Per esempio abolendo l’appello, così da recuperare – di nuovo – un imponente numero di magistrati e ausiliari concentrandoli sul primo grado di giudizio, in modo da potenziarlo e abbreviarne i tempi; – prevedendo nel contempo rigorosi filtri che impediscano ricorsi pretestuosi o meramente di-latori in Cassazione capaci di inflazionare il sistema fino alla paralisi. La giustizia italiana, dunque, è un malato grave ma curabile. Nessuno però vuol davvero curarlo. Perché?
Perché l’obiettivo vero della maggioranza politica contingente è aggredire l’indipendenza della magistratura. Ed ecco appunto l’inefficienza efficiente. Se la giustizia non funziona, sarà più facile attaccare i giudici. Chi vorrà mobilitarsi in difesa della indipendenza dell’ordine giudiziario, se persiste la vergogna di un servizio dovuto che invece non c’è? Se va bene, qualche gruppo ancora sensibile ai valori della Costituzione. Ma i più ragioneranno in termini pragmatici: fatemi prima funzionare il servizio che pago come contribuente;- solo dopo, semmai, si potrà parlare anche di indipendenza dei giudici! Dunque, l’inefficienza del servizio giudiziario risulta funzionale all’efficienza delle strategie di attentato all’indipendenza della magistratura. E l’inefficienza è tanto più efficiente quando più si strilla (il massacro mediatico è incessante) che i magistrati sono gli unici che se sbagliano non pagano. Semplificazione idiota e falsa (smontata anche sulle pagine del “Fatto” da un recente intervento di Bruno Tinti), ma comoda e suggestiva.
TRACCIATO lo scenario di fondo della inefficienza-efficiente, si delinea con maggior evidenza anche la strategia binaria dell’attuale maggioranza: risolvere i problemi giudiziari del premier e umiliare la magistratura. Da un lato leggine con effetti “ad personam” (processo breve, prescrizione breve: tutto breve! Come se bastasse, alla moda di Pangloss, aggirare la realtà con qualche artifizio verbale per risolvere i problemi…) e dall’altro riforme “epocali” della giustizia, che in realtà con la giustizia c’entrano come i cavoli a merenda. Alla giustizia italiana che sta affogando nella palude della inefficienza, la sedicente riforma “epocale” non offre neppure un salvagente sgonfio. Si propone unicamente di bastonare i magistrati che già stanno annaspando con l’acqua alla gola, affondandone definitivamente autonomia e indipendenza, con grande sollievo di tutti coloro che temono come la peste i controlli sull’uso illegale del potere.
Completa il quadro l’assordante propaganda (organizzata scientificamente, senza risparmiare né uomini, né mezzi, né argomenti fasulli) sulla irresponsabilità della magistratura a fronte di colpe ed errori che si dipingono come imperdonabili, confondendo disinvolta-mente il presunto errore con la fisiologica legittimità di opzioni interpretative diverse, tutte consentite all’interno del perimetro di legge: per cui è incivile classificare come “errore” (ricollegandovi la possibilità di intimidazioni o rappresaglie contro il magistrato) la semplice scelta di un’opzione, sol perché essa non conviene a tizio o caio ovvero non corrisponde alle sue aspettative. Possiamo però aggiungere al quadro fin qui disegnato una pennellata finale che riguarda l’opposizione. Serpeggia tra le sue file una rassegnata disponibilità ad abbracciare temi cari all’antagonista, quasi una voglia – talora – di appiattirsi sullo pseudo garantismo berlusconiano, che non è veicolo di uguaglianza ma strumento di privilegio e discriminazione, perciò non vero garantismo ma ipocrisia. Per l’opposizione questa scelta comporta una sostanziale rinunzia alla propria identità. E certamente non è un buon segno – per la democrazia – che la dialettica politico-culturale sui temi della giustizia si riduca a melassa che tutto omogeneizza e confonde.

Il Fatto Quotidiano 31.03.11