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"Al di sotto delle parti", di Luca Landò

« Non si uccidono così anche i cavalli». Era un bellissimo film di Pollack su una gara di ballo a oltranza, dove non vince chi è più bravo ma chi resiste di più. È quello che accade in questi giorni a palazzo San Macuto dove la commissione di vigilanza dovrebbe eleggere il nuovo cda Rai. Dovrebbe. Perché i balletti e le giravolte del Pdl puntano a questo: resistere, resistere, resistere.

Lo hanno fatto ieri con l’aiuto del presidente del Senato Renato Schifani che, smessi per l’occasione i panni della figura istituzionale, dunque super partes, è sceso in campo a dare una mano alla propria squadra, il Pdl. Una scena inaccettabile, tanto da spingere il presidente dell’altra Camera, Fini, a rompere il galateo istituzionale e a chiedere al “collega” senatore di chiarire la propria decisione.

A convincere Schifani a buttare il fischietto e menar calci, è stato il grido di allarme del Pdl che, dopo le prime due votazioni in commissione di vigilanza, aveva capito che il cda della Rai, per la prima volta dopo dieci anni, avrebbe potuto avere una maggioranza non più berlusconiana, anche a causa del voto disobbediente del senatore Amato il quale, anziché indicare un nome del Pdl ha preferito puntare su Flavia Nardelli. Il punto è proprio la Nardelli che, sostenuta dall’Idv, Flavia Perina e Giovanna Melandri, rischiava seriamente di soffiare il settimo posto (decisivo in una situazione di parità) al centrodestra.

Ed è qui che entra in gioco Schifani. Alle 12,40 di ieri, il presidente del Senato si è improvvisamente ricordato che in commissione vigilanza il Pdl era sovrarappresentato e dunque avrebbe dovuto rinunciare a uno dei propri membri. Destino toccato, guarda caso, proprio al dissidente Amato.

Premesso che lo squilibrio in commissione a favore del Pdl esiste da almeno un anno, è assai curioso che il presidente Schifani abbia deciso di affrontare la questione solo ieri e proprio durante le votazioni. C’è poi un altro fatto che rende ancora più sorprendente il comportamento del presidente dei senatori. L’articolo tre del regolamento della commissione dice in sostanza che i membri della stessa possono essere sostituiti solo per uno dei seguenti motivi: cessazione del mandato parlamentare (è stato il caso di Salvatore Cuffaro), sopraggiunto incarico di governo (è accaduto più volte) o dimissioni. La vicenda del senatore Amato non rientra in nessuno di quei tre casi, comprese le dimissioni che lo stesso senatore ha più volte ripetuto ieri, anche al nostro giornale, di non avere mai rassegnato. Perché Schifani ha ignorato questo articolo e quelle regole? Perché ha proceduto alla sostituzione? È ovvio che c’è stato un ordine «superiore», cioè di Berlusconi.

Che il Pdl sia pronto a tutto pur di non perdere la partita è evidente e non sorprende. Quello che invece è difficile da accettare è che ci sia una figura istituzionale che si presti al gioco. Paolo Gentiloni, ministro delle Comunicazioni nel governo Prodi, ha detto ieri che «quando c’è di mezzo la televisione, in Italia vengono meno le più elementari regole del fair play istituzionale». In questo caso si è fatto qualcosa di più, visto che si tratta di un autentico colpo di mano.
Nel frattempo la Rai continua ad essere un servizio più privato che pubblico, con l’obiettivo evidente di non alimentare la concorrenza con Mediaset. Una Rai al bromuro, con tanti saluti a audience e pubblicità (calata in solo anno dell’8,2%). Ma anche una Rai generosa, visti i continui regali a Sky per quanto riguarda i diritti di F1, MotoGp e mondiali di calcio. Per non parlare del metodico smantellamento della satira e dei programmi di alto ascolto come Santoro e Fazio-Saviano. E se a questo aggiungiamo la rivoluzione digitale (che aumenta l’offerta ma frammenta gli ascolti) il sospetto, anzi la certezza, è che la tv pubblica sia ferma sulle gambe proprio quando avrebbe bisogno di cominciare a correre.

Certo, non basta un nuovo cda per raddrizzare le sorti di un’azienda sottoposta a decenni di pressioni, ingerenze ed errori. Per farlo, ci vorrebbe un’autentica svolta e una nuova visione. Ma è indubitabile che, senza nuove mani e senza nuova guida, la Rai di domani sarà la copia anastatica di quella di ieri e di oggi.

Vedremo questa mattina, alla ripresa delle votazione, se la sostituzione in corsa del “traditore” Amato permetterà al Pdl di chiudere a proprio favore la partita, magari con un ripensamento della Lega che finora ha votato scheda bianca. In caso contrario, è assai probabile che il balletto di questi giorni del centrodestra avrà molte repliche. Se così fosse, si porrà seriamente il problema di come interrompere questo spettacolo triste se non indecente, visto che riguarda un servizio pubblico, cioé di tutti. Esiste un solo modo: il commissariamento. Che è parola grossa e antipatica, ma indica l’unico strumento capace di tirar fuori dalla palude il cavallo di Viale Mazzini. Prima che schianti sfinito a terra come i ballerini di Pollack.

l’Unità 05.07.12