attualità, politica italiana

Legge elettorale, scossa di Napolitano "Basta rinvii, si decida a maggioranza", di Umberto Rosso

La lettera-ultimatum arriva sulle scrivanie dei presidenti delle Camere mentre Giorgio Napolitano sta ormai per lasciare Roma per Lubiana, dove da ieri sera è in visita di Stato per due giorni. La nuova legge elettorale, avverte il capo dello Stato, «è ormai opportuna e non più rinviabile». Non è certo il primo appello a cambiare subito il Porcellum, ma stavolta c´è qualcosa di più. Perché Napolitano sollecita, di fronte alla melina e al gioco di veti che rischiano di insabbiare la riforma, di procedere rimettendo «alla volontà maggioritaria delle Camere la decisione sui punti che non risultassero oggetto di più larga intesa preventiva». Se non ci sono larghe intese, si proceda con chi ci sta. Insomma, scrive il presidente della Repubblica a Schifani e Fini perché i segretari politici intendano, è tempo di andare verso un «confronto conclusivo», che è bene «non resti ulteriormente chiuso nell´ambito delle consultazioni riservate dei partiti». I presidenti delle Camere, si augura Napolitano, possono autorevolmente sollecitare la presentazione in Parlamento di «una o più proposte» di legge per cambiare quella attuale.
Tradotto, è la richiesta del capo dello Stato alle forze politiche di giocare a carte scoperte sull´unico tavolo che conta: quello del Parlamento. E così facendo Giorgio Napolitano punta a stanare chi magari tesse di giorno e disfa di notte, con la segreta speranza di arrivare al voto tenendosi la legge porcata firmata da Calderoli. Il presidente del Senato e quello della Camera promettono che convocheranno ad horas i capigruppo per portare in aula il confronto. Fini si toglie un sassolino dalle scarpe: «È dal 2010 che il Senato si è impegnato a discutere la riforma, per un doveroso rispetto la Camera non ha avviato una discussione parallela».
Tutti i partiti si dicono d´accordo con Napolitano. Bersani è disponibile a discutere «da domani mattina», e altrettanto Alfano che si dichiara apertissimo a «valutare diverse ipotesi nel confronto in Senato». Anche se il Pdl con Gasparri e Quagliarello chiede che si leghi la riforma elettorale alle riforme istituzionali e al semipresidenzialismo. Che però – e lo stesso presidente della Repubblica aveva chiuso la porta a riforme «radicali « per cui non c´è il tempo né il clima giusto – è giusto il grimaldello che rischia di far saltare tutto.
Un appello, quello di Napolitano, che si intreccia con le grandi manovre attorno a Mario Monti, apparso sensibile all´ipotesi di continuare il lavoro da premier anche nella prossima tornata con una larga coalizione, tanto che in una cena riservata con i suoi avrebbe risposto con un «ci penserò ma questo non è il momento» all´invito ad una ricandidatura. Ma l´esercizio sul Monti-bis per Casini «non ci deve distrarre», e per Cicchitto «niente laboratori per escludere il Pdl». Ma c´è tutta un´ala dello schieramento decisamente contraria a che il professore resti in sella. Vendola parla di «impudicizia ambrosiana» del premier che lega spread e incertezza economica, e che «non può rappresentare una liquidazione coatta della nostra democrazia». E per l´Italia dei valori «al peggio ci deve essere un limite, quindi no secco alla riconferma di Monti, una evenienza «da scongiurare a priori visto il fallimento del governo attuale» secondo il capogruppo Belisario.
Ma è il nodo riforma elettorale a tenere, concretamente, banco. Il presidente della Repubblica ricorda che consultò in gennaio tutte le forze politiche ricevendone «indicazioni largamente convergenti anche se non del tutto coincidenti a favore di una nuova legge». Stanno però «purtroppo trascorrendo le settimane senza che si concretizzi la presentazione alle Camere del progetto», e questo proprio da parte dei partiti che «hanno da tempo annunciato di voler raggiungere in proposito un´intesa tra loro». Il tempo ormai è scaduto.

La repubblica 10.07.12

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“In aula si vedrà finalmente chi fa sul serio e chi ostacola Le preferenze? Pericolose”, di Giovanna Casadio

Proponemmo di far marciare le riforme al Senato e la legge elettorale alla Camera ma Schifani disse no. I capisaldi: vincolo di coalizione con premio di maggioranza, sbarramento alto, via le liste bloccate. Il punto d´incontro per cambiare la legge elettorale potrebbe essere il ritorno alle preferenze. Anche se alcuni nel suo partito hanno aperto, il Pd si oppone onorevole Franceschini?
«Le preferenze sono belle da dire e drammatiche da applicare. Non viviamo nel mondo delle favole, l´ultima volta che si votò alle politiche con le preferenze fu nel 1992: i miliardi spesi in quelle campagne elettorali sono finiti in buona parte nell´inchiesta di Tangentopoli. Le preferenze comportano costi elevatissimi, con tutti i rischi che ne seguono. Non a caso in nessun grande paese d´Europa si vota con le preferenze, né in Spagna, né in Francia, né in Germania, né in Inghilterra. La via maestra sono i collegi uninominali che consentono agli elettori di scegliere la persona da cui far rappresentare il proprio territorio».
Ma fate sul serio? Finora è sembrata solo melina tra i partiti. Tant´è che è arrivato il nuovo appello di Napolitano: ci vuole il capo dello Stato per scuotervi?
«Le parole del presidente della Repubblica sono utili per portare tutta la questione nelle sedi istituzionali in modo trasparente, alla luce del sole così che si capisca con chiarezza chi vuole fare la legge elettorale e chi non vuole farla».
E voi del Pd volete davvero cambiare il Porcellum?
«Assolutamente sì. Noi abbiamo contrastato la “legge porcata”, quando fu approvata con un colpo di mano della maggioranza alla fine della legislatura, nel 2005. Non abbiamo mai avuto i numeri, né li abbiamo ora, per cambiarla. Ma è dall´inizio di questa legislatura che mettiamo in cima alle nostre priorità l´esigenza di restituire ai cittadini-elettori il diritto di scegliersi gli eletti, che gli è stato tolto con le liste bloccate del Porcellum».
Però siete finiti nel pantano. Insieme a Pdl e Udc avete fatto e disfatto. Prima il modello ispano-tedesco, poi il ritorno all´idea del Pd sul doppio turno; infine la trovata del “Provincellum”. Risultato?
«Quando è nato il governo Monti, in base a una “divisione dei compiti”, fu detto che al governo era affidata la missione economia-crisi e il Parlamento si sarebbe impegnato a fare alcune riforme istituzionali, a cominciare dalla riduzione dei parlamentari e dalla legge elettorale. Proponemmo che i due percorsi andassero avanti parallelamente, facendo marciare le riforme costituzionali al Senato e trasferendo l´iter della legge elettorale alla Camera. Ma Schifani ha sempre risposto “no”. È ancora tutto là. E Gasparri ripete che prima si devono completare le riforme costituzionali, e poi…
Il tempo passa. Di chi è la colpa del nulla di fatto?
«In fondo, nel crepuscolo, a Berlusconi e alla Lega va bene conservare le liste bloccate, penso faccia molto comodo per tutelare chi va tutelato».
Quali sono i presupposti irrinunciabili per voi?
«Ci sono tre punti, su cui mi pareva si fossero fatti passi avanti nella trattativa: soglia di sbarramento più alto, per ridurre la frammentazione dei troppi partiti; vincolo di coalizione con premio di maggioranza; superare le liste bloccate, perché siano gli elettori a scegliere. Questi sono i capisaldi di una possibile mediazione. Noi siamo però per il doppio turno. Se c´è ancora melina, noi ci presenteremo in aula con la nostra proposta».
Il modello elettorale condiziona la politica del post-voto, nel senso che ci sono leggi che favoriscono l´ipotesi di una grnde coalizione e altre no?
«Le leggi elettorali oggettivamente condizionano molto il sistema politico. Ma il progetto del Pd, indipendentemente da quale modello passa, resta la stesso: un´alleanza tra progressisti e moderati per battere le destre, il qualunquismo e per riuscire poi a governare il paese del dopo Monti».
Da uno a dieci, lei quanto scommette su una nuova legge elettorale?
«Cento, per la nostra volontà. Non posso fare previsioni, perché servono i numeri e perché tra le parole e i fatti del Pdl c´è al momento una distanza enorme».

La Repubblica 10.07.12