attualità, politica italiana

"In fondo al pozzo", di Massimo Giannini

Un uomo esausto, che annaspa in fondo al pozzo. Sommerso dagli scandali sessuali, che lo inseguono dovunque, e dai guai processuali, che lo tormentano comunque. Sfibrato dalla sindrome dell´inazione che uccide il suo governo, e dalla guerra di fazione che dilania la sua maggioranza. A dispetto del solito marketing politico, Silvio Berlusconi appare così alla Direzione del suo partito, che cerca di salutare l´improbabile rinascita del leader, mentre in realtà celebra l´inevitabile autunno del patriarca.
Quella di ieri, per il presidente del Consiglio, non è stata una fragorosa «chiamata alle armi», secondo il collaudato rito berlusconiano degli anni roventi. È stato l´esatto contrario: un sommesso «inno alla debolezza». Nella forma psicologica: il premier è apparso provato, a tratti dimesso, e alla fine addirittura commosso. Nella sostanza politica: il premier ha poco da dire, e nulla da dare. La risposta alle domande inquietanti del «Ruby-gate» è fiacca e del tutto implausibile (stavolta non solo il trito «complotto delle toghe rosse e dei comunisti», ma niente meno che «una vendetta della malavita»). Soprattutto, la replica alle questioni dirimenti poste da Gianfranco Fini è modesta e tutta difensiva (al punto da riproporgli persino l´ennesimo, a questo punto davvero impensabile «nuovo patto di legislatura» insieme alla Lega).
Dal fondo del pozzo, dunque, il Cavaliere chiede aiuto, e tende le mani. È il punto più basso, mai toccato finora, della curva del potere berlusconiano. Che implicitamente si offre all´ordalia dell´ex alleato e co-fondatore del Pdl, chiamato domenica prossima a Perugia ad una scelta difficile e forse esiziale. Mai come oggi, il futuro della legislatura è in mano ai futuristi di Fini. «Non romperà, perché ha paura delle elezioni», sostiene con la consueta sicumera padana Umberto Bossi. Ha totalmente ragione sulla paura delle elezioni, che nessuno vuole a parte il Carroccio. Ma ha parzialmente torto sull´impossibilità della «rottura» finiana. Di fronte a un esecutivo che non risolve i problemi del Paese, e a un presidente del Consiglio che affoga nei suoi problemi personali, il leader di Fli ha di fronte a sé tre opzioni: tendergli una mano, lasciare che anneghi da solo, o assestargli l´affondo definitivo.
La prima opzione è ormai esclusa, perché tardiva e impercorribile: poteva forse funzionare qualche settimana fa, se il Cavaliere avesse avuto la voglia di fermare i sicari dei suoi giornali lanciati nel massacro mediatico del presidente della Camera, e la forza di rilanciare un Progetto-Paese ben più concreto e ambizioso dei risibili «cinque punti» del programma, utili solo a lui medesimo (per la parte relativa alla giustizia) e al Senatur (per il capitolo legato al federalismo). Oggi non ha più senso, perché non c´è più tempo.
La terza ipotesi è la più ardita, perché «costosa» e imprevedibile: Fini dovrebbe dichiarare chiusi i giochi, e chiedere formalmente la crisi di governo, assumendosi tutta intera la responsabilità della rottura. Il co-fondatore dovrebbe certificare in esplicito la morte del berlusconismo, sciogliere per sempre il centrodestra nato con la rivoluzione del Predellino, candidarsi come leader alternativo del centrodestra che verrà, e nel frattempo negoziare con tutti gli oppositori del Cavaliere (dal Pd all´Udc, dall´Idv a Sinistra e Libertà). Per formare una nuova maggioranza, nell´ipotesi di prosecuzione della legislatura. O per sottoscrivere un nuovo patto elettorale, nell´ipotesi di scioglimento anticipato delle Camere. Detto altrimenti: Fini dovrebbe profilarsi come «candidato killer» di un governo di destra berlusconiana, non potendo ancora spendersi come «candidato premier» di un governo di destra europea.
Il «costo» politico dell´operazione sarebbe per lui molto alto: l´ex delfino di Almirante, ed ex leader di An, si troverebbe a sostenere un governo tecnico, o un cartello elettorale, non solo e non tanto insieme ai Bersani e i Franceschini, ma insieme ai Vendola e ai Bonelli. Tanto, per un leader che è nato e cresciuto nella destra missina, e che comunque sempre nella destra (sia pure costituzionale, repubblicana e post-berlusconiana) vuole e deve cercare i suoi consensi. Ma anche l´esito dell´operazione, al momento, sembra incerto: questa maggioranza alternativa, dal vago sapore di Cln, non pare ancora matura, proprio per oggettive difficoltà di osmosi identitaria. E dunque, nel momento in cui aprisse la crisi, Fini non sembra avere la certezza assoluta che una «alleanza repubblicana» possa presentarsi compatta al Quirinale, offrendo una solida alternativa al Capo dello Stato chiamato a decidere se sciogliere le Camere o dare il via libera ad un altro governo.
Resta la seconda ipotesi, al momento più pratica e quindi probabile. Fini lascerà che sia il Cavaliere ad annegarsi da solo, nel pozzo delle sue contraddizioni. A Perugia il leader futurista tirerà ancora la corda, senza ancora romperla del tutto. Dirà che così non si può più andare avanti, e che la vera destra italiana sarà quella finiana, e mai più quella berlusconiana. Lascerà intendere che sono maturi i tempi di un «appoggio esterno». Ma questa sarà solo la tappa intermedia, verso una «rupture» finale che il presidente della Camera vorrà a tutti i costi decretata sul campo dal presidente del Consiglio. Quando e su che cosa, si vedrà. C´è l´imbarazzo della scelta. La giustizia è il terreno più doloroso, almeno per il Cavaliere. Ma ora si aggiunge anche la manovra economica, che è il terreno più scivoloso per l´esecutivo. Le prime avvisaglie si vedono già. La Pdl alla Camera va sotto su un emendamento dell´Udc sui fondi Fas. Giulio Tremonti propone addirittura una pausa di riflessione per inserire nella Finanziaria un corpo di emendamenti che ricalchino e anticipino il decreto sullo sviluppo. Sono segnali inequivoci: prove di cedimento della maggioranza nel primo caso, tentativi di accomodamento del governo nel secondo.
È la strategia del logoramento. Quasi un «classico» della storia repubblicana di questo Paese. Ma anche questa può avere i suoi costi. Sicuramente li ha per l´Italia, che rischia di continuare ad essere sgovernata ancora per mesi, tra l´accidia rancorosa del premier e l´inedia disastrosa del Consiglio dei Ministri. Ma può averli anche per lo stesso Fini, che rischia di logorarsi insieme al Cavaliere, e di non approfittare neanche questa volta del suo momento di estrema, quasi irreversibile disperazione. Per questo, nel «sommario di decomposizione» della destra berlusconiana, il leader futurista non può non interrogarsi su un «titolo» di Primo Levi, antico ma attualissimo: se non ora, quando?

La Repubblica 05.11.10

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“L´abuso di potere. La vendetta della mafia ultima bugia del Cavaliere per uscire dall´angolo”, di Giuseppe D’Avanzo

Dunque, sostiene Berlusconi, può essere addirittura la mafia a manovrare le ragazze, minorenni e no, prostitute o no, che vanno svelando con documentati ricordi le “serate del presidente”. Dice il premier: “Visti i colpi che stiamo infierendo alla mafia, nessuno oggi può con certezza escludere che alcune cose che accadono siano frutto della vendetta della malavita”.
Il mentitore è sempre solitario e superficiale. È la ragione per cui la menzogna, per se stessa abuso di potere se chi mente è un leader politico chiamato a dar conto in pubblico delle sue condotte, non ha mai una gittata troppo grande né un´ampiezza veramente razionale. È un logos con la vista corta. Ne fa le spese anche un bugiardo compulsivo come Berlusconi.
in un angolo. Ci si è cacciato da solo. Vuole uscirne in fretta e con danni lievi. Evocare un´aggressione mafiosa, come ritorsione e vendetta per le iniziative del governo, gli appare una buona idea per liberarsi di una pressione che può piegarlo. Il vittimismo – chi meglio del Cavaliere può saperlo? – è sempre una medicina efficace nella terra dei piagnoni. In questo caso, l´idea è pessima. Lasciar credere che ci siano i mafiosi dietro le Ruby, le Nadie è autodistruttivo. L´accostamento conferma quel che, con la visione delle foto di Antonello Zappadu, i racconti di Noemi Letizia, le registrazioni di Patrizia D´Addario, già appare chiaro: la vita disordinata, che conduce, rende vulnerabile il capo del governo. Lo spinge in uno stato di minorità. Lo rivela debole, ricattabile, facilmente prigioniero di uno stato di costrizione che si può creare con un comodo sforzo mandandogli in casa una ragazzina per poi manipolarlo.
È quello che la mafia, secondo Berlusconi, può fare o sta addirittura facendo nei suoi confronti. Prendiamolo sul serio. Forse il presidente del Consiglio (il mentitore è sempre superficiale) non si rende conto di convalidare le ragioni di chi – nell´opinione pubblica, in parlamento – gli chiede conto da un anno delle sue deliranti routine private che, indebolendone la funzione e minacciandone le responsabilità, diventano affare pubblico.
Più di un anno fa, quando diventa noto che il fotoreporter Antonello Zappadu ha in archivio 5.000 foto “rubate” nella villa di Porto Rotondo, i tre membri di destra del Copasir (Fabrizio Cicchitto, Gaetano Quagliariello, Giuseppe Esposito) chiedono l´avvio di un´indagine per verificare “quale protezione hanno dato e danno al presidente del Consiglio le strutture dello Stato a ciò preposte, in primo luogo uno dei servizi segreti?”.
Al fondo di quella iniziativa c´è una ragionevolissima convinzione: i luoghi abitati dal presidente del consiglio sono di interesse nazionale; custodiscono gli affari di Stato; meritano l´attenzione che si riserva alla sicurezza della Repubblica. È stravagante che dinanzi alle cronache quotidiane – minorenni nelle ville del Cavaliere assistono a cerimonie erotiche; prostitute che vanno e vengono e sono in possesso del numero personale del capo del governo e non esitano a ingaggiarlo quando si trovano nei guai – quegli stessi uomini si oppongano a che il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti (Copasir) chieda a Berlusconi come l´intelligence lo protegga. O meglio quali sono gli incarichi che egli ha voluto affidare ai cinquanta uomini che, in assoluta autonomia dalle gerarchie, lo tutelano. Chiarimenti che sembrano del tutto necessari soprattutto se si ricorda che ad alcuni di quegli uomini dello Stato è stato assegnato, a quanto pare, il compito di coordinare gli accessi delle ragazze in villa o al palazzo; di controllarne i comportamenti e le relazioni; di levarle dai guai quando vi si cacciano; di espellerle dalla vita del Cavaliere quando mostrano una pericolosa aggressività. Sono spiegazioni del tutto urgenti ora che lo stesso premier ipotizza che ci possa essere la mafia dietro le rivelazioni di Ruby e Nadia.
Il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti è soltanto uno dei luoghi dove Berlusconi potrebbe (dovrebbe) far luce e dar conto di una irresponsabilità politica che lo spinge a confessare esplicitamente di non essere in grado di escludere che la sua condotta abbia messo a rischio la sicurezza del nostro Paese. È una questione che già è stata posta in parlamento da trentacinque senatori del Partito democratico. Con un´interpellanza interrogano Berlusconi sulla “potenziale ricattabilità del Primo Ministro italiano e dei rischi a cui potrebbero essere state esposte tutte quelle informazioni, anche segretissime, contenute nei dossier che Berlusconi è tenuto ad esaminare e che riguardano la difesa del nostro Paese e gli impegni cui siamo tenuti per l´appartenenza alla Nato”. “La questione – spiega Luigi Zanda a Palazzo Madama – riguarda anche la sicurezza economica dell´Italia. Ad esempio, la delicatezza e la vulnerabilità della nostra posizione (ricordata anche dall´Ambasciatore degli Stati Uniti in Italia), per i rifornimenti energetici e i nostri rapporti con mercati delicati come quelli della Russia e della Libia. Non è difficile comprendere come a un uomo di governo che tratta in prima persona affari di questa natura e di tale consistenza economica e geopolitica, venga richiesto di non ricevere a casa sua decine di donne sconosciute con tanto di registratori e di macchine fotografiche”.
C´è una contraddizione che oggi Berlusconi è chiamato a risolvere. Perché egli non può, da un lato, temere di essere ricattato dalla mafia per la sua disordinata vita privata e, dall´altro, rivendicare con orgoglio quel disordine come quando dice: “Sono orgoglioso del mio stile di vita. Se ogni tanto sento il bisogno di una serata distensiva come terapia mentale per pulire il cervello da tutte le preoccupazioni, nessuno alla mia età mi farà cambiare stile di vita del quale vado orgoglioso”.
Delle due, l´una. O Berlusconi si protegge dalle sue debolezze cambiando vita anche “alla sua età” in nome della responsabilità pubblica che liberamente ha voluto assumere. O le sue ossessioni compulsive glielo impediscono e forse deve ripensare al suo ruolo pubblico. E´ un fatto certo che non può fare l´uno e l´altro. A meno che consumi un altro abuso di potere. A meno che non ci abbia raccontato un´altra menzogna e quella storia della mafia che lo minaccia con le parole di Ruby e Nadia sia la favola di un uomo in fuga da se stesso, disertore dagli impegni e oneri, uomo di Stato palesemente inaffidabile. Per quel che dice. Per quel che fa.

La Repubblica 05.11.10

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