attualità, memoria

"Giusva e Vincenzina", di Mario Adinolfi

Oggi non è il 2 agosto. Meglio. Il 2 agosto saremo intasati di ricostruzioni, ritratti, momenti rituali. Chissà se ci saranno le solite paginate innocentiste e santificanti per Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, condannati con sentenza passata in giudicato come esecutori materiali della strage di Bologna Di sicuro ci saranno strizzatine d’occhio dei giornalisti amici a Giusva. Di sicuro non ci sarà neanche una riga per Vincenzina.
Rimediamo oggi. Oggi che non è il 2 agosto. Negli scorsi giorni si è discusso (poco, pochissimo, quasi per niente) delle dichiarazioni di Fioravanti rese in un documentario, rivolte contro il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime di Bologna, Paolo Bolognesi, che secondo il capo dei Nar avrebbe perso nella strage «solo la suocera e si sa che la suocera non è una vera perdita». Una frase che sarebbe ignobile anche se detta da chiunque di noi al bar, figuriamoci se a dirla è in tutta libertà (perché Giusva, ricordiamolo, è libero) l’esecutore materiale della strage. Fioravanti è poi stato intervistato in diretta alla Zanzara su Radio24 da David Parenzo e Giuseppe Cruciani, che per questa intervista si sono beccati anche una denuncia all’Ordine dei giornalisti.
Mai denuncia fu più sbagliata perché i dieci minuti dello stragista alla Zanzara sono un documento decisivo. Grazie alla confidenza improvvida dei conduttori e al loro essere impreparati sull’argomento Bologna, Fioravanti inanella incontrastato una serie di frasi incredibili in cui non solo conferma il concetto della differenza di “peso” emotivo delle diverse vittime della strage («perdere una suocera non è come perdere un figlio»), ma aggiunge capolavori di cinismo assoluto come quando precisa che la suocera di Paolo Bolognesi «non è affatto morta nella strage, è una delle persone rimaste ferite, morta molto tempo dopo». E ancora: «Il predecessore di Bolognesi, Torquato Secci, ha perso un figlio. Chi ha vissuto lo sfracellamento di un figlio è autorizzato a dire delle cose senza ragionare, chi semplicemente qualche anno dopo la strage ha perso la suocera per i postumi delle ferite e per lo stress, non parla in nome di un dolore incontrollabile, ma è mosso dall’ideologia».
Tenetele bene a mente queste frasi di Giusva Fioravanti, terrorista, condannato come esecutore materiale della strage di Bologna all’ergastolo. Non l’unico della sua carriera criminale. Tenetele a mente perché nessuno le ha riportate e durante l’intervista alla Zanzara nessuno le ha contestate. Il giorno dopo le edizioni cartacee di Repubblica e del Giornale non avevano neanche una riga sulla questione, il Corsera e Libero dedicavano un trafiletto neutro evitando di citare gli insulti di Fioravanti alla suocera di Paolo Bolognesi. Che si chiamava Vincenzina. Vincenzina Sala.
Aveva 50 anni. Vincenzina è la nonna di Marco, 6 anni, il figlio di Paolo Bolognesi. Nonna e nipotino il 2 agosto 1980 vanno alla stazione di Bologna ad accogliere Paolo e la moglie Daniela di ritorno da un viaggio in Svizzera. Quando scoppia la bomba entrambi vengono travolti dall’onda d’urto dell’esplosione. Marco è devastato, ricoverato in condizioni gravissime all’ospedale, riceve poche ore dopo la visita del presidente Pertini che ne esce sconvolto, in lacrime e davanti alle telecamere regala la sua umanità a un paese intero: «Ho appena visto due bambini che stanno morendo».
Uno dei due bambini è Marco, il padre Paolo lo riconoscerà solo per una voglia che ha sulla pancia. Sopravviverà, alla fine, grazie alla tenacia dei medici, portando per tutta la vita impressi addosso i segni evidenti della strage. Vincenzina viene cercata dai familiari per tutto il giorno, con la disperazione che cresce ora dopo ora. Non si trova negli ospedali, alle due del mattino in una sala marmorea dell’obitorio il marito ne riconoscerà il corpo privo di testa grazie alla doppia fede nuziale che porta al dito. La testa non sarà mai recuperata. Il nome di Vincenzina Sala è uno degli ottantacinque nomi delle vittime della strage di Bologna impressi sì su una lapide di marmo, ma per niente nella nostra mente. Ho atteso una settimana sperando che qualcuno replicasse all’insulto alla memoria rivoltole dal terrorista libero Giusva Fioravanti. Non c’è stata neanche una riga, su nessun giornale. Nessuno che avesse trovato osceno che lo stragista dicesse «è morta per i postumi molto tempo dopo», nessuno che abbia avuto la curiosità di controllare se fossero vere o meno le sue affermazioni.
Ma questo è un paese così, dove il terrorista è divo e libero, la vittima è nell’oblio e esposta pure al ludibrio. E il giornalismo italiano? Riposi in pace, tanto c’è sempre una terrazza dove prendere l’aperitivo con Giusva e Francesca, che gli assassini si portano bene in società, come una borsa molto costosa.
Vincenzina Sala, 50 anni: madre, moglie e nonna. Morta decapitata alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980. Insultata dal terrorista condannato come esecutore materiale della strage, amico dei giornalisti che contano e da loro protetto, messo in libertà dopo appena 16 anni di carcere vero e pieno, senza che ci abbia raccontato la verità. Tutte cose che solo in questo incredibile paese senza memoria e senza rispetto possono accadere.

da Europa Quotidiano 31.07.12