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"Revisionismi canori", di Michele Serra

Che l´esecuzione di “Bella Ciao” al Festival di Sanremo possa essere «scandalosa», non è purtroppo una notizia.
Un canto partigiano dovrebbe far parte, almeno in teoria, del tessuto connettivo repubblicano e nazionale (come accade in Francia), ma negli ultimi anni quel tessuto è stato ampiamente sdrucito dall´egemonia culturale revisionista.
Così, quando Gianni Morandi annuncia nella prima conferenza stampa sanremese che quella canzone farà parte, insieme a diverse altre, di una serata dedicata all´unità nazionale, ecco che suona come “provocazione di parte” perfino l´inno più popolare dei combattenti per la libertà. Ed ecco che il direttore artistico Mazzi si sente in dovere di aggiungere che allora sarebbe bello eseguire anche «Giovinezza», canto fascista però di origini goliarde.
L´equiparazione etica e storica tra partigiani e repubblichini è del resto in atto perfino ufficialmente, con tanto di progetti di legge. Nessuna meraviglia, dunque, che un direttore artistico che cerca di navigare con destrezza nel mare limaccioso di questa Rai, consideri normale «bilanciare» una canzone partigiana con una canzone fascista. Da tempo – in questo senso come in altri – siamo un pezzo di Europa gravemente anomalo.
Lo sconcerto di chi nutre ancora sentimenti antifascisti è scontato. E la cosa più grave è che rischia di figurare, questo sconcerto, come uno sconcerto di fazione, essendo ridotto a fazione, negli anni, l´intero campo antifascista e repubblicano (la nostra attuale classe dirigente, con l´eccezione illustre del Capo dello Stato, antifascista non è). Detto questo, e per provare a dire una cosa meno scontata, la forte contrarietà non deve mai essere sinonimo di censura preventiva: le vicende della Rai ci hanno abituati agli isterismi a prescindere, con trasmissioni intere o pezzi di trasmissione valutati come indegni di andare in onda senza nemmeno sapere di che parlano e – soprattutto – come sono fatte.
Mettiamola così: un´esecuzione di «Giovinezza» da parte di squadristi in orbace, condotti da Lele Mora in qualità di primo spasimante mussoliniano d´Italia, potrebbe essere giudicata con favore solo da eventuali reduci della Decima Mas. Artisticamente parlando, sarebbe didascalica e dunque orrenda, quasi orrenda come la canzone di Pupo e del Savoia lo scorso anno. Piuttosto, e ammesso che gli interessati siano davvero interessati, una «Giovinezza» affidata alle cure di Elio e le Storie Tese, o di Paolo Poli, o di Corrado Guzzanti, potrebbe degnamente figurare. Dipende, ovviamente, in che maniera, con quali intenzioni, quale linguaggio e quale sguardo si ricanta il cupo inno del regime: tutti elementi scomparsi dal dibattito urlante che schiaccia le parole e gli atti, specie di chi lavora in tivù.
Riassumendo: la direzione artistica (e sottolineo l´attributo: artistica) del Festival può trarsi di impaccio solo in due maniere. La prima è lasciando perdere «Giovinezza». La seconda è trovando un´idea impeccabile, o perlomeno di alto livello, che inquadri quella canzone, e quel ventennio, nella loro realtà storica: quella di una tragica dittatura.

La Repubblica 04.11.10