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Inchiesta su Penati, l’accusa: «È un sistema trasversale», di Giuseppe Vespo

Ci sarebbe un «sistema» dietro il presunto giro di mazzette di cui è accusato Filippo Penati. A sostenerlo sono gli imprenditori coinvolti nell’inchiesta di Monza. Il Pd: nessun finanziamento. I nostri bilanci sono certificati. Finanziamento illecito ai partiti. È l’ipotesi di reato che più fa discutere tra quelle messe in piedi dalla procura di Monza, che indaga sulle presunte mazzette prese dall’ex sindaco di Sesto San Giovanni, e vicepresidente del consiglio regionale lombardo, Filippo Penati, nell’ambito «degli interventi edilizi sulle aree Falck ed Ercole Marelli, e sulla gestione del servizio trasporti Altomilanesi». La bufera giudiziaria scatenata dai pm Walter Mapelli e Franca Macchia svelerebbe infatti «un sistema insospettabile e trasversale, che qualcuno chiama “lobbismo” e che io chiamo “mazzette”, che non riguarda un solo partito, ma una classe politica». A sostenerlo è Piero Di Caterina, indagato e imprenditore nel settore del trasporto pubblico con la «Caronte srl». È uno dei principali accusatori dell’esponente democratico, insieme al consigliere sestese di centrodestra, nonché ex proprietario dell’area Falck, Giuseppe Pasini. Dai verbali secretari delle loro rivelazioni ai magistrati di Milano, poi trasmessi per competenza ai colleghi di Monza, è nata meno di un anno fa l’inchiesta che oltre a Penati mette sotto indagine per finanziamento illecito ai partiti, corruzione e concussione, il suo ex capo di gabinetto alla Provincia di Milano, Giordano Vimercati. In tutto, al momento, gli indagati sono 15, ma solo sette di questi sanno di essere sotto inchiesta, per via degli avvisi di mgaranzia arrivati lunedì con le perquisizioni della gdf. I reati sono contestati dal 2001 al 2010. Nei suoi resoconti, Di Caterina spiega di essere stato convocato mesi fa dai magistrati milanesi, che indagavano sulle irregolarità nella bonifica dell’area Montecity-Santa Giulia, per chiarire alcune questioni riguardanti «un affare immobiliare» con Luigi Zunino.
«Avrei potuto parlare solo di quello – chiarisce l’imprenditore – ma non vedevo l’ora di raccontare ai magistrati per denunciare come questo sistema schiaccia la libertà di impresa non solo a Sesto San Giovanni, ma anche a Milano, come a Segrate e a Cinisello Balsamo, che sono i luoghi dove ho lavorato». Nel mercato degli appalti pubblici, denuncia l’imprenditore, «o si accettano quelle condizioni, che qualcuno chiama lobby e io chiamo mazzette, o si viene buttati fuori».
Sarebbe questo il motivo per cui Giuseppe Pasini, ex proprietario dell’area Falck, avrebbe pagato qualcosa come quasi otto miliardi di lire in tangenti a Filippo Penati. Soldi passati di mano dalla Svizzera e dal Lussemburgo grazie anche allo stesso Piero Di Caterina, indicato da Pasini come uno dei fiduciari dell’ex sindaco di Sesto, Penati. Mentre l’altro fiduciario sarebbe proprio Giordano Vimercati. A beneficiare del «sistema» anche due manager delle cooperative.
Ieri Nerio Diodà, l’avvocato dell’esponente Pd autosospesosi dalla vicepresidenza del consiglio lombardo ma non dalla carica di consigliere, è andato in procura a Monza per un incontro conoscitivo col pm Mapelli. Al momento non sarebbero previsti inviti a comparire da parte della procura né richieste di confronto da parte della difesa. Intanto i magistrati procedono con l’esame dei documenti sequestrati lunedì dalla guardia di finanza. Tra i «gravi indizi di colpevolezza» indicati nel decreto di perquisione ci sono anche i resoconti delle rogatorie sui bonifici che Giuseppe Pasini avrebbe fatto a se stesso in Lussemburgo per poi pagare le tangenti «destinate anche al partito di Penati». Un’accusa che il Pd allontana da sè con il tesoriere Antonio Misiani: «I nostri bilanci sono pubblici e certificati da una società di revisione indipendente». Mentre Rosy Bindi richiama tutti alla «questione morale»: «Auspichiamo che le parole pronunciate da Penati siano vere – dichiara Bindi – che possa dimostrare la sua estraneità.Ma se dovesse risultare in qualche modo compromesso non potremmo che chiedere un passo indietro

L’Unità 23.07.11

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“AFFARI E POLITICA LA CADUTA DEGLI DEI SCUOTE MILANO” di Rinbaldo Gianola

Quando è arrivata la notizia che Filippo Penati e alcuni suoi collaboratori avrebbero raccolto, incassato o anche solo richiesto soldi per operazioni da realizzare sulle aree della vecchia Falck, la
prima cosa che è venuta alla mente non sono state le dimissioni, l’autosospensione, la separazione del destino di un amministratore, di un leader politico dal suo partito in attesa e nella speranza che tutto si risolva per il meglio. Tutto questo è rilevante, ma secondario. C’è qualche cosa di più importante per chi, come chi scrive e tanti altri, è nato e cresciuto in quella vasta area di lavoro, solidarietà e solida umanità che, una volta, dalla Bicocca attraversava la ferrovia e arrivava fino a Sesto San Giovanni delle grandi fabbriche di un tempo. Se abbiamo imparato qualche cosa della vita lo abbiamo imparato in quei prati e in quelle strade.
Il sentimento prevalente oggi è un misto di rabbia e di delusione, anche il solo sospetto sulle bustarelle appare come un’offesa a un pezzo di storia di questa città e del paese, è un insulto a quelli che vivevano nelle casette operaie, che passavano col nonno al Circolo 25 aprile per bere un bicchiere di spuma, che faticavano dalla sera alla mattina in una vita organizzata dalle sirene degli stabilimenti per conquistare un pezzo di futuro, senza scorciatoie. Il valore della politica si misurava con la responsabilità personale e la trasparenza delle azioni, questo bastava a dare il segno della diversità dagli altri.
Forse può non piacere, ma oggi non possiamo parlare dell’inchiesta della magistratura di Monza che ha coinvolto Penati senza inquadrare questa notizia in un più ampio, radicale, profondo cambiamento del panorama dei poteri politici ed economici che travolge Milano in attesa che tracimi nel paese. La città vive la stagione della caduta degli dei, potenti e intoccabili fino a ieri, fragili e sconfitti oggi.
È caduto il San Raffaele di don Luigi Verzè, con il suo retaggio di affari, compromissioni con la politica e gli affari che l’eccellenza clinica e scientifica non ha potuto cancellare. Il suicidio di Mario Cal, capo azienda dell’ospedale, e l’arrivo di professionisti dell’emergenzam con Giovanni Maria Flick ed Enrico Bondi testimoniano la gravità della situazione. È molto instabile Salvatore
Ligresti, altro bastione del potere milanese che da Craxi è arrivato a Berlusconi passando per la Mediobanca di Cuccia. I suoi figli sono stati costretti dalle banche a fare un passo indietro nella conduzione della compagnia di assicurazioni Fondaria Sai ma don Salvatore, quasi a confermare la sua orgogliosa resistenza alle difficoltà, si è
rifiutato di andare in procura dove i giudici vogliono sentirlo sugli ostacoli alla vigilanza che egli avrebbe frapposto in occasione delle trattative per l’ingresso dei francesi di Groupama in Premafin. Forse
Ligresti paga l’abbandono di Cesare Geronzi e l’indebolimento di Berlusconi. Stare dentro il Corriere della Sera, dove è rappresentato da un campione della prima repubblica come Massimo Pini, non offre più protezione alle attuali bufere politiche e giudiziarie. E anche la stessa Mediobanca post-Geronzi pare aver voglia di aprire le finestre a qualche novità. Penati ha rappresentato per tanto tempo un potere amministrativo e politico che, nel regno di Berlusconi, cercava una strada per resistere e battere leforze prevalenti della destra. Per anni è stato il punto di riferimento dell’opposizione, anche perchè era stato l’unico a sconfiggere gli epigoni di Berlusconi. Penati diventa sindaco di Sesto nel 1994, all’epoca della prima ondata di Forza Italia, e dieci anni dopo presidente della provincia di Milano. Il pragmatismo amministrativo è sempre stato centrale nella sua azione politica. Forse era una scelta inevitabile nell’impero della destra e in un mondo troppo moderato, dove molti hanno cercato di emulare il linguaggio del centrodestra per cercare un successo politico lungamente atteso. Ma non era così e Giuliano Pisapia con la sua educata radicalità lo ha dimostrato negli ultimi mesi anche in una città molto
moderata. Penati è stato un pezzo di potere in città, ha cercato di convivere, tra contrasti e alleanze, con un mondo complicato. Ha fatto forse meglio come sindaco di Sesto quando si trovò a fronteggiare il processo di deindustrializzazione più vasto non d’Italia, ma d’Europa, piuttosto che come presidente della Provincia con gli affari dell’autostrada Serravalle. Oggi, come in altri tempi e in altre vicende simili di questo Paese, la coincidenza forse non casuale di inchieste giudiziarie, di sfortune aziendali, di crisi finanziarie colpisce e destabilizza simboli, personaggi, alleanze dell’economia e della politica.
La caduta degli dei può sorprendere, ma continuerà. Non c’è dubbio.

L’Unità 23.07.11