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"La rivoluzione democratica delle donne tunisine", di Emilia De Biasi

La notizia l’ha data il Ministro degli Esteri: c’è l’impegno dell’Italia a seguire con attenzione la vicenda di Narges Mohammadi, assegnataria del premio internazionale Alexander Langer 2009, portavoce del Centro dei difensori dei diritti umani in Iran, collaboratrice del premio Nobel Shirin Ebadi. La signora Mohammadi sta scontando una condanna a sei anni di carcere. Fino a poco fa era custodita in una cella della sua città, ora è stata trasferita lontana da casa e dai figli piccoli. La sua unica colpa è aver militato a favore dei diritti umani nel suo Paese.
La scena di questa buona comunicazione è stata la consegna del Premio Langer 2012 all’Associazione delle donne democratiche tunisine, avvenuta l’altro giorno alla Camera dei deputati. Dunque qualcosa si muove. Ed è straordinario che tutto ciò passi anche dal lavoro incessante della società civile, in una collaborazione rara e virtuosa con la politica.
Un metodo che sarebbe piaciuto ad Alexander Langer, secondo il quale «In politica raramente si parla di qualcosa di vero, cioè di vissuto e realmente fatto proprio. Il reale incrocio tra esperienze, più che tra posizioni è un momento creativo». E ancora «… le scorciatoie sloganiste aiutano a contarsi, non a cambiare persone e circostanze. I patti reciproci aiutano a fare i conti gli uni con gli altri, visto che alla fine nessun altruismo regge alla prova del tempo e dell’usura. Non gridare non vuol dire rinunciare a spiegare e diffondere scelte solidali, serve per convincere, invece che mettere solo a verbale».
Non so se le donne tunisine abbiano urlato, ma certamente il loro lavoro non è servito solo per un verbale. La loro incessante lotta negli anni, dalla rivendicazione dei diritti delle donne come diritti umani fino alla consapevolezza, agita e non solo enunciata, per cui l’uguaglianza dei diritti tra uomini e donne è il fondamento di una società democratica, ci parla della rivoluzione dei gelsomini, in un misto di storia e modernità, ci dice dell’importanza della diffusione del messaggio di democratizzazione attraverso gli strumenti più moderni, la rete.
Ciò che è accaduto è nelle coscienze degli uomini e delle donne tunisine, di quella primavera araba, carica di contraddizioni e di incertezze sul futuro dell’area, ma che trova in Tunisia un ancoraggio sicuro, grazie all’azione delle donne e tra loro, in prima fila, dell’Associazione delle donne democratiche. A queste sorelle va la nostra gratitudine perché ci hanno scosso dal torpore dell’inevitabile, hanno superato ostacoli indicibili, non si sono mai rassegnate all’indifferenza della dimensione privata.
Protagoniste di una rivoluzione voluta, non importata, hanno scelto negli anni il processo di democratizzazione come filo conduttore. Una rivoluzione nella rivoluzione, partita dalla lotta contro la violenza alle donne e contro gli abusi sessuali, concretizzata da un centro di ascolto e di sostegno, dalla battaglia contro le discriminazioni nel diritto di successione, che penalizzava il mondo femminile, dalla specifica dimensione della povertà, penso alla rivolta del pane. È una grande vittoria, quella della penalizzazione delle molestie sessuali nelle scuole e nei luoghi di lavoro, che oggi è reato nel codice penale tunisino. Insomma poche chiacchiere e molti fatti, fino all’affermazione della questione della cittadinanza femminile e della separazione tra vita civile e religiosa, l’ultimo approdo teorico oltre che pratico, la sfida tutta aperta della convivenza tra islam e modernità, per dirla con il cardinale Scola.
Democrazia, pluralismo, libertà di associazione e di espressione, autonomia delle donne, cultura e dimensione civile: sono tratti dell’universalità dei diritti umani in ogni area del mondo. E sono esempi che valgono per tutti. Langer, in uno dei suoi ultimi scritti, afferma: «In passato ho forse imparato più dai libri. Nei tempi più recenti mi sembra di imparare più dagli incontri che mi capita di fare». Il futuro passa dalla libertà e dalla dignità femminile, dal destino comune visto in diretta e dalla speranza di realizzazione di un Mediterraneo che si riconosce nei valori della democrazia e dell’autodeterminazione, delle culture che affratellano e non dividono.

L’Unità 03.07.12