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"Gli aiuti negati all’Africa che muore", di Romano Prodi

Caro direttore, ho seguito con profonda attenzione quanto il Corriere ha scritto sulla terribile carestia del Corno d’Africa. Condivido quindi il vostro appoggio all’iniziativa di «Agire» e delle associazioni non governative ad essa collegate per la raccolta delle risorse necessarie a fare fronte all’immensa catastrofe.
Non voglio in questa sede soffermarmi sulle dimensioni e le caratteristiche di questa carestia. I lettori hanno potuto leggerle in tutti gli aspetti analitici e ne hanno potuto vedere le drammatiche immagini. Abbiamo tutti di fronte ai nostri occhi i bambini che muoiono di fame in mezzo alle carcasse degli animali e i profughi che non riescono ad arrivare ai pochi luoghi di soccorso. I nostri dati sulla mancanza di acqua, cibo, assistenza sanitaria e alloggio sono purtroppo condivisi da tutti gli organismi internazionali e da tutte le Ong operanti nel Corno d’Africa. Il richiamo ad un atto di solidarietà è reso inoltre più urgente dalla constatazione che le risorse pubbliche mondiali impegnate (e non ancora raccolte) raggiungono a mala pena la metà dei mezzi già oggi necessari, mentre la carestia peggiorerà almeno fino a gennaio prossimo e fatalmente prolungherà le proprie nefaste conseguenze per molti anni. L’iniziativa di solidarietà è quindi urgente ed indispensabile, ma lo è ancora di più per noi italiani, data la particolare responsabilità che deriva dalla lunga storia dei rapporti fra il nostro Paese e il Corno d’Africa e soprattutto fra l’Italia e la Somalia, che è oggi al centro di questa tragedia. Nell’ambito del disarmo di tutta la nostra assistenza governativa all’estero abbiamo infatti totalmente abbandonato il Corno d’Africa e lo abbiamo fatto nonostante che, da parte dei popoli che lo abitano, il richiamo ad un rapporto forte e diretto con l’Italia sia particolarmente sentito. È vero che questo rapporto è reso difficile da situazioni politiche complesse ma è purtroppo altrettanto vero che stiamo attuando una politica di totale irresponsabilità sia riguardo alle relazioni governative dirette sia nel supporto delle numerose associazioni non governative (laiche e religiose) che eroicamente continuano ad operare nell’area. L’appello del Corno d’Africa all’Italia riceve una risposta colpevolmente sempre più debole. Vorrei tuttavia aggiungere un’ultima riflessione che riguarda particolarmente Milano. La città del Corriere ha opportunamente scelto come punto di riferimento della prossima Expo il cibo e l’acqua. Tutti ci rendiamo conto che, se non si interviene con una grande iniziativa mondiale, la mancanza di cibo e di acqua sarà non solo causa di immense tragedie umanitarie ma sarà all’origine delle nuove guerre. L’acqua dei grandi fiumi del mondo, come è oggi utilizzata, non basta più a sfamare i popoli che vi vivono attorno. Il Nilo arriva sostanzialmente secco al Mediterraneo mentre i Paesi a monte dell’Egitto e del Sudan, a cominciare dall’Etiopia, reclamano maggiore acqua per il proprio sviluppo e per la propria agricoltura. Problemi analoghi esistono per il Tigri e L’Eufrate e l’elenco poterebbe allungarsi verso un infinità di fiumi maggiori e minori. Nello stesso tempo gli attuali sistemi di irrigazione usano dieci volte (o anche più) la quantità di acqua che potrebbero usare con sistemi più aggiornati. Non parlo delle tecnologie all’avanguardia ma di metodi appena un poco più moderni. Nessuno oggi riflette in modo operativo su questi grandissimi problemi. L’Expo di Milano deve quindi essere la grande occasione per approfondirne gli aspetti tecnici e le soluzioni politiche. La bella battaglia per l’Expo di Milano l’abbiamo vinta non pensando a un’impossibile concorrenza alla inarrivabile grandiosità di Shanghai e nemmeno per accrescere il valore di alcune aree fabbricabili, ma per dare un contributo alla soluzione del più grande problema dell’umanità, che è quello di garantire cibo e acqua per tutti. Lo sforzo di solidarietà straordinaria di cui il suo giornale si è fatto oggi protagonista insieme alle Ong deve perciò legarsi ad un progetto che, nella storia dell’umanità, sarà più importante e duraturo della torre Eiffel, che ancora oggi ci ricorda l’Expo celebrata a Parigi più di un secolo fa.

Il Corriere della Sera 31.07.11