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Nella ricerca la Cina insidia gli Usa

La Cina insidia gli Stati Uniti anche sul fronte della ricerca scientifica: la potenza asiatica è schizzata dal sesto al secondo posto a livello mondiale ed entro pochi anni salirà in prima posizione scalzando gli Usa. Secondo un rapporto pubblicato ieri dalla Royal Society di Londra «la Cina ha già superato la Gran Bretagna per numero di pubblicazioni scientifiche e si prevede che forse già nel 2013 e sicuramente entro il 2020 superi anche gli Stati Uniti».
La classifica della ricerca scientifica mondiale è ancora dominata dai Paesi occidentali con Gran Bretagna, Germania, Francia, Canada, Italia (scesa dal settimo all’ottavo posto) e Spagna alle spalle degli Usa, ma il loro contributo cala. Il Giappone ha ceduto il secondo posto alla Cina, scendendo in quarta posizione, mentre l’India è entrata per la prima volta nella top ten al numero dieci, scalzando la Russia.

Il rapporto “Knowledge, Networks and Nations” dell’accademia scientifica britannica si basa sul numero di articoli e studi pubblicati nelle riviste scientifiche più prestigiose a livello mondiale paragonando il periodo 1993-2003 al quadriennio 2004-2008. Allo stato attuale «gli Usa sono leader mondiali e producono il 20% di tutta la ricerca scientifica, dominano le classifiche universitarie e investono quasi 400 miliardi di dollari all’anno in ricerca e sviluppo», afferma il rapporto. La percentuale di ricerca made in Usa è però scesa dal 26,4% al 21,2% attuale e anche Gran Bretagna, Giappone, Germania e Francia hanno registrato un calo negli ultimi anni.

La Cina invece ha più che raddoppiato il suo contributo alla ricerca scientifica mondiale passando dal 4,4% all’attuale 10,2% e conquistando così la seconda posizione. «L’ascesa della Cina è stata particolarmente impressionante – afferma il rapporto -. Pechino ha aumentato molto gli investimenti con una crescita del 20% ogni anno a partire dal 1999 per arrivare agli oltre 100 miliardi di dollari di oggi». Nel 2006 inoltre le università cinesi hanno sfornato 1,5 milioni di laureati in scienza e ingegneria, numero che si prevede sia andato crescendo negli ultimi anni.

La morale è che «nessun Paese per quanto storicamente dominante può permettersi di riposare sugli allori se vuole mantenere il vantaggio competitivo che deriva dall’essere un leader nella scienza – afferma Chris Llewellyn Smith, direttore della ricerca della Royal Society -. Il mondo scientifico sta cambiando e nuovi protagonisti si stanno rapidamente facendo avanti: oltre all’emergere della Cina stiamo assistendo all’ascesa di Paesi dell’Asia orientale, del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale».

Il rapporto dimostra la stretta correlazione tra investimenti e risultati. Un esempio è la Turchia, che ha dichiarato la ricerca una priorità assoluta aumentando di sei volte gli investimenti pubblici: in dieci anni il numero di ricercatori è salito del 43%, il numero di articoli pubblicati è quadruplicato e il settore ha registrato un miglioramento paragonabile a quello cinese. Un altro esempio è l’Iran, che ha registrato l’incremento maggiore nel numero di pubblicazioni scientifiche, passando dalle 736 del 1996 alle 13.238 del 2008. La Tunisia, che dieci anni fa non investiva affatto in ricerca, ora dedica alla scienza lo 0,7% del budget. In Brasile, altro Paese fino a poco fa “invisibile”, San Paolo ormai produce più ricerca scientifica dell’antica università di Cambridge in Inghilterra.

L’aspetto più importante, secondo la Royal Society, è che la ricerca scientifica si sta internazionalizzando e che c’è più cooperazione che concorrenza tra Paesi. «Problemi globali come il cambiamento climatico, il rischio di pandemie, la bio-diversità, le riserve di cibo, acqua ed energia hanno bisogno di soluzioni globali e la collaborazione è necessaria per trovare queste soluzioni – afferma Llewellyn Smith -. Più Paesi sono impegnati nella ricerca scientifica, più innovazioni ci saranno per il bene di tutti».

Il Sole 24 Ore 30.03.11