economia, lavoro

“Piccole imprese non crescono”, di Tito Boeri

Dal meno 5 non si esce con lo zero virgola. Se l´Italia dovesse uscire dalla recessione crescendo come nei dieci anni che hanno preceduto la crisi, ci vorrebbero ben 15 anni per recuperare il terreno perduto.Solo nel 2023 il reddito pro-capite degli italiani tornerebbe ai livelli del 2007, prima dell´inizio della discesa lungo il Maelstrom. Non possiamo perciò permetterci di stare alla finestra senza affrontare i problemi strutturali dell´economia italiana. Dato che in Italia il 95 per cento delle aziende ha meno di 10 addetti è soprattutto da queste piccole imprese, che danno lavoro a quasi un italiano su due, che ci dobbiamo aspettare il maggiore contributo al rilancio della nostra economia. Ma c´è molta retorica in questi giorni sulla piccola impresa. E tante analisi affrettate che rischiano di essere il preludio di misure sbagliate. Quelle che il governo si appresta a varare ci porterebbero indietro di anni.
C´è uno strano strabismo nella crescente attenzione mediatica ai disagi dei piccoli imprenditori. Se questi stanno male, presumibilmente i lavoratori delle piccole imprese stanno ancora peggio. Eppure nessuno ne parla. I nostri ammortizzatori sociali li trattano peggio dei lavoratori delle grandi imprese: se hanno la fortuna di avere un contratto a tempo indeterminato, riceveranno un assegno mediamente di 600 euro al massimo per 8 mesi. Secondo le stime presentate ieri dal governatore di Banca d´Italia nella sua lezione Castellino al Collegio Carlo Alberto di Torino, sarebbero poi più di un milione e mezzo i lavoratori senza tutela alcuna contro il rischio di perdere il lavoro e un altro milione che può accedere solo ai sussidi a requisiti ridotti, che durano in media due mesi. Ma quel «ripensamento complessivo del sistema dei nostri ammortizzatori sociali, orientato a criteri di equità ed efficienza» invocato ieri da Mario Draghi non sembra all´ordine del giorno. La riforma degli ammortizzatori è stata derubricata dalla “fase uno” ed ora non appare neanche nelle cose da fare nella “fase due” del governo, quella delle buone intenzioni. Circolano progetti, ma sono ancora tutti da verificare. Eppure sarebbe la prima riforma da fare a sostegno della piccola impresa. L´attuale disparità di trattamento non ha alcuna giustificazione economica. L´impegno di Confindustria in questa battaglia è una cartina di tornasole della sua capacità di rappresentare la piccola impresa.
Come nel caso degli ammortizzatori sociali, gli interventi a sostegno delle piccole imprese sono quelli che ripristinano una parità di trattamento fra grandi e piccole aziende. Si tratta di misure orizzontali, non selettive, che coinvolgano tutti i settori produttivi e basati su regole certe, che minimizzino il potere discrezionale del decisore politico. Altrimenti le piccole imprese, meno visibili, meno rappresentate nella proprietà dei giornali e dotate di minor potere contrattuale, finiranno sempre per avere la peggio. Ne abbiamo avuto la riprova in queste settimane. È bastato che Fiat battesse cassa in via XX settembre (mentre il gruppo di controllo della casa torinese dichiarava di voler investire nell´acquisto di una banca anziché nella ristrutturazione degli impianti in difficoltà strutturali!) perché il governo promettesse aiuti incondizionati. Aveva in precedenza chiuso la porta alle richieste di incentivi da parte di piccole imprese che hanno una quota sul valore aggiunto ben maggiore dell´auto (come i produttori del tessile abbigliamento o quelli delle di macchine utensili che chiedevano anche loro incentivi alla rottamazione). Per addolcire la pillola il governo ha poi annunciato l´intenzione di introdurre incentivi alla fusione di piccole imprese. Si tratta di una misura di cui si parla da anni, che si presta ad una gestione del tutto discrezionale (chi decide quali sono vere fusioni e quali no?). Sarà, inoltre, la solita misura sottofinanziata, anticamera di nuovi click day per restringere il numero dei beneficiari. Il fatto è che in questa gara a chiedere aiuti selettivi le piccole imprese avranno sempre la peggio. Le misure che stanno dalla loro parte sono quelle che riducono la pressione fiscale sul lavoro, tutto, partendo dalle retribuzioni più basse, maggiormente rappresentate nelle piccole imprese.
Venerdì il Consiglio dei ministri approverà il disegno di legge sull´istituzione della Banca del Sud. Anche questa è la risposta sbagliata ai problemi delle piccole imprese, che tra l´altro non sono presenti solo nel Mezzogiorno. Se le banche oggi non concedono prestiti alle piccole imprese con validi progetti imprenditoriali, non sarà certo lo Stato a farlo intervenendo direttamente, con proprie iniziative, nel sistema creditizio. Forse che all´epoca delle banche di interesse nazionale le piccole imprese avevano un accesso più facile al credito? Al contrario, le scelte a favore della piccola impresa sono quelle che portano ad avere un sistema bancario più competitivo, con meno intrecci negli assetti proprietari, con meno persone che siedono contemporaneamente in consigli di amministrazione di aziende di credito che dovrebbero essere in concorrenza fra di loro. Il nostro sistema bancario oggi ci porta ad avere rappresentanti di grandi imprese altamente indebitate con le banche, che siedono sia nei consigli dei creditori che in quelli dei debitori e che ottengono per le loro imprese accesso praticamente illimitato al credito a condizioni di favore. È anche per questo che in Italia c´è una così forte concentrazione del credito (aumentata peraltro durante la recessione) su pochi grandi imprenditori. Se mai uno di questi dovesse andare in crisi, si porterebbe dietro mezzo sistema bancario. Un sistema bancario maggiormente esposto verso le piccole imprese darebbe maggiori garanzie di stabilità, permettendo una maggiore diversificazione del rischio. E ci permetterebbe di risalire più rapidamente la china.
La Repubblica 14.10.09

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Marcegaglia: “La Finanziaria è insufficiente”, di Fabio Pozzo

«Sulla Finanziaria noi esprimiamo un giudizio di insufficienza». Lo ha detto il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, riferendosi al piano di politica industriale del governo, in audizione davanti alle commissioni Bilancio di Senato e Camera. «I capitoli fondamentali per dare competitività alle imprese devono essere rifinanziati».
«Lo chiediamo con chiarezza, forza e determinazione», ha aggiunto il numero uno di Viale dell’Astronomia, riferendosi alle misure a suo giudizio necessarie per sostenere le imprese. Ad oggi, ha proseguito, «il nostro è stato un atteggiamento di responsabilità, abbiamo compreso che in una prima fase, nell’emergenza della crisi, c’è stata una concentrazione dei fondi su temi essenziali», a partire dagli ammortizzatori sociali, ma ora «vediamo una insufficienza di molte cose che chiediamo».
Tra le azioni che per Confindustria occorre mettere in campo ci sono: il finanziamento di Industria 2015 per 300 milioni l’anno, il sostegno a Ricerca e innovazione, l’aumento per il 2010 dello stanziamento previsto di 280 milioni di euro per il fondo di garanzia per le pmi, la proroga «a tutto il 2010» e il rafforzamento del bonus fiscale per la patrimonializzazione delle imprese. «Tutti i punti essenziali per dar vita a un disegno di politica industriale che possa aiutare il nostro sistema produttivo a uscire prima possibile da questa crisi, ma soprattutto a uscire in modo più forte», ha ribadito Marcegaglia. Serve, ha detto, «una politica di lungo respiro». Considerando anche che «ci vorranno almeno tre anni» per tornare ai livelli pre-crisi, ai livelli «di crescita del 2007».
Uno dei punti toccati dal leader di Confindustria è quello della stretta del credito. «Circa il 10-12% delle imprese rileva l’impossibilità ad avere credito, il 20-30% difficoltà ad ottenere risposte, il 90% sullo spread. Noi non facciamo crociate contro le banche ma ci interessa dare una risposta concreta alle aziende». I Tremonti-bond? «Sarebbe un peccato se questi strumenti ideati per le banche, affinché queste sostenessero le imprese e che alcuni istituti hanno rifiutato, non andassero in qualche modo alle aziende italiane. Confindustria, su questo fronte, sta studiando un fondo di capitale pubblico e privato.
Sul sentiero della crescita deve allentarsi, però, pure la pressione del Fisco. «Per le imprese ed i lavoratori l’elevato prelievo fiscale sta diventando un fattore penalizzante. Pur in un’ottica di medio respiro bisogna procedere alla revisione degli strumenti di politica fiscale per la riduzione sostenibile delle aliquote».
Il leader degli industriali ha infine affrontato il tema degli aiuti all’auto. «Credo sia molto importante muoversi in coordinamento con gli altri paesi europei. L’auto è molto importante, però lo sono anche altri settori molto esposti alle esportazioni che stanno soffrendo. Quindi va fatto un ragionamento più ampio».
La Stampa 14.10.09