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"Precari, il giudice boccia la Gelmini", di Flavia Amabile

In Italia 180 mila posizioni anomale. Boom di siti dedicati ai consigli legali. I prof precari, anche quelli che insegnano lettere o matematica e sembrano lontanissimi dal mondo del diritto, si stanno trasformando in profondi esperti di leggi e sentenze. Ormai è chiaro che per ottenere il tanto agognato «posto fisso» l’unica arma è quella dei ricorsi. Perché la legge dà ragione ai precari cronici, quelli che lavorano come prof vedendosi rinnovare anno dopo anno il contratto ma senza mai vederlo trasformato in un’assunzione a tempo indeterminato.
Sono almeno 180 mila tra prof e Ata ad avere diritto al posto fisso e sono tutti sul piede di guerra: sul web è tutto un proliferare di siti e di richieste di aiuti su come comportarsi e a chi rivolgersi per fare ricorso.
Gli ultimi ad aver avuto soddisfazione sono stati sei precari storici di Cuneo. Il giudice del Tribunale del Lavoro di Alba ha chiarito che assumere e licenziare di continuo i docenti è illegale. Lavorano come i prof di ruolo, con la differenza che il loro stipendio resta sempre lo stesso e che a luglio ed agosto non entra nelle loro tasche nemmeno un euro. E quindi, i sei supplenti della provincia di Cuneo, assistiti dalla Gilda nel loro ricorso, vanno risarciti per tutti i mesi rimasti disoccupati, con una quota pari a quella che avrebbe percepito «se fossero stati da subito assunti con contratto a tempo indeterminato». Per Marco Bottallo della Gilda quest’ultima sentenza di un giudice del lavoro italiano conferma ancora una volta «una anomalia nel panorama europeo, ormai presente quasi esclusivamente nella scuola pubblica italiana, quella cioè di un datore di lavoro, il Miur, che continua pervicacemente ad utilizzare insegnanti abilitati e qualificati dalla lunga, talvolta lunghissima, esperienza, negando loro però la stabilità del posto di lavoro e anzi applicando clausole contrattuali discriminanti». L’entità del risarcimento sarà stabilita dal giudice del lavoro in una nuova seduta, il prossimo 28 gennaio.
D’altra parte lo dicono tante leggi, da quelle europee alla famigerata 133 sui tagli alla salva-precari: ricorrere ai contratti a tempo determinato è un’eccezione, non una regola. «E invece a studiare le cifre ufficiali del ministero si scopre che su 190 mila supplenze annuali circa 108 mila sono posti liberi, vacanti, dunque coperti con precari che di continuo vengono usati in modo improprio», spiega Marcello Pacifico, presidente dell’Anief, sindacato che di ricorsi per i precari della scuola ne ha vinti un bel po’.
E quindi non è un caso se la sentenza di Alba arrivi dopo altre due sentenze simili. La prima, la più clamorosa, è degli inizi di ottobre. A Siena una prof era stata assunta per ben 6 volte di seguito a inizio anno e poi licenziata alla fine delle lezioni. Un comportamento vietato dalla legge nel settore privato e che nel pubblico impiego è invece consentito, per fronteggiare emergenze e comunque per un massimo di tre volte. Il giudice del lavoro ha disposto il posto fisso via sentenza per la prof. La seconda decisione arriva più o meno negli stessi giorni. Il giudice del Lavoro di Treviso ordina allo Stato di risarcire i precari della scuola, per la mancata indennità di carriera che, con il contratto a termine, non hanno potuto percepire.

I precedenti
A Siena e Treviso le cause pilota
È la terza volta in pochi mesi che un giudice riconosce ai precari l’anomalia della loro posizione. La prima sentenza risale agli inizi di ottobre. Il giudice del lavoro del tribunale di Siena assegna il posto fisso a una precaria cronica che aveva sforato il tetto dei tre contratti che possono essere ripetuti presso uno stesso datore di lavoro. La seconda sentenza arriva più o meno negli stessi giorni. Il giudice del Lavoro di Treviso decide che lo Stato deve risarcire i precari della scuola, docenti e personale amministrativo, per la mancata indennità di carriera che, con il contratto a termine, non hanno potuto percepire. La sentenza si riferisce a 30 persone tra insegnanti ed amministrativi che hanno fatto causa al Ministero dell’istruzione.

La Stampa 15.11.10