attualità, lavoro

"L'Italia è ormai incapace di usare il suo capitale umano", di Laura Matteucci

L’unico segnale non negativo è la lieve diminuzione della disoccupazione, soprattutto femminile. Per il resto si confermano dati disastrosi: quello sulla disoccupazione giovanile, di dieci punti percentuali più alta rispetto alla media europea, peraltro già elevata, e quello sulle donne disoccupate nel sud. Tra quante cercano lavoro, che già sono poche, praticamente la metà è disoccupata ». Da Berlino, la sociologa Chiara Saraceno commenta i nuovi dati Istat su occupazione e (soprattutto) disoccupazione italiana, che – ce ne fosse bisogno – riportano alla realtà del Paese all’indomani di una manovra che lei stessa definisce «scandalosa nella sua totale irresponsabilità». Nuovi dati, in realtà sempre gli stessi: ormai la situazione è sclerotizzata. «L’Italia è un Paese che nonè in grado di utilizzare il proprio capitale umano, e che esclude una parte significativa della popolazione, impossibilitata a rendersi autonoma, a fare progetti per il futuro. Abbiamo la più alta percentuale in Europa di giovani che non sono impegnati nè a scuola nè al lavoro. Quello che sconvolge è il fatto in sè, e anche che non riesca ad entrare nell’agenda politica del governo. Che non venga considerata una priorità». I ministri Sacconi e Brunetta hanno più volte liquidato la questione sostenendo che i giovani non si vogliono adattare. «Si adattano eccome, moltissimi sono precari, tanti occupati in finti stage e lavori molto meno qualificati di quelli per i quali hanno studiato, e tutti sono sottopagati. Ricordo anche che i salari d’ingresso in Italia sono tra i più bassi d’Europa. Si può casomai dire che c’è ben poca coerenza tra formazione e domanda di lavoro, ma questo è un altro problema». Che cosa c’è nella manovra di contrasto a questa situazione? «Assolutamente nulla. Questa manovra è a futura memoria, e con un’operazione scandalosa tipicamente all’italiana rimanda ad altri ogni responsabilità. Se gli interventi sono urgenti e decisivi per i nostri conti pubblici, bisogna cominciare ad attuarli subito, seppure con gradualità. Invece qui l’unica cosa chiara è che si scarica tutto sui più deboli, con i tagli alla scuola, il blocco degli stipendi degli insegnanti, che ovviamente va a colpire soprattutto le donne, e con la stangata su Comuni e Regioni, usati come cassa di compensazione. Le misure più incisive sono proprio quelle che affidano ai Comuni il ruolo del cattivo. Il governo scarica la rabbia dei cittadini sui governi locali, ed è particolarmente spudorato perchè da un lato proclama il federalismo, mentre dall’altro, oltre all’Ici, toglie ai Comuni qualsiasi possibilità di autonomia. Questo significa colpire non solo l’organizzazione delle famiglie,ma soprattutto i più giovani e i più svantaggiati». È una manovra per galleggiare aspettando Godot? «È la manovra di un governo che non sa dove andare. Non c’è una sola idea dico mesi riprendano i consumi, l’occupazione, la crescita. Non hanno avuto nemmeno il buon gusto di ridursi qualche privilegio, rimandando anche questo ai posteri. Questa è la cifra della classe politica che ci governa. Vorrei almeno vedere l’opposizione dare battaglia per una riduzione, anche solo del 10% degli stipendi dei parlamentari, o contro il vitalizio. Come si fa a non farlo, di fronte a milioni di persone che vivono con mille euro al mese, e anche di meno?».

L’Unità 02.07.11

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“Un posto di lavoro? Missione impossibile per giovani e donne” di Laura Matteucci

Una tendenza allarmante fa segnare un altro record per la disoccupazione giovanile: la quota di under- 25 alla ricerca di un posto sale al 29,6% nei primi tre mesi del 2011. Non era mai stata così alta nei corrispondenti trimestri, a partire dall’inizio delle serie storiche del 2004. E il dato peggiora se si guarda alle donne tra i 15 e i 24 anni del Mezzogiorno, con il tasso che schizza al 46,1%. Quindi se nel Paese, complessivamente, è un giovane su tre a restare a casa, nel Sud siamo a una giovane ogni due. Sono ancora loro, dunque, a pagare il prezzo più alto della crisi. Mentre continua a crescere il numero dei dipendenti a termine (+4,1%, 84mila unità), in gran parte nell’industria in senso stretto. Il tasso di occupazione complessivo resta inchiodato intorno al 57% dall’ultimo trimestre del 2009, ben al di sotto della media europea che nel 2010 era del 68,6%. Unica nota positiva nella fotografia scattata dall’Istat, su gennaio-marzo la quota totale di senza lavoro cala all’8,6% dal 9,1% dello stesso periodo dello scorso anno. Saltando a maggio il quadro cambia. Il tasso è all’8,1%, in aumento rispetto ad aprile di 0,1 punti. Continuano, quindi, le oscillazioni intorno all’8%, con il numero delle persone alla ricerca di un impiego che torna sopra la soglia dei 2 milioni (+17mila in un mese, anche se rispetto a maggio scorso sono 118mila in meno). Per la prima volta dall’inizio del 2008 il numero dei disoccupati segna infatti un calo annuo (-5,2%), che riguarda sia gli uomini sia soprattutto le donne e si concentra nel centro-nord. In parallelo, sul fronte occupazione (gli occupati sono 22.914mila), l’Istat registra un aumento di 21mila unità, lo 0,1%, rispetto ad aprile, che riguarda quasi la sola componente femminile. Ma i tecnici dell’Istituto fanno notarecome l’occupazione abbia smesso di scendere, senza avere però ancora trovato una forte spinta propulsiva. Aumenta significativamente (+276mila unità) l’occupazione straniera, ma il relativo tasso di occupazione è ancora in discesa rispetto allo stesso periodo del 2010, dal 62,8% al 62,4%. Fuori d’Italia, intanto, Eurostat stima una disoccupazione stabile al 9,9% nell’Unione monetaria(20%per giovani). Guardando ai settori, dopo una caduta durata oltre tre anni, inizia a recuperare l’occupazione nell’industria (+1,5% tendenziale, ovvero 70mila unità), e il terziario registra un nuovo risultato positivo (+0,9%, inattiva, coloro i quali non hanno un lavoro e non lo cercano. Il tasso di inattività si porta al 37,8%, due decimi di punto in più rispetto a un anno prima. All’allarme dei sindacati si aggiunge quello delle forze di opposizione. «La scelta esasperata del governo – attacca Cesare Damiano, Pd – di privilegiare la flessibilità si è risolta in lavoro precario che, in quanto effimero, è stato cancellato dall’impatto della crisi penalizzando le giovani generazioni. Per le donnedel sud siamo al dramma: una persona su due è condannata alla marginalità economica e sociale e diventa preda del lavoro nero e illegale. E la manovra del governo conferma il suo segno regressivo che non incentiverà lo sviluppo del Paese e aumenterà le diseguaglianze sociali».v 140mila unità). L’Istat sottolinea il rallentamento della discesa dei lavoratori con contratto indeterminato, mentre prosegue il rialzo annuo del numero di dipendenti a termine. Cresce comunque la popolazione

L’Unità 02.07.11

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“Disoccupato un giovane su tre”, di Gabriele Dossena

Senza lavoro uno su tre. E al Sud va anche peggio: la quota dei giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni sale al 40,6%. È un dato (medio) che ne nasconde un altro ancora più drammatico: quello relativo solo alle donne, che registra nel Mezzogiorno un picco del 46,1%, contro il 37,4%degli uomini. La fotografia dell’Istat sulla disoccupazione giovanile rilevata nel primo trimestre dell’anno è impietosa. E in drammatica crescita: dal 28,8%dei primi tre mesi del 2010 è salita al 29,6%di quest’anno. Una tendenza che, complessivamente, riporta oltre la soglia di 2 milioni il totale dei disoccupati in Italia a fine maggio, con un tasso che si attesta all’ 8,1%(anche se, come evidenzia l’Istat, su base annua il tasso risulta in calo: nel maggio 2010 si attestava infatti all’ 8,6%). Per quanto riguarda i primi tre mesi dell’anno, l’istituto di statistica ha rilevato un incremento (+0,5%) del numero degli occupati (116 mila), grazie in particolare allo sviluppo dell’occupazione femminile. Risulta inoltre aumentata significativamente, nello stesso periodo, l’occupazione straniera (276 mila occupati in più). Passando poi all’analisi per comparti, l’occupazione nell’industria in senso stretto manifesta, dopo la caduta durata oltre tre anni, un moderato recupero tendenziale (+1,5%pari a 70 mila unità) e il terziario registra un nuovo saldo positivo (+0,9%, pari a 140 mila unità). Per la Cgil quello che emerge da questi dati conferma una «pericolosissima recessione occupazionale, che senza interventi concreti potrebbe trasformarsi in peggio, assumendo veri e propri caratteri di allarme» . Secondo il segretario confederale Fulvio Fammoni si tratta di «un grandissimo problema che la propaganda del governo non solo non prende mai in considerazione, ma tenta di nascondere» . Anche il lieve incremento dell’occupazione di quest’anno rispetto al primo trimestre del 2010 «pur positivo, deve fare riflettere» , perché «il nuovo lavoro che si produce è a grande maggioranza precario o a part-time involontario e questo conferma le difficoltà della produzione, la sua scarsa qualità e una quantità oraria di lavoro che non cresce» . Ecco che, aggiunge Fammoni, «per questo non basta certo il nuovo apprendistato, bisogna togliere le tante forme di precariato che si usa e di cui si abusa» . Da Cisl e Uil arriva qualche proposta. «È necessaria l’attuazione in tempi rapidi del credito d’imposta per le assunzioni nel Mezzogiorno, ma soprattutto governo, Regioni e parti sociali devono chiudere al più presto l’accordo sulla riforma dell’apprendistato» , è l’auspico del segretario generale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini. Per Guglielmo Loy, della segreteria Uil, «ora più che mai si deve intervenire con terapie d’urto attraverso consistenti e mirati incentivi verso quelle imprese che hanno resistito alla crisi, ma che non fanno il salto di qualità occupazionale» . E secondo Loy «ci sono le risorse necessarie per far ripartire il bonus occupazionale al Sud e ridurre l’Irap solo alle imprese che assumono lavoratori con contratti stabili»

Il Corriere della Sera 02.07.11

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“Disoccupati oltre i due milioni un giovane su tre senza lavoro”, di Lucio Cillis

In Italia ci sono due milioni di disoccupati mentre la carenza di lavoro per i giovani entro i 24 anni tocca livelli da emergenza nazionale. I dati Istat relativi a maggio 2011 e al primo trimestre dell´anno, mostrano una crisi senza precedenti che tocca da vicino milioni di famiglie: un giovane ogni tre (il 29,6%) e quattro su dieci al Sud (40,6%), non hanno un lavoro, con le giovani donne del Meridione, in particolare, che soffrono la carenza di posti: una su due risulta disoccupata.
Anche il confronto medio col resto d´Europa è impietoso: la differenza è di quasi 10 punti percentuali. Sono numeri impressionanti che non trovano precedenti nella serie che l´istituto di Statistica ha inaugurato sette anni fa e all´interno dei quali, al momento, si intravedono solo dei timidi segnali di miglioramento.
Nella media la disoccupazione si attesta all´8,1% con un incremento dello 0,1% su aprile mentre su base annua si registra una diminuzione di mezzo punto. Il numero complessivo dei disoccupati si riporta quindi al di sopra dei 2 milioni di persone.
A maggio è invece cresciuto il tasso di occupazione, rispetto al mese precedente (+0,1%), ma questo dato resta al palo se paragonato col 2010: le persone con un lavoro in tasca sono poco meno di 23 milioni (22.914.000), in aumento dello 0,1% (21mila in più) rispetto ad aprile; nel confronto con lo stesso mese del 2010 l´occupazione cresce dello 0,2% (+ 34mila), un risultato che favorisce soprattutto le donne. Appare invece in calo dello 0,3% (meno 47 mila unità) il numero degli inattivi rispetto al mese precedente.
Passando all´analisi dei dati per sesso, la disoccupazione maschile monitorata a maggio è al 7,4%: il tasso di disoccupazione aumenta di 0,2 punti percentuali rispetto ad aprile, ma diminuisce su base annua (-0,2 punti percentuali). La disoccupazione femminile, invece, tocca il 9%: diminuisce dello 0,1% mensile e dell´1% su base annua.
A livello generale ci sono dei segnali positivi che nel corso del primo trimestre 2011 vengono messi a segno dall´industria dove, dopo una caduta dei posti di lavoro durata per tre anni consecutivi, si segnala un recupero dell´1,5% dell´occupazione, pari a 70mila unità in più. Dati positivi anche per il terziario, con un incremento di quasi un punto percentuale e 140 mila unità. Allo stesso tempo, sempre nei primi tre mesi dell´anno, rallenta l´emorragia di posti a tempo indeterminato (meno 0,1%) mentre continua a salire il numero di contratti a termine: +4,1% pari a 84mila unità.
Infine, su base trimestrale, per la prima volta dall´inizio del 2008, i disoccupati calano se il raffronto viene fatto su base tendenziale: nei primi tre mesi del 2011 sono uscite da questa condizione 118mila persone E sono soprattutto donne residenti nel Centro-Nord.

La Repubblica 02.07.11

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“Il lavoro che non c’è”, di Tommaso De Berlanga

I numeri vanno letti e capiti. Specie quando si parla di statistiche. Altrimenti le contraddizioni confondono le idee. E i dati sulla disoccupazione diffusi ieri dall’Istat richiedono un po’ di attenzione. Nel primo trimestre del 2011, viene infatti detto, il tasso di disoccupazione (la percentuale dei disoccupati rispetto alle persone in età attiva) è sceso dal 9,1 all’8,6% (stesso periodo dell’anno scorso). Il numero complessivo dei disoccupati è però aumentato, superando i due milioni.
A pagare di più, nonostante la retorica di imprese e governo, nonostante una serie di «riforme» che dovrebbero facilitarne l’occupazione in cambio di salari bassi e contratti precari, sono ancora una volta i giovani tra i 15 e i 24 anni. Per loro (e senza nemmeno calcolare i coetanei che frequentano scuola o università) il tasso di disoccupazione, a maggio, è arrivato al 29,6% (era al 28,8 un anno prima). Peggio accade solo per le donne meridionali, che sono costrette a restare inattive (o meglio: senza salario) per il 46,1%.
Il quadro dettagliato è però assai differenziato. Per esempio, risulta in calo il numero degli occupati «indigeni», ovvero italiani (-160.000 unità), mentre aumenta l’occupazione straniera (+276.000), in generale più ricattabile, debole, quindi obiettivamente «incentivata» a lavorare di più per meno soldi, meno sindacalizzata e priva di livelli di welfare familiare. Conferme indirette arrivano dalla dinamica occupazionale dell’industria, in lieve ripresa (+1,5%) dopo tre anni di calo rapido, così come il settore dei servizi (+0,9). Ma la nuova occupazione è spesso registrata nelle forme «autonome». Tra i dipendenti, invece, calano ancora quelli con contratto a tempo indeterminato (-0,1%), mentre le «assunzioni» crescono solo se si accetta il «part time involontario» (+2,3), oppure un contratto a termine (+4,1).
Di conseguenza, cresce anche la popolazione inattiva, ormai al 37,8% (+0,2) rispetto al 2010). Fenomeno, anche questo, fondamentalmente giovanile; al punto da far parlare ormai di una «generazione né né» (non studia e non trova lavoro).
Ma anche se si voleva vedere il «bicchiere mezzo pieno» – il calo del tasso di disoccupazione – diventa difficile ignorare il crollo dell’attività manifatturiera registrato nel mese di giugno. Una contrazione in parte attesa, ma che mette fine a 18 mesi di crescita continua, pur se del tutto insufficiente a recuperare i livelli produttivi pre-crisi (siamo ancora sotto del 5% circa rispetto al 2007. Soprattutto – fa notare l’indagine Markit Economics – l’indice Pmi (che misura l’attività produttiva e le attese relative) è sceso dai 52,8 punti di maggio ai 49,9 di giugno. Un calo drastico e preoccupante, anche perché «quota 50» è convenzionalmente citata come il discrimina tra l’espansione economica e la contrazione.
È il punto più basso fatto segnare dall’ormai «lontano» ottobre 2009, a un anno di distanza dal croci di Lehmann Brothers che aveva innescato un blocco dell’attività economica globale. Per quanto riguarda lo specifico italiano, inoltre, la responsabilità principale di questo calo viene addebiatat alla «debolezza della domanda interna». In altre parole: la popolazione consuma meno, compra meno merci, le imprese vendono meno e tagliano sia la produzione che l’occupazione (questi fenomeni non avvengono contemporaneamente, ma con un timing abbastanza studiato da risultare «scientifico»). Il problema è che tutte le ricette o «riforme» economiche – consigliate dalla Ue e creativamente adattate dal governo – prevedono ulteriori riduzioni di reddito disponibile. Ancora meno consumi, dunque; e quindi nuovo calo di produzione e occupazione.

Il Manifesto 02.07.11