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Sabina Guzzanti: «Salviamo la cultura: No alla Sala giochi», di Marco Guarella

Puntare sulla cultura. Basterebbe questo gioco di parole per raccontare una storia significativa: un quartiere di Roma mobilitato contro l’apertura di un Casinò-Sala da gioco. Siamo a San Lorenzo storico quartiere della capitale per raccontare due mesi di occupazione dell’Ex Cinema Palazzo, un luogo storico della cultura, di inizio secolo, dedicato al teatro e al cinema dove tra gli altri calcarono le scene anche Ettore Petrolini e Romolo Balzani. Molte storie di siti culturali assomigliano alle vicende di questo spazio: il cinema non esiste più da trent’anni, poi, a lungo, una sala biliardo e ancora dieci anni fa lo stabile fu ristrutturato per ospitare una Sala Bingo, progetto che fallì dopo poco. Pochi mesi fa, l’ingresso da parte di una società per la gestione del casinò, con slot machine e video poker. Un pasticcio in quanto il piano regolatore non ammette sale giochi, viene chiesto un condono non concesso e risulta chiaro come si possa fare solo attività culturale.
Dentro questa «storia all’italiana» si inserisce il business della quasi liberalizzazione del gioco di azzardo che viene di fatto facilitata dal decreto Abruzzo del 2008. Ma il quindici aprile alcuni centri sociali, il comitato di quartiere assieme a singoli cittadini decidono di occupare l’ex cinema per dire «No al casinò»: le firme raccolte a sostegno di chi si oppone alla nascita della Sala da gioco sono più di seimila. In quei giorni in seguito alla morte a Gaza di Vittorio Arrigoni, gli occupanti intitoleranno la Sala al cooperante italiano. Da allora si svolgono proiezioni di film, spettacoli teatrali, serate musicali . Il vecchio ex cinema si affaccia su Piazza dei Sanniti, usata spesso come parcheggio selvaggio, in una San Lorenzo radicalmente trasformata.
Oggi il taglio dei fondi per le attività culturali a Roma stride con il probabile acquisto, per la cifra di 12 milioni di euro, del centro sociale neofascista Casa Pound da parte della giunta capitolina. Se in circa due mesi si è svolto un numero di eventi forse superiore a quello delle ultime stanche formule di «Estate Romana», è probabile che la «dote» di questo connubio tra politica e arte, ipotecando la fine dell’era Alemanno, proverà a proporsi come modello e strategia per una futura gestione della cultura a Roma.
Incontriamo Sabina Guzzanti come occupante e macchina artistica dell’ex cinema Palazzo. Come sei entrata in questa esperienza a San Lorenzo?
«Un po’ per caso perché ci abito, sono da anni una sanlorenzina acquisita. Questo spazio, che negli ultimi anni era rimasto chiuso o sfitto, però lo conoscevo già in passato, avevo provato in qualche modo a interessarmene ma era tutto troppo complicato o oscuro. Poi c’è stata questa iniziativa di varie associazioni e comitati di quartiere; ho ascoltato come si era arrivati all’occupazione e così già dal primo giorno, rifiutando l’idea che il quartiere avesse bisogno di una Sala da Gioco-Casinò, ho stabilito un rapporto diretto con gli occupanti. È un’iniziativa in un quartiere che negli ultimi anni ha subito un continuo degrado: sporcizia, spaccio, furti. San Lorenzo luogo storico della memoria e della cultura popolare a Roma è peggiorato, smarrito la sua identità anche per questo sto occupando la Sala Vittorio Arrigoni».
Pensi esista anche un degrado del consumo culturale, in questo quartiere e nella città? «Trovo (sorride Sabina) ovvia questa domanda, una politica sensata manca da anni e con Alemanno le cose sono addirittura peggiorate. Credo che in questa città gli spazi culturali siano limitati, come modello virtuoso vedo solo Auditorium, ma più che vedere mega-eventi penso esista una grandissima sete di espressione e partecipazione. Questo è lo spirito di questa occupazione: quando questo spazio è stato aperto abbiamo cominciato, senza fatica e con molte persone, attività e iniziative riqualificando il tessuto urbano a differenza di luoghi dove si può solo bere e i giovani sono coinvolti in una dimensione asociale. Sembrerà paradossale ma è proprio questo dialogo che favorisce “l’ordine pubblico” cioè una politica culturale non sporadica, capace di rendere possibile esperienze e ricerche». Allargando questo discorso all’Italia, valutando positivamente il plurievocato “vento di cambiamento” in importanti città, pensi esista la possibilità di fermare l’involuzione antropologica di questo Paese?
«Credo siano facilonerie..(Sabina non sorride) questo desiderio di cambiamento è stato possibile grazie al fatto che dopo tanto tempo ci fossero candidati finalmente votabili…Ma questo contrasta con un mio forte pessimismo sull’uscita dal buio culturaleci vorranno anniche rimarrà ancora per molto tempo, soprattutto se questo governo resterà come temo fino al 2013. Sono io che torno a parlarti di pratica culturale. Pur continuando il mio lavoro sto trovando nell’ex Cinema Palazzo, un’esperienza che porta felicità e mette in moto relazioni importanti: un luogo tenuto con cura dove le persone che partecipano alla gestione dello spazio sono molteplici. Dopo una naturale diffidenza reciproca, dovuta all’eterogeneità della composizione sociale, la situazione gradualmente, grazie ad una “democrazia diretta”, piena è diventata, ai fini delle attività, efficiente. Un “lavoro” divertente in un clima positivo, costruttivo con una grande attenzione sul fatto che questo non venga vissuto come il “classico” centro sociale».
Pensi che tutto questo possa essere o diventare un modello per la città? «Credo di sì, le trattative con il Comune sono a buon punto e si spera in un accordo anche con la proprietà, ma anche se questa formula dovesse terminare, oggi sarebbe stata una scommessa vincente. Dovrebbe divenire un luogo per fare cultura eripetonon solo luogo di eventi e spettacoli da fruire. Vi è una grande attività che produce e dimostra che si possono fare teatro e cinema in questo modo. Ma anche immaginare cose diverse: dal torneo di tressetteorganizzato da Elio Germanoai seminari filosofici nelle attività pomeridiane. Esperienza analoghe si stanno mettendo insieme e stanno provando, come abbiamo discusso in un recente convegno all’università, ad ipotizzare dei nuovi modelli di gestione culturale».

L’Unità 09.06.11

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