attualità, politica italiana

“Una nuova partita”, di Claudio Sardo

Il Governo Letta va avanti. L’obiettivo di completare il 2014, con il semestre di presidenza Ue, è stato confermato dal voto di fiducia di Camera e Senato. Eppure quella che comincia oggi è una partita nuova. Il plebiscito, tributato a Renzi nelle prima- rie Pd, ha segnato una rottura dei pre- cedenti equilibri. In fondo, il passaggio di Forza Italia all’opposizione era già stato metabolizzato. Né si può definire una sorpresa la competizione tra Grillo e Berlusconi per sponsorizzare le proteste dei forconi. La vera novità politica con la quale il governo deve misurarsi si chiama Pd, proprio il partito del presidente del Consiglio, il partito sul quale poggiano quasi per intero la tenuta e l’attività della legislatura.

Per certi aspetti è un paradosso che Renzi si trovi in questa situazione. La sua ambizione, in tutta evidenza, è candidarsi al più presto alla guida del governo: se non ci fosse stata la sentenza della Consulta, se non avessimo di nuovo una legge proporzionale, il voto anticipato sarebbe stato la conseguenza inesorabile delle primarie. Peraltro, al sindaco di Firenze è sempre stato rimproverato uno scarso interesse per il partito e per la sua rifondazione organizzativa e culturale: e lui ha risposto accettando la sfida. Ma il paradosso sta proprio nel fatto che né il governo, né il partito sono oggi la sua priorità. La priorità di Renzi è la costruzione del nuovo sistema politico, nel quale inserire il suo Pd e la sua leadership. Una questione enormemente complicata. Tuttavia, anche un’opportunità. Siamo ad un passaggio storico della Repubblica. Di fronte ad una crisi di regime si può, si deve plasmare un nuovo schema democratico, ma ovviamente si può anche restare schiacciati sotto le macerie del ventennio morente.

La partita nuova richiede molta forza. E il neosegretario vuole dimostrare di possederla: in questo senso lo scontro aperto sul trasferimento della legge elettorale dal Senato alla Camera non vale molto sul piano dei con- tenuti, ma indica simbolicamente che Renzi ha avocato a sé la trattativa di «sistema». Per vincere la partita però occorre anche capacità, visione e discernimento. Stiamo parlando della democrazia di tutti, del sistemaItalia, non solo di una contesa tra leader. Renzi intende giocare in prima persona, senza deleghe al governo: e questa è una giusta assunzione di responsabilità. L’obiettivo però non può essere solo quello di aprirsi la strada per Palazzo Chigi, ma di far compiere un salto al Paese, di restituire ai cittadini il potere loro sottratto e all’Italia quella capacità di decisione democratica che è condizione per uscire dal declino.

L’impressione è che i margini di manovra del neosegretario del Pd siano stretti. Berlusconi e Grillo hanno avanzato a Renzi offerte tra loro molto simili: siamo pronti a un accordo su una riforma elettorale maggioritaria, ma solo a condizione che cada il governo Letta e che si voti a primavera. La disponibilità di Grillo riguarda il Mattarellum, quella di Berlusconi forse è più ampia. Ma vi fidereste di chi, contemporaneamente, minaccia di inasprire il carattere anti-sistema della propria opposizione, di chi grida al Parlamento delegittimato, di chi annuncia addirittura l’impeachment contro il Capo del- lo Stato? E, soprattutto, che garanzie di governabilità darebbe una nuova legge elettorale senza alcuna modifica del bicameralismo e senza riforme in grado di incide- re sulla forma di governo? Non si tratta di rinverdire la pregiudiziale anti-berlusconiana: il problema è che l’uomo che nel ventennio ha fatto saltare tutti i compromessi possibili, oggi non mostra più neppure il minimo interesse a costruire un sistema che funzioni. Come Grillo, punta all’ingovernabilità. Sperando così di condizionare l’assetto di potere futuro. Renzi, insomma, si trova un Cavaliere ancora meno affidabile di quello che si sono trovati di fronte Prodi, D’Alema e Veltroni.

Per queste ragioni il leader del Pd non può che parti- re, come gli ha chiesto Letta, dalla maggioranza che oggi sostiene il governo e da Sel (che sta lanciando segnali di dialogo al nuovo segretario). Ma il terreno di una possibile convergenza con Alfano, Casini e Vendola sembra essere quello del doppio turno di coalizione (proporziona- le con voto di lista al primo turno, ballottaggio tra le prime due liste, o coalizioni, se nessuno raggiunge il 40%). Può essere spacciata come la legge del «sindaco d’Italia», anche se il suo antenato più famoso è in realtà il «patto della crostata» (l’intesa raggiunta in casa di Gianni Letta alla fine dei lavori della Bicamerale verteva esattamente sul doppio turno di coalizione). Il problema è che il sindaco d’Italia ripropone quel mito presidenziali- sta, che è inconciliabile con il nostro impianto costituzionale. Inoltre, sia pure su due turni, conferma lo schema e molti difetti del Porcellum. La seconda Repubblica è fallita per questo: perché ha usato il maggioritario di coalizione per violare il sistema parlamentare, ma ha prodotto trasformismo e leader impotenti invece di vera governabilità. L’aspetto più positivo di questo avvio di trattati- va sta invece nella disponibilità della maggioranza e di Sel a lavorare per una modifica del bicameralismo, in modo da affidare alla sola Camera il rapporto di fiducia con il governo. Alcuni correttivi alla forma di governo possono dare molto di più di una legge elettorale. Ma siamo sicuri che si possa arrivare a una riforma costituzionale con l’opposizione frontale di Forza Italia e M5S? Renzi fa capire che, se le riforme rallenteranno, la legislatura finirà. Ma di quale deterrenza dispone nel nuovo scenario proporzionale? Probabilmente oggi è portato a dividere il mondo tra i nemici che vogliono imbrigliarlo e gli amici che vogliono liberarlo dagli attuali legacci: la speranza è che la forza di cui ora dispone aiuti il Paese ad uscire dalla palude e che non si ricada nell’illusione di correggere una stortura con un’ulteriore stortura.

L’Unità 12.12.13