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"La paralisi strategica di Berlusconi", di Giovanni Orsina

Negli ultimi sondaggi Forza Italia sta andando male. Molto male: se le previsioni dovessero rivelarsi corrette la principale forza del centro destra andrebbe incontro a un vero e proprio tracollo. Non è affatto improbabile che le difficoltà del partito vadano collegate all’esclusione del suo leader – come lo stesso Berlusconi pare ritenere. È ben possibile, tuttavia, che ci sia pure qualcosa di più. Ossia che Forza Italia rischi di pagare anche gli errori politici, numerosi e gravi, che il suo leader ha commesso negli ultimi otto mesi, inseguendo invano un’inesistente soluzione politica ai propri problemi giudiziari.

Il primo di agosto, com’è ben noto, la Cassazione ha deciso. È cominciato allora nel Pdl un dibattito aspro e caotico sugli effetti che la sentenza avrebbe dovuto avere sul governo Letta: i falchi da un lato, le colombe dall’altro, e Berlusconi – stando alle cronache – falco o colomba a seconda dell’umore e dell’interlocutore.

L a vicenda è passata poi per il voto di fiducia del 2 ottobre, col cambio di linea deciso in extremis; la scissione di Nuovo Centro Destra; la rinascita di Forza Italia. E si è conclusa alla fine di novembre con la decadenza di Berlusconi dal Senato e il passaggio all’opposizione.

Una decisione resa inevitabile da considerazioni di dignità politica, visto che Berlusconi riteneva la sentenza un provvedimento iniquo, un colpo inferto alla democrazia? Ammettiamo pure che sia stata inevitabile. Non per questo è stata meno improvvida per Forza Italia, però. Nel momento in cui è uscito dalla maggioranza, infatti, Berlusconi già sapeva che il governo, grazie a Ncd, non sarebbe caduto. Certificava quindi la propria irrilevanza politica e si condannava a una posizione marginale. In più andava a colpire un gabinetto guidato sì da un democratico, ma non organico al Pd, nella cui nascita lui stesso aveva svolto un ruolo cruciale.

A quel punto, per uscire dall’angolo in cui si era cacciato, Berlusconi si è dovuto affidare al neo-segretario dei democratici. Renzi è stato molto criticato a sinistra quando, con l’incontro del Nazareno, a metà gennaio, ha restituito centralità politica a Berlusconi. Il che mostra una volta di più quanto miope sia certa sinistra italiana. Non vi è dubbio che Renzi stesse, e stia, puntando al superamento dell’antiberlusconismo. Diversamente da quel che tentò di fare Veltroni nel 2008, però, Renzi sta compiendo quest’operazione da una posizione di forza: non facendo finta che Berlusconi non ci sia, ma sostituendosi a lui nel centro dello spazio pubblico. Questo era il significato «storico» dell’incontro del Nazareno: per la prima volta Berlusconi era sul palcoscenico non per forza propria, ma perché qualcun altro ce lo aveva messo. Non attore protagonista, ma «spalla». E del segretario democratico, per giunta.

Nel dialogo fra Renzi e Berlusconi, dunque, a guadagnarci è il primo. Il secondo può compiacersi del fatto che quello intenda superare l’antiberlusconismo e stia perseguendo obiettivi «berlusconiani». Ma è un compiacimento, per così dire, filosofico. In termini politici Renzi per Berlusconi rappresenta senza alcun dubbio l’avversario più pericoloso. Tanto più da quando Renzi è salito alla presidenza del consiglio e la partita della riforma costituzionale si è sovrapposta a quella del governo.

Guidato dal leader del Partito democratico, il nuovo gabinetto ha un carattere ben più fortemente politico del precedente. E tuttavia Berlusconi, dichiarando di voler tenere fede al patto sulle riforme, gli si è messo a rimorchio, in posizione subordinata, su uno dei dossier più importanti e delicati. In più, la partita della riscrittura della costituzione in sostanza non la sta giocando: Forza Italia ha lasciato l’iniziativa al governo e non avanza condizioni, limitandosi a oscillare disordinatamente fra la ripetizione meccanica della promessa di rispettare gli accordi e la tentazione di far saltare il tavolo. Così che, se le riforme si faranno, sarà merito di Renzi. E se invece il meccanismo si incepperà, sarà colpa di Berlusconi. Due eventi accaduti ieri, il «fuori onda» di Giovanni Toti sull’«abbraccio mortale» di Renzi e la dichiarazione dello stesso Berlusconi contro la riforma del Senato presentata dal governo, con successiva retromarcia, danno piena testimonianza di questa paralisi strategica e del desiderio di uscirne.

Può ben darsi che Berlusconi in origine abbia deciso di partecipare alla trattativa sulle riforme anche, se non soprattutto, con l’idea che questo potesse rafforzarlo nella partita giudiziaria. Inseguendo questa chimera, però, ha smesso da mesi di far politica. Da qui il nervosismo dei vertici di Forza Italia. E da qui la fuga degli elettori. Si dirà che gli italiani non osservano la politica con così tanta attenzione, che non sono così razionali, che per loro conta solo se Berlusconi è in campo oppure no. Con ogni probabilità, questa è una convinzione erronea. Seppure in maniera istintiva, magari, gli elettori vedono benissimo chi fa politica e chi no, chi la fa bene e chi la fa male. E nelle urne si comportano di conseguenza.

La Stampa 06.04.14