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"Io sto con Emergency", di Marco Cattaneo*

Io sto con Emergency perché io, lì, c’ero. Ero in Cambogia, nel 1999, all’ospedale di Battambang. Era appena iniziato il rimpatrio definitivo dei profughi cambogiani dai campi thailandesi, e migliaia di persone tornavano ai loro villaggi nei pressi del confine. Ma quei villaggi erano disseminati di milioni di mine antiuomo, lasciate dall’ultima, disperata ritirata dei Khmer Rossi. Non c’era giorno che non arrivasse in ospedale una persona, per lo più bambini, con le gambe, le braccia, gli occhi dilaniati dall’esplosione. Monconi di carne con il puzzo e la consistenza di uno pneumatico bruciato.
Perché ero in Afghanistan, nel settembre 2000. All’ospedale di Anabah, nella valle del Panjshir, dove i mujaheddin di Ahmad Shah Massud resistevano all’avanzata dei talebani che stavano conquistando quel che mancava dell’Afghanistan. Lì c’era il primo ospedale di Emergency in Afghanistan. Ho visto gli uomini di Massud arrivare con un proiettile in una spalla, in una coscia. E ho visto anche i talebani colpiti e curati, per poi essere consegnati ai mujaheddin ed essere incarcerati nella prigione di Rokha. Ma ho visto anche madri partorire in un luogo pulito, ho visto ragazzi ripuliti, curati, rivestiti.
Perché ero lì, a dormire in una casa dove di notte si sentivano i colpi di mortaio tuonare in tutta la valle. E quando fai il giro dei posti di primo soccorso devi starci il meno possibile, perché vicino c’è il mercato, e i talebani possono bombardare da un momento all’altro. Perché se decidi di fare il medico in quei posti devi metterlo nel conto che ogni giorno di vita è un regalo.
Perché ho visto vecchi combattenti piangere di commozione quando regalavo loro una polaroid. Era la prima volta nella vita che avevano la loro immagine fissata in una fotografia.
Perché ho visto gli anziani del villaggio con le lacrime agli occhi quando per la prima volta, grazie alla piccola diga costruita sul fiume da Emergency, all’angolo del bazaar si è accesa una lampadina. Lì la corrente elettrica non c’era mai stata prima.

Io sto con Emergency perché nel 2001, quando iniziarono i bombardamenti sull’Afghanistan in seguito agli attentati alle Twin Towers, Emergency è stata l’unica NGO ad avere personale internazionale nella Valle del Panjshir e a Kabul, dove i talebani avevano autorizzato tra enormi difficoltà la costruzione del secondo ospedale.
Perché in quei giorni Gino, che era a Milano, ha attraversato il confine tra il Pakistan e l’Afghanistan a cavallo per arrivare in ospedale. E in jeep, sotto i bombardamenti, ha raggiunto Kabul. Una notte, prima di abbandonare la capitale, i talebani sono entrati in ospedale, hanno tenuto tutti sotto tiro per ore. Sequestrati, non so se mi spiego. E poi se ne sono andati, ritirandosi verso Kandahar.
In quei giorni, per avere notizie dall’Afghanistan, “Scientific American” ci chiese di scrivere un profilo di Gino Strada, che fu pubblicato nel gennaio 2002.
I talebani non lo sopportavano quel dottore che era riuscito a imporre che in ospedale si entrava senza armi e che le infermiere del personale non potevano indossare il burqa. Adesso non lo sopportano nemmeno gli altri, perché pretende di curare tutti, anche i feriti dell’altra parte del fronte.

Sto con Emergency perché il centro cardiochirurgico Salam, in Sudan, è la più straordinaria struttura ospedaliera d’eccellenza che si sia mai vista nel cuore dell’Africa. E perché quell’ospedale, da solo, è servito a ridurre le tensioni tra paesi costantemente sull’orlo della guerra. E ancora perché un medico visionario vuole costruirne altri otto di centri chirurgici d’eccellenza, in Africa.
Sì, dice, per una ragione semplice: “If we have to go to the Third World to bring Third World healthcare, better we stay home”. Se dobbiamo andare nel Terzo Mondo per portare una sanità da Terzo Mondo, meglio che ce ne stiamo a casa”.

Sì, io sto con Emergency.

* Direttore de Le Scienze e Mente e Cervello