attualità, politica italiana

"Nelle mani degli inquisiti. Le ombre su Governo e Pld", di Federica Fantozzi

Non è un «problema» per il governo, giura Matteoli. «De minimis…» glissa La Russa con un filo d’altezzosità. Nessuna tribolazione, assicura Berlusconi. Due ministri e un premier (troppo?) impegnati a sminare il già accidentato percorso della maggioranza derubricando il «caso Carfagna» a bega locale se non personale. Ovviamente sanno tutti che non è così. Per il Cavaliere il bel volto rabbuiato di Mara, il suo grido di dolore che «il partito è in mano agli affaristi», la tentazione di scendere in campo a Napoli non con gli amici-nemici futuristi ma (forse e peggio) con una lista civica, poneva un’alternativa del diavolo. Da un lato, il simbolo del berlusconismo del terzo secolo, la ministra sexy e competente che può sfatare la maledizione coniugal-politica delle veline uguale ciarpame.

Dall’altro, un sistema: il potente e ricchissimo Cosentino, le province e i comuni che controlla, il lucroso business di rifiuti e termovalorizzatori. Con crudezza: rischiare la titolare delle Pari Opportunità o quel manipolo di parlamentari fedeli al coordinatore campano che potrebbero costargli la sfiducia il 14 dicembre? Alla Spendibile (che non controlla divisioni) il premier ha preferito i Notabili e gli Intoccabili. In ogni caso, un gioco a perdere. Soldi e voti, affare e malaffare, cricche e inchieste. Ombre sgradevoli guizzano dietro governo e partito. Ecco perché, di fronte alle motivazioni della Corte d’Appello sulla condanna a Dell’Utri come «mediatore» tra la mafia e Berlusconi fino al 1992 consentendo ai boss di «agganciare» l’allora nascente «impero finanziario ed economico» del Biscione, il solito Matteoli sottolinea che «il caso non riguarda l’esecutivo perché il senatore non ne fa parte». Quasi a scacciare quel sospetto, rilanciato dai dipietristi, che alla fine Silvio sia stato «riacciuffato dal passato ed è l’inizio della fine».

Dell’Utri, Mangano lo stalliere-eroe, Cosa Nostra: storie vecchie, che riguardano Forza Italia che non c’è più, «trite e ritrite» si duole il bibliofilo siciliano, collezionista dei diari di Mussolini e animatore dei circoli del Buongoverno. Cosentino, la tesi dei pm che sia stato eletto dai voti dei clan camorristici, il presunto dossieraggio contro Caldoro, il passo indietro da sottosegretario: storie nuove, del PdL giovanissimo e già agonizzante. Dell’Utri e Cosentino: coinvolti (con Verdini) nell’inchiesta sulla P3 di Carboni, accusati di associazione a delinquere e violazione della legge che vieta le società segrete. Difeso a spada tratta da Berlusconi, il sottosegretario all’Economia dovette lasciare per il pressing di Fini, che aveva già archiviato la battaglia per la guida del partito e cominciava a intestarsi quella per la legalità.

Non a caso oggi il falco fliniano Granata commenta entrambe le vicende. A Carfagna dice: «Persona perbene, costretta dai vertici del PdL a vivere in ambienti discutibili nel contesto (campano) infrequentabile». A Berlusconi «imprenditore estorto», invece: «Non è un esempio di buone pratiche per gli italiani a cui chiediamo ogni giorno di non cedere e denunciare le pressioni estorsive delle mafie. Non è un esempio da seguire». Non a caso il ministro Maroni reagisce con «ferocia immotivata», parole di Saviano, al monologo televisivo in cui l’autore di Gomorra denuncia che la Lombardia è terreno di caccia per le organizzazioni criminali e «al Nord la ‘ndrangheta interloquisce con la Lega».

E se il titolare del Viminale depone le armi contro lo scrittore, Bossi non lo segue. Non a caso, quando i cosiddetti «cuffariani» di Sicilia minacciano apertamente di lasciare l’Udc in direzione PdL Casini lascia filtrare un commento sprezzante: «Mi libero di un peso. Tremavo all’idea di dover ricandidare alcuni impresentabili». Questione di immagine, non secondaria quando si teme l’avvicinarsi di una campagna elettorale: via i Totò Vasa Vasa, i Drago, i Mannino, via il partito siciliano che porta in dote guai vecchi e nuovi con la giustizia. Questione di immagine, appunto. E quella del PdL, tra bande d’affari e olezzo di munnezza e ombre tentacolari, al momento non splende.

L’Unità 21.11.10