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"Denominazione d’origine Ue. Una battaglia vinta", di Patrizia Toia

Dal 2008 in Europa, nel settore industriale, sono 4 milioni i lavoratori che hanno perso il proprio impiego e la produzione ha subìto un crollo del 10%. Ora il processo di ripresa è ancora timido, ma uno spiraglio si è aperto. Puntare sulla qualità e, per alcuni, anche restare su un mercato di nicchia è una delle caratteristiche principali delle imprese europee che scelgono di non emigrare all’estero. Ma questa strada, purtroppo, è ancora in salita per molte piccole e medie imprese europee.Quello che davvero potrebbe aiutare e tutelare molti imprenditori di settori a volte anche «inaspettati» (non solo, infatti, la moda o l’alimentare, ma anche il settore dei materiali edili) è l’introduzione, in Europa, di un vero marchio d’origine obbligatorio.

Nell’ultima sessione plenaria di questa legislatura il Parlamento europeo ha infatti approvato il Regolamento per la Sicurezza dei Prodotti al Consumo, incluso l’attesissimo Articolo 7 che impone la denominazione di origine obbligatoria. La battaglia sul «made in» in Europa è stata lunga e ha subito più volte battute d’arresto, sia in Parlamento che in Consiglio, dove ancora oggi permane una forte opposizione di alcuni Stati, soprattutto del Nord, a fronte invece di un movimento molto ampio di cittadini e imprese che chiedono da tempo questa misura a tutela della sicurezza, della trasparenza e per inasprire la lotta alla contraffazione.

Con l’ok al Regolamento sulla sicurezza dei prodotti, alla fine di questa legislatura abbiamo ottenuto un risultato importantissimo: i consumatori europei saranno più protetti e le aziende italiane che producono beni di alta qualità, con materiali di ottima fattura, saranno finalmente tutelate e, soprattutto, l’Europa riesce a compiere un primo passo per allinearsi a Cina e Stati Uniti, due giganti commerciali che da tempo utilizzano il marchio d’origine obbligatorio per i prodotti importati.

Questa semplice etichetta costerà poco o nulla agli imprenditori (lo ribadiamo per sfatare alcuni falsi studi), ma garantirà dalla concorrenza sleale e dalla contraffazione, assicurando reciprocità e rispetto degli standard minimi per l’ingresso delle merci provenienti dai Paesi terzi nel mercato dell’UE. Secondo i dati diffusi dal Sole 24 Ore, l’entrata in vigore di questo provvedimento vale 110mila posti di lavoro in più e 13,7 miliardi di euro di produzione aggiuntiva.

Noi del gruppo Socialisti & Democratici possiamo essere molto soddisfatti: nonostante la forte opposizione di molti Paesi del Nord Europa, grazie alla battaglia condotta dalla relatrice S&D Schaldemose e alla compattezza che il gruppo ha dimostrato in tutte le votazioni (a differenza del PPE che ha visto gli italiani uniti, ma incapaci di portare la maggioranza del gruppo sulle loro posizioni), si conclude positivamente un lungo e difficile percorso iniziato nel 2005. Ora ci auguriamo che il Consiglio europeo, fin qui incapace di prendere posizione e a cui spetta ora di adottare il testo, confermi in tempi rapidi questa decisione. Siamo certi che il governo italiano, anche durante la nostra presidenza, saprà far valere il voto del Parlamento.

*vicepresidente commissione Industria, Ricerca ed Energia

L’Unità 22.04.14