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"Terremoto, la fabbrica dei reni artificiali riparte sotto i tendoni", di Martina Castigliani

Un distretto biomedicale tra i più avanzati d’Europa e nel mondo. Per questo motivo era ricordata la zona industriale di Mirandola fino a qualche mese fa, poi il terremoto ha reso inagibili fabbriche e capannoni, costringendo un intero territorio a ricominciare da capo. Tra le aziende colpite anche la Bellco, una delle prime fornitrici di impianti di dialisi per i reparti di nefrologia in giro per il territorio nazionale e internazionale e tra le prime a ripartire. Ad un mese e mezzo dal sisma crolli e disagi sembrano già il passato: non hanno fermato l’attività delle aziende del distretto che costrette dalla necessità hanno allestito tendoni e tensostrutture sotto le quali continuano i lavori e la ricerca.

La Bellco è tra quelle industrie di Mirandola che, nonostante le due scosse del maggio scorso, non ha potuto fermare la distribuzione di materiale sanitario e ha dovuto cercare di rimettersi in moto il prima possibile per non perdere clienti. “Il nostro obiettivo”, spiega il presidente Antonio Leone, “era quello di non mancare l’appuntamento con i nostri pazienti. Siamo fornitori di materiale sanitario per pazienti critici che necessitano di terapie di dialisi e ci tengo a dire che, nonostante i disagi, non abbiamo mai interrotto la distribuzione”. Il magazzino di distribuzione è una delle zone della Bellco ad aver subito i maggiori danni e il primo ad essere stato spostato sotto una tensostruttura, prima del trasferimento nel nuovo magazzino alle porte di Bologna. “Abbiamo al lavoro già 260 operai su 360 ed entro il primo agosto, contiamo di far ripartire la produzione”, dice ancora il presidente della Bellco.

Sotto il sole cocente di luglio, a fare il lavoro più faticoso sono gli operai che pezzo per pezzo devono controllare che il materiale che si trovava all’interno del magazzino non sia stato danneggiato dai crolli. “Abbiamo lavoratori altamente qualificati”, spiega il direttore marketing Fabio Grandi, “ed è anche uno dei motivi per cui non possiamo permetterci di delocalizzare la nostra fabbrica in un’altra zona. Qui abbiamo forza lavoro di qualità, e siamo inseriti in un distretto di grande valore, una vera catena che lega terzisti e produttori”. Se Mirandola non può ripartire altrove, ripartirà proprio da Mirandola, là dove la situazione sembrava più difficile.

I lavoratori molto spesso vivono in paese e in strutture di fortuna dopo i crolli dello scorso maggio. Passano da una tenda all’altra, per vivere e per lavorare, ma tutti hanno risposto alla chiamata dei dirigenti. “La mia casa è distrutta e vivo in una casa mobile, una specie di camper. – ci dice Angela, una delle operaie già a lavoro della Bellco – Abbiamo ricominciato a lavorare a metà giugno con il controllo di qualità. Ce la faremo, non perderemo la speranza ”. La forza di volontà di operai e dirigenti e un grande investimento in termini di denaro, hanno permesso al centro biomedicale di continuare con la tabella di marcia, e soprattutto di consentire la consegna di tre progetti di macchine innovative che dovrebbero essere messe sul mercato a partire da ottobre. “Si tratta – spiega Roberto Cena, ingegnere biomedico originario di Torino – di tre macchine rivoluzionarie, una per curare la dialisi cronica, una per la dialisi acuta e una per la dialisi neonatale. Lavoravamo da mesi al lancio di questo prodotto e malgrado il terremoto abbia creato disagi in termini di reperimento del materiale, siamo riusciti a restare nei tempi”.

Il problema più grosso è stato rifornirsi di molti pezzi che compongono le apparecchiature, prodotti anch’essi nell’area di Mirandola in capannoni che spesso hanno subito danni e si sono fermati dopo il sisma di maggio. Tutto questo non ha impedito alla Bellco di presentare le tre macchine un mese fa in un congresso internazionale a Parigi. “In due giorni abbiamo costruito i tendoni”, racconta Fabio Grandi, “e in tre eravamo di nuovo al lavoro. Non possiamo permetterci di abbandonare i nostri progetti e tornare al lavoro ci aiuta a riprendere una quotidianità che credevamo perduta”.

Una forza di volontà che unisce operai, dirigenti e cittadini e che rappresenta l’unica speranza per il distretto biomedico di Mirandola. Una scommessa aperta che lotta contro crepe e crolli. Ma la domanda è sempre la stessa e riguarda i capannoni che non hanno retto alle due scosse dello scorso maggio. “Stiamo procedendo alla messa in sicurezza di tutta l’area”, ha affermato Bruno Zuccoli, responsabile plan maintenance dell’azienda, “certo non potevamo immaginare che succedesse una cosa del genere. C’è da dire che fino al 20 maggio questa non era considerata zona sismica. I capannoni sono stati costruiti sempre secondo le norme, il problema è che fino a quel giorno non si trattava di norme adeguate per tutelare una zona sismica”.

Il Fatto Quotidiano 15.07.12