attualità, politica italiana

"Nomine pubbliche. La rete di Milanese", di Giovanni Bianconi

Il capo di gabinetto di Tremonti, Vincenzo Fortunato, l’ 11 gennaio scorso ha parlato al pubblico ministero napoletano Piscitelli sia del ruolo dell’ex ufficiale della Guardia di finanza asceso al fianco del ministro, sia del meccanismo che conduce alla spartizione delle cariche decise dal suo dicastero. Le nomine di provenienza «politica» «Milanese si occupa dell’attività politica del ministro in senso ampio…— ha spiegato Fortunato—. Ha seguito, per conto del ministro, le nomine nelle società di primo livello le cui azioni sono detenute dal ministero-dipartimento del Tesoro; fra essi rientrano Eni, Enel, Anas, Fs, Poligrafico dello Stato, Sogei, Finmeccanica, Fincantieri, Enav ed altre» . L’indicazione dei rappresentanti del ministero rientra fra le attività di indirizzo politico indicate dalla legge, continua il capo di gabinetto. E chiarisce che la «provenienza» delle designazioni è «in parte interna al dipartimento e in parte di provenienza “politica”. In particolare la scelta di questi ultimi era il frutto di una mediazione tra le diverse componenti politiche della coalizione di governo, e spesso anche della concertazione con altri ministeri» . Il capo della settima Direzione del dipartimento del Tesoro, Francesco Parlato, ha riferito al magistrato la procedura per le nomine. Dopo un appunto del suo ufficio al ministro, «si apre una fase di ricerca da parte dell’organo politico per l’individuazione e condivisione dei nominativi, all’esito della quale il ministro fa pervenire le sue indicazioni» . L’incarico di comunicarle «viene svolto dal maggio 2008 dall’onorevole Marco Milanese… Tutte queste nomine sono state seguite dall’onorevole Milanese» . Anche per quelle di «secondo livello» — un migliaio di cariche nelle società controllate dagli Enti pubblici che dovrebbero avvenire “piena autonomia”—, secondo Parlato la prassi è che avvengano «contatti preventivi e informali tra gli amministratori delle società capigruppo e gli organi di governo o di riferimento politico» . E siccome Milanese s’interessava delle nomine superiori, «è presumibile, ma si tratta di una mia congettura, che i capi azienda abbiano fatto riferimento anche a lui per questa evenienza» . L’unico che non conosceva questa attività del consigliere di Tremonti sembra essere il segretario di Milanese, Paolo Iannariello, indagato nella stesso procedimento che riguarda il suo capo: «Non mi risultano competenze particolari attribuite al Milanese; non mi risulta che lo stesso segua le nomine di competenza del ministro nelle società partecipate» . «Milanese mi ha aiutato» Ma il problema, secondo l’accusa, non è tanto la regia nell’attribuzione degli incarichi, quando il fatto che Milanese avrebbe “venduto”almeno una parte di essi, in cambio di denaro o altre utilità. Per esempio quelli di Guido Marchese e Carlo Barbieri (commercialista e sindaco di Voghera), messi agli arresti domiciliari dal giudice di Napoli, che nell’ambito di una complicata e inusuale operazione di compravendita di una villa in Costa Azzurra, avrebbero fatto avere al deputato designatore almeno centomila euro. Ascoltato come testimone in due occasioni, al secondo interrogatorio Marchese— seduto su varie poltrone fra cui quelle dei collegi sindacali di Ansaldo Breda, Oto Melara, Ansaldo Energia, Sogin e Sace per circa centomila euro all’anno— ha ammesso l’interven- to di Milanese: «Sono stato aiutato come tutti in questo genere di cose, e ho chiesto e ottenuto l’appoggio di Milanese certamente per il mio incarico in Ansaldo Breda, nella Oto Melara e certamente anche nella Sogin e anche nella Sace» . Il pubblico ministero domanda come ha saputo dell’intervento di Milanese, e Marchese risponde: «Dopo le mie richieste è stato lui a dirmi di aver segnalato il mio nominativo alle diverse società controllate dal ministero, tra le quali quelle di Finmeccanica… Mi risulta che anche Barbieri abbia ottenuto un incarico nel consiglio di amministrazione di Federservizi (società controllata dalle Ferrovie dello Stato, ndr) per intervento del Milanese» . La deposizione con le ammissioni di Marchese non è stata del tutto tranquilla, dopo che il pm Piscitelli gli ha contestato di aver taciuto, nel precedente interrogatorio, un incontro con Milanese prima di presentarsi al magistrato. «Non avevo capito la domanda, le chiedo scusa» , s’è giustificato il testimone. Divenuto indagato anche in virtù delle telefonate intercettate dalla Digos di Napoli in cui s’intuiscono la preoccupazione e l’attivismo di Milanese proprio per le testimonianze di Marchesi, Barbieri e un’altra persona coinvolta nella compravendita della villa in Costa Azzurra, l’agente immobiliare Sergio Fracchia. «Devono negare totalmente» Il 20 gennaio scorso, vigilia della prima convocazione di Marchese, e Barbieri, la polizia ha registrato una conversazione tra Barbieri e Fracchia, il quale— dopo aver chiesto se la linea era «a posto» e «pulita» , nel senso di non intercettata — si lancia: «Allora, ho sentito il mister… da specificare bene, alle domande che faranno, che sicuramente chiederanno perché avete comprato queste… E ha detto “è un amico comune che ci ha fatto prendere, perché noi avevamo già fatto delle operazioni immobiliari in Francia, c’era un affare e l’abbiamo fatto”. Perché dove andranno a puntare, mi ha detto l’amico, è se avete fatto questo in cambio di qualche cosa… Di qualche nomina… negare totalmente» . Barbieri sembra acconsentire («Non è vero, non è vero» ) e Fracchia insiste: «Esatto, poi se picchiano sulla villa, da dire sempre per un discorso di investimento (…) Mi raccomando perché… mi ha chiamato quattrocento volte» . Investigatori e inquirenti sono certi, per i riscontri con altri atti d’indagine, che «il mister» altri non sia che Marco Milanese, inquieto per l’inchiesta in corso. Due giorni prima del secondo interrogatorio di Marchese, Milanese richiama Fracchia: «Gli dici se magari da un telefono pubblico o da una cabina, più tardi, anche domani, mi dà un colpo di telefono, così gli dico un po’. Perché tanto… loro vogliono battere sulla faccenda nomine… son matti, ragazzi…» . Timoroso di essere ascoltato, il deputato avverte che Marchesi deve chiamarlo da telefoni non suoi, e i numeri controllati non registrano altri colloqui sul tema: a dimostrazione, annota la polizia, «che le successive comunicazioni sono avvenute attraverso canali per loro sicuri» . Il 4 febbraio anche Fracchia viene ascoltato dagli investigatori sulla compravendita della villa, e tre ore prima Milanese lo chiama: «Tutto a posto comunque, sì?» , domanda. «Sto andando adesso» , risponde Fracchia. E Milanese incalza: «Ricordati di dire che loro l’avevano comprata perché avevano il cliente. (…) Se ti dicono qualcosa, nomine non nomine, non sai un cazzo. Dici “ma che dici?”, poi basta» . Gli accertamenti sulla Finanza L’indagine della Procura di Napoli prosegue sul fronte delle nomine gestite da Milanese ma anche sui suoi rapporti all’interno delle Fiamme gialle, di cui ha fatto parte fino al congedo di sette anni fa e nelle quali ha mantenuto saldi legami. Lo stesso giudice che ne ha chiesto l’arresto ha ricordato come l’inchiesta debba «individuare gli esponenti della Guardia di finanza che hanno comunicato al Milanese o a persone a lui vicine le notizie relative alle investigazioni» , che poi il deputato «rivendeva» agli inquisiti. Come l’imprenditore Paolo Viscione, al quale Milanese comunicò che era intercettato il giorno stesso in cui erano cominciate le operazioni di ascolto. Viscione ha raccontato che un giorno il consigliere di Tremonti gli fece vedere perfino le trascrizioni delle conversazioni registrate, intimandogli di non parlare più al telefono. Da quale «talpa» siano arrivate notizie e carte, è uno dei misteri da svelare.

Il Corriere della Sera 11.07.11

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“LUI E Il MINISTRO LE VITE OPPOSTE”, di ALDO CAZZULLO

Che cosa c’entra Giulio Tremonti con Bonnie&Clyde? Cosa ha a che fare il politico italiano più frugale, austero, quasi penitenziale, con la coppia che— se saranno confermate le notizie di questi giorni— passa dallo yacht di quindici metri alla villa di Cap Martin, dalla Bentley alla Porsche Cabrio, e fa un punto d’onore di non abitare case romane o suite newyorchesi da meno di 8.500 euro, al mese o al giorno?

Chi conosce bene Tremonti sa che il suo stile di vita è di una sobrietà pressoché monacale. Se ha un ospite a pranzo o cena, a Milano lo invita nella foresteria di una caserma della Guardia di finanza, a Roma in una cucina del ministero dell’Economia. Luoghi disadorni, un po’ tristanzuoli, tavole apparecchiate come viene, spaghetti cotti talora personalmente dal ministro, conditi con sughi portati da casa. Serate il cui unico piacere è quello intellettuale. Il menù prevede talora una visita ai saloni scuri e deserti dove ai tempi di Quintino Sella — il predecessore che Tremonti predilige— si pensò di sistemare l’intero governo, nella prima ala il Tesoro, nella seconda la Guerra, nella terza gli Esteri, nella quarta gli Interni; una soluzione che non gli spiacerebbe ripristinare. Un altro desco abituale era il bilocale da studente fuori sede affittato all’Esquilino dall’allora capo di gabinetto Fabio Corsico. Per non parlare delle cene rustiche con i leghisti in Cadore, a base di ossi e altri intrugli indigeribili. Amaggior ragione, appare fuori luogo — a prescindere dalle gravi accuse di corruzione — lo stile di vita di Marco Milanese, consigliere del ministro, e della sua compagna Manuela Bravi, che di Tremonti è portavoce. Suona fastidioso il modo in cui la Bravi, in un’istruttiva intervista con Monica Guerzoni del Corriere della Sera, chiama «venditori ambulanti» gli accusatori del fidanzato, citando una categoria di lavoratori come fosse un insulto. E stridono quei rendiconti della carta di credito con esborsi per 23 mila euro al mese: una cifra che un agente della Guardia di finanza, insomma un ex collega di Milanese, non guadagna in un anno. «Non è un reato essere amiche della Ferilli» si difende la Bravi, e ha ragione. Ma non può impedire che si sorrida, nell’apprendere l’insistenza di Milanese per viaggiare con i protagonisti del film «Natale a New York» , per poi ritrovarsi al piano nobile del Plaza, con l’amica Sabrina al mezzanino. Resta il fatto che pure chi conosce bene Tremonti non sapeva che avesse una portavoce. Se ministri anche minori e anche di sinistra si fanno annunciare da segretari dei segretari, Tremonti invece chiama sempre lui, talora con formule inconfondibili tipo: «Pavla Tvemonti» , «Tvemonti speaking» , o anche solo «Eccolo» . Di portavoce ne ha avuti parecchi e intercambiabili; infatti non contavano nulla, e le sue interviste le leggevano sui giornali. Ora il ministro rivendica che in diciassette anni di politica non una sola inchiesta di una magistratura non proprio benevola verso il centrodestra l’abbia mai sfiorato. Il che è vero; come è vero che fosse mal riposta la fiducia verso Milanese, legato da un sodalizio— «mi faceva da banca» — con il discusso uomo d’affari Francesco Viscione, divenuto feroce inimicizia quando sfuma la candidatura del genero— «tu te futti ’ e sorde della famiglia!» — a sindaco di Cervinara (in provincia di Avellino). I luoghi di Tremonti sono Sondrio e Pavia, la montagna povera e le aule universitarie. Il massimo della mondanità è l’Aspen Institute. Milanese si era appassionato, oltre che allo yacht— «praticamente ogni sabato e domenica scorrazzo…» —, alla Costa Azzurra, a Capri e alla costosissima gioielleria «Fiorente» , dove trattava pendenti con diamanti da tre carati da quarantamila euro, poi opportunamente dimezzati. Perché allora il rapporto di fiducia ha resistito sino all’ultimo, compresa l’ospitalità nella stanza dell’appartamento a Campo Marzio? Forse la risposta va cercata in un tratto caratteriale, che gli amici definirebbero tenerezza e i nemici fragilità. Quel tratto colto da Corrado Guzzanti, quando mette in scena Bossi e Tremonti come G a s s m a n e Trintignant del «Sorpasso» , uno irruente e gradasso, l’altro timido ed esitante. Anche un uomo schivo ha bisogno di qualcuno che gli stia accanto, a sciare, nelle scarpinate in montagna, nel penitenziale e infinito viaggio in treno sino a Reggio Calabria, affrontato con la compagnia non proprio amena dei leader confederali di Cisl e Uil (e non una delle tante toilette a bordo che funzionasse); o anche solo nelle serate romane passate a studiare carte e prendere decisioni anche per conto di un premier impegnato nelle sue «cene eleganti» . Che poi il Pdl, sempre pronto ad attaccare Tremonti quando faceva cose giuste tipo salvare i conti pubblici, solidarizzi con «moti d’affetto» ora che ha fatto (e riconosce di aver fatto) «una sciocchezza» , mostra quanto sia scombinato il primo partito italiano, e quanta confusione regni sotto il cielo della politica.

Il Corriere della Sera 11.07.11