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"Confindustria e università", di Francesco Sylos Labini

Negli ultimi tempi il quotidiano di Confindustria, il Sole24Ore, ha prestato notevole attenzione alla vicende legate alla riforma universitaria e al ddl Gelmini. Il vicepresidente per l’Education della Confiundustria, Gianfelice Rocca, in un recente articolo su La Stampa ci informa che non si sono per il momento viste sul tavolo riforme migliori e che “ipotizzarle adesso significa in pratica bloccare l’unica riforma concretamente realizzabile. Una riforma che presenta forti punti di contatto anche con quella presentata dal Pd l’anno scorso, a partire dai meccanismi di reclutamento e governance“. Reclutamento e governance sono infatti due punti cardine della riforma Gelmini. Per quanto riguarda il primo, abbiamo visto com’è andata. Nell’indigestione di tagli, si è alla fine capito che si è esagerato e dunque sono stati promessi 9000 posti di professore associato, soprattutto per tranquillizzare i ricercatori, o almeno per dividerli. Tentativo per il momento naufragato per mancanza del vil denaro. Ma anche tentativo maldestro, senza nessuna strategia, né nel breve ma neppure nel lungo periodo, ed improvvisato all’ultimo momento. Per quanto riguarda la governance, siamo sempre in attesa che qualcuno ci indichi un esempio sul pianeta Terra in cui le cose siano organizzate come previsto dal ddl Gelmini. A mio parere, aprire le porte dell’università a non meglio identificati “membri esterni” può portare solo guai e ad una situazione in cui alle solite beghe universitarie si sommeranno interferenze da parte del potere politico (ed anche di Confindustria). Il modello sono infatti le Asl o il CdA della RAI.

Ma i commenti che si leggono sul Sole24Ore sono sempre molto favorevoli al ddl Gelmini. Si sostiene ad esempio che l’approvazione del ddl sarebbe un primo passo per rendere competitivo il sistema universitario italiano. Non c’è dubbio che ci sia un ritardo italiano, testimoniato anche dalla bassa classifica dei primi atenei italiani (Bologna 179, La Sapienza 190, ecc. —). Ma il problema è: si risolvono questi guai con la riforma della governance ipotizzata dal ddl Gelmini? Al lettore attento dovrebbe sorgere infatti un dubbio: e all’università della Confindustria come vanno le cose ? Perché quello è il perfetto esempio della governance tanto propugnata dal Dr. Rocca.

Infatti, nella Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS) troviamo come presidente del consiglio di amministrazione Emma Marcegaglia, il direttore è Gianluigi Celli, e nel consiglio di amministrazione ci sono tra gli altri Francesco Gaetano Caltagirone, Luigi Abete e lo stesso Rocca. Con queste premesse e con le risorse che la Confindustria non mancherà di dare alla sua più prestigiosa università vista “l’importanza strategica degli investimenti in formazione avanzata per accrescere la capacità di innovazione del Paese“, ci si aspetterebbe dunque di trovare la LUISS nelle prime posizioni delle classifiche internazionali. Sfortunatamente non è questo il caso. Nella classifica generale del QS World University Ranking non compare tra le prime 600 posizioni. Non va meglio nel settore delle scienze sociali in cui non compare nelle prime 200 posizioni. Insomma, come esempio va piuttosto male. Forse le classifiche internazionali, come ho già avuto modo di notare non danno una informazione completa o almeno non del tutto affidabile. Potrebbe anche essere questo il caso, ma se così fosse, prima di sbandierare ogni volta queste classifiche, il quotidiano di Confindustria farebbe bene a farsi un esame di coscienza o almeno analizzare in dettaglio la situazione.

Vediamo allora come è andata la LUISS nella valutazione triennale della ricerca da parte del Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca (CIVR), l’unico sistematico esercizio di valutazione della qualità delle università italiane nella storia di questo paese. I risultati della LUISS sono piuttosto deludenti anche in questo caso. La classificazione è effettuata in base alla grandezza degli atenei e dunque in base ai “prodotti” (articoli, libri, ecc.) che l’ateneo ha inviato al comitato di valutazione. Nell’area Scienze Giuridiche, tra le piccole strutture che sono 31, la LUISS si classifica 26esima. Nel raggruppamento Scienze economiche e statistiche al 16esimo posto (con 6 prodotti, nessuno dei quali eccellente). Infine nel raggruppamento Scienze politiche sociali al primo posto tra le piccole università, ma con un solo prodotto, ovvero un libro su “De Gaulle e il gollismo” di Gaetano Quagliarello.

Possiamo quindi concludere che aprire i consigli di amministrazione agli imprenditori non risolve il problema della qualità delle università italiane. Tantomeno andare verso una privatizzazione del sistema, considerando anche il modesto piazzamento dell’altro esempio che abbiamo in Italia, l’università Bocconi. Insomma possiamo ragionevolmente concludere che non siano di certo questi gli esempi a cui ispirarsi. Ma perché quando si discute di riforma universitaria non si fa mai un esempio concreto ? Nel caso del ddGelmini la risposta è piuttosto semplice: non ce ne sono. Dunque prima di approvare una riforma universitaria ispirata a questi principi ed invocata da Confindustria, nonché da una serie di bocconiani, in maniera aperta e senza ambiguità, una persona sensata dovrebbe rifletterci un po’ su. O no ?

Da Il Fatto quotidiano 05.11.10