attualità, cultura

"Riscopriamo il tesoro nascosto dei beni culturali", di Giovanni Valentini

Oltre al valore in sé che è un suo carattere assolutamente pre-minente, la cultura possiede anche un valore che le viene dal-l’utilità. (da “La cultura si mangia!” di Bruno Arpaia e Pietro Greco – Guanda, 2013 – pag. 153).
ALL’ATTO della sua nomina a ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini aveva esordito con un’impegnativa dichiarazione programmatica, affermando che il suo è «il ministero economico più importante del Paese». Ora sarà proprio in forza della spending review che Franceschini metterà mano alla riorganizzazione della struttura ministeriale, tagliando 32 dirigenti di seconda fascia. E magari promuovendo nel contempo un auspicabile ricambio generazionale. Il neo-ministro si riserva di decidere se procederà a un accorpamento delle competenze per ambiti territoriali oppure per materie. Sta di fatto, comunque, che un intervento del genere è destinato a incidere sul ruolo e sulle funzioni delle Soprintendenze, in modo da renderle più snelle e forse anche più efficienti. È proprio quello che abbiamo più volte sollecitato, contestando disfunzioni e ritardi burocratici che spesso compromettono l’attività di questo apparato statale.
Nel frattempo, Franceschini ha attuato la normativa anticorruzione, in base alla legge 190 del 2012 contro l’illegalità nella pubblica amministrazione, confermando anche Antonia Pasqua Recchia nel ruolo di segretario generale. E ne prendiamo atto volentieri. Ma in questo Piano 2014-2016, ultimo aggiornamento 7 aprile, la rotazione triennale dei dirigenti — prevista come misura cautelare da una circolare del Segretariato generale del ministero e ritirata dall’ex ministro Massimo Bray — viene rinviata entro giugno prossimo ad atti successivi che la gradueranno in rapporto alla gravità e alla ricorrenza del rischio, per gli appalti, le autorizzazioni e in particolare per le mostre.
Si può accogliere, comunque, come un segnale importante che Franceschini consideri il “Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo”, secondo la denominazione ufficiale, un ministero “economico”. Anzi, testualmente, «il più importante». Questo è, infatti, il principale caveaudell’Italia; il maggiore deposito di risorse — naturali, storiche, artistiche e culturali — a nostra disposizione. E oltre a salvaguardarlo, è doveroso valorizzarlo anche a fini turistici, occupazionali e appunto economici.
È vero, ed è sbagliato, che l’Italia investe troppo poco in questo campo: nell’ultimo decennio, il bilancio del ministero s’è quasi dimezzato, passando dai 2,7 miliardi del 2001 (pari allo 0,37% del bilancio totale) al miliardo e mezzo del 2013 (appena lo 0,2). E si tratta di un settore che vale almeno 80 miliardi di euro all’anno e corrisponde a circa il 5,8% del Pil. Bisogna quindi spendere di più, anche perché un euro investito nella cultura ne può rendere statisticamente da due a sei.
Va in questa direzione l’incontro che s’è svolto tra il ministro Franceschini, il presidente dell’Anci Piero Fassino e i sindaci di alcune importanti città d’arte, per favorire la partnership pubblico-privato e la valorizzazione del patrimonio culturale. Lo Stato, con le sue risorse, non riuscirà mai a gestirlo interamente da solo. E occorre perciò fissare una scala di priorità, in modo da concentrare pragmaticamente i fondi disponibili sui beni di maggiore interesse e rilevanza.
Altrimenti, il rischio è quello di disperdere risorse scarse in mille rivoli, frenando o paralizzando di fatto lo sviluppo turistico ed economico. Dobbiamo tenere tutti alla Bellezza del nostro Paese, ma al di fuori di una visione puramente conservativa o contemplativa, quasi sacrale dei beni artistici e culturali. L’Italia non si può trasformare in un museo della memoria, un magazzino proibito di reperti storici.
Ben venga, allora, la partnership tra pubblico e privato, a patto che rispetti una gerarchia di valori fondamentali: a cominciare dall’identità nazionale che racchiude il nostro passato e il nostro futuro. Ma, nel pieno di una crisi come quella che attraversiamo, è tempo di uscire dalla retorica del protezionismo fine a se stesso per interpretare correttamente l’articolo 9 della Costituzione, dove si parla al primo comma di “promozione” della cultura e al secondo di “tutela” del paesaggio, del patrimonio storico e artistico della Nazione. È una grande operazione culturale che richiede, anche sul piano mediatico, un impegno e una mobilitazione collettivi.

La Repubblica 12.04.14