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“Manconi: in quei centri le persone diventano cose”, di Alessandra Ziniti

«Noi stiamo assistendo a un processo di “reificazione”, come avrebbe detto Carlo Marx. Quello che ha scandalizzato tutti è il filmato trasmesso dal Tg2, ma quello che ho visto nei Cie o in alcuni campi di raccolta di pomodori in Puglia o in Campania è la riduzione dei corpi a cose, di esseri umani a mezzi uomini. Un processo terribile che si sta verificando in quei luoghi come nelle carceri». Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, ha presentato un’interrogazione al ministro Alfano per sapere se fosse informato delle pratiche di disinfestazione al centro di accoglienza di Lampedusa.
Senatore Manconi, cosa chiede al ministro?
«Sarebbe il caso di valutare se, dal momento che questo tipo di infezione viene normalmente curata con appositi medicinali e con l’adozione di adeguate misure igieniche, le attuali modalità di “disinfestazione” possano essere sostituite con pratiche mediche consolidate e rispettose della privacy e della dignità delle persone».
Lei ha visitato quasi tutti i centri italiani.
Sono così terribili come si dice?
«Ci sono una pluralità di centri che si presentano con nomi differenti che mutano nel tempo. Quello di cui parliamo non è il Cie, il luogo dove vengono trattenuti per l’identificazione, ma dovrebbe essere un centro di accoglienza, destinato ad offrire un’assistenza di primo livello in attesa
di una diversa destinazione sul territorio. Quelli che sbarcano a Lampedusa sono, in maggioranza, richiedenti asilo, e sono persone che quell’asilo o una qualche forma di protezione, in percentuale elevata, lo ottengono in base alla Costituzione italiana e alle convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro Paese. Sono quindi persone che dovrebbero godere di ampia tutela e di assistenza adeguata perché la nostra legge riconosce loro protezione in quanto fuggitivi da guerre, conflitti tribali, persecuzioni politiche, religiose o sessuali. Non sono emigranti economici, sono profughi che vengono in prevalenza da Eritrea e Somalia, zone sconvolte dalla guerra e che rimandano alla storia meno nobile del nostro Paese».
Perché l’Italia non è in grado di garantire loro un’assistenza dignitosa?
«Questi centri vengono gestiti da enti che si aggiudicano bandi al ribasso, dove la spesa pro-capite pro-die arriva anche a 21 euro a persona. E questo, credo, spiega tutto».

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“Più ne arrivano, più guadagnano quel business da 2 milioni al giorno consumato sulla pelle dei migranti”, di ALESSANDRA ZINITI

Più ne stipano in una camerata meglio è, più a lungo restano meglio è, e se sono minorenni ancora meglio, lo Stato paga di più. Ad ogni barcone che arriva, i “professionisti dell’accoglienza” mettono mano alla calcolatrice e le cifre hanno sempre molti zeri. Più di 1.800.000 euro al giorno: tanto, nel 2013, ha speso l’Italia per garantire l’accoglienza ai 40.244 migranti sbarcati sulle nostre coste. Un letto, i pasti, il vestiario, i farmaci necessari e un minimo di pocket money: 45 euro al giorno è la spesa media per ogni immigrato che mette piede in uno dei 27 tra centri di accoglienza, centri di identificazione ed espulsione e centri per richiedenti asilo. Una cifra che aumenta fino a 70 euro se si tratta di minori (8.000 quelli arrivati quest’anno) in considerazione della particolare assistenza che dovrebbe essere loro garantita.
È una torta luculliana quella che in Italia si spartiscono ormai da dieci anni veri e propri “colossi” del business dell’accoglienza: dalla Legacoop alle imprese di Comunione e Liberazione, dalle aziende vicine alla Lega alle multinazionali. Le gare bandite dal Viminale, in genere, vengono aggiudicate con un ribasso medio del 30 per cento sulla base d’asta. Peccato che, in ogni centro, si tengano stipati per mesi almeno il doppio o il triplo degli ospiti. A danno delle condizioni di vivibilità di questi centri, da molti definiti lager, ma a tutto vantaggio
delle tasche dei gestori. «La ragione per cui questo avviene è che in Italia molti servizi per l’immigrazione vengono affidati sulla base di un solo principio: quello del-l’offerta economica più vantaggiosa. C’è un business dell’immigrazione inaccettabile, parliamo di commesse da milioni di euro su cui molti si stanno arricchendo, dove i diritti delle persone scompaiono », denuncia Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati.
Gli aspiranti allo status di rifugiato costituiscono la fetta più ghiotta della torta. Ecco perché quella che è diventata una vera e propria città di richiedenti asilo, il Cara di Mineo, ospitato nel “Villaggio degli aranci” prima abitato dagli ufficiali americani di stanza a Sigonella, è diventato il motore dell’economia di questa parte della provincia di Catania. Quattromila persone di 50 etnie diverse, il doppio della capienza, fruttano al “Consorzio Calatino Terre di accoglienza” la cifra di 50 milioni di euro all’anno. Dentro ci sono tutti, da Sisifo (Legacoop) che gestisce il centro di Lampedusa, alla Senis hospes e alla Cascina Global Service (vicina a Cl), la Croce Rossa, il Consorzio Casa Solidale (vicino all’ex Pdl). E non hanno voluto rimanere fuori dall’affare i Pizzarotti di Parma, i proprietari del complesso edilizio requisito nel 2011 ai tempi dell’emergenza Nordafrica dietro pagamento di un canone di 6 milioni di euro annui. Ora che l’emergenza Nordafrica è finita, sono entrati anche
loro nel Consorzio gestore. Quello che Berlusconi nel 2011 presentò come un modello di accoglienza europea, adesso — stando alle denunce delle associazioni umanitarie — si è trasformato in una sorta di lager dove, solo qualche giorno fa, si è suicidato un giovane siriano in attesa del permesso di soggiorno da mesi.
Trattenere gli ospiti molto più a lungo del previsto è uno dei “trucchi” utilizzati dai gestori di molti Cara. A Sant’Angelo di Brolo, la procura ha accertato che alcuni ospiti rimasero anche 300 giorni dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno, portando illegittimamente 468.000 euro nelle casse del consorzio Sisifo, lo stesso che si è aggiudicato l’appalto di Elmas Cagliari, del Cara di Foggia e del centro di Lampedusa da dove si
calcola siano passati più di 100 mila migranti. Due milioni e mezzo di euro è la cifra dell’appalto per la capienza ufficiale di 250 posti. Per gli ospiti in più, il Viminale paga l’extra. E questo vale per tutti: così l’Auxilium di Potenza degli imprenditori Pietro e Angelo Chiorazzo per il centro di Bari Palese, per Ponte Galeria a Roma o per Pian del Lago a Caltanissetta incassano molto di più dei 40 milioni di euro previsti dai bandi di gara.
Da tempo hanno fiutato l’affare anche i francesi della Gepsa, specialisti delle carceri, e la multinazionale Cofely Italia, che non disdegnano l’associazione con l’Acuarinto di Agrigento o la Synergasia di Roma per gestire il Cara di Castelnuovo di Porto a Roma o al Cie di Gradisca d’Isonzo. E a reclamare la sua fetta di torta c’è anche la Misericordia del pretemanager di Isola Capo Rizzuto che da dieci anni, per 28 milioni di euro all’anno, gestisce un Cara in cui la maggior parte degli ospiti dormono anche in dieci in vecchi container.

La Repubblica 19.12.13